Capitolo 7.

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Train- Hey, soul Sister.

Sto guidando a cento chilometri orari in una strada in cui ne sono permessi appena cinquanta. Spero solo con tutta me stessa che non compaia dal nulla un'auto della polizia, perché non so proprio come reagirei. 

Dopo appena dieci minuti che ero riuscita a prendere sonno, Morena è entrata con violenza in camera mia e mi ha letteralmente buttata fuori dal letto. Io a parte papà sono l'unica che sa guidare, le mie sorelle ancora devono fare gli esami di guida, e Katia dice che non guida da tanto. Subito dopo in camera mia è piombata anche Simona, molto agitata che urlava di prendere la macchina. 

Papà durante la notte ha avuto un infarto, e ora siamo tutti e cinque in una macchina che ne può contenere appena quattro. Cerco di guidare il più in fretta possibile, ma ho paura che da qualche parte ci sia un'auto della polizia appostata per la notte. Ma ho più paura che se non arrivo in tempo all'ospedale, lui morirà. E non so come reagirei.
Arrivati davanti l'entrata spengo velocemente la macchina e grido aiuto a squarciagola. Un paio di infermieri notturni ci sentono e corrono verso di noi.

<<Ha avuto un infarto.>> dice Katia, mia madre, visibilmente meno turbata di me.

Uno dei due infermieri urla di prendere una sedia a rotelle, e subito dopo arriva una donna in nostro soccorso. Caricano velocemente papà, e lo portano dentro. Lui è semi cosciente, ogni tanto apre gli occhi, poi li richiude. Si vede che sta' lottando con tutte le sue forze, non vuole lasciarmi sola con loro.

Passiamo due ore sedute su delle scomode sedie della sala d'aspetto, ad aspettare qualunque notizia di un medico. Ma la porta in cui è entrato papà ancora non si apre. Ho già buttato parecchie lacrime, ma so che ancora ne ho tante. 

Se papà non dovesse superare la notte, io non so davvero quale sarà la mia sorte. Probabilmente verrò picchiata da Katia, come mi aveva promesso tante volte. Probabilmente mi tratteranno come la loro serva, o peggio ancora mi addosseranno la colpa della sua morte. Ma senza papà, niente sarà sopportabile.

La porta si muove e di scatto salto in avanti. Esce un uomo con la barba bianca, sopracciglia folte e occhi di chi ne ha viste davvero tante. Regge in mano una cartellina, che guarda con la testa china. Non sta' leggendo, cerca semplicemente le parole che deve dirci. E quando la alza, non ha bisogno di dire nulla. È come se dentro di me fossero crollati tutti i muri che mi servivano per sopportare tutto. Tutte le litigate, tutte le intimazioni verso di me, quei muri servivano per non farmi crollare. Ma papà è morto, e ho sentito come se qualcuno con un enorme gru li abbia buttati giù in un solo colpo.

Non riesco a reggere più e corro fuori, dove nessuno mi possa sentire. Nessuno mi segue, nessuno fa domande. E mi ritrovo nel parcheggio, con le ginocchia sbucciate per la rabbia che ho messo nel buttarmi a terra e farmi male, nel tentativo di affievolire il dolore che sento nel cuore. Ma non si affievolisce affatto, ed è come se non avessi nulla sulle ginocchia. Una ferita del genere farebbe un gran male in un giorno qualunque, ma non ora. All'interno della carne aperta vedo delle pietroline, ma non mi importa. Probabilmente domani farò fatica a camminare, ma non mi importa. 

Mi lascio andare al mare di lacrime e urlo come se non ci fosse un domani.

Cenerentola: Vivere o lasciare vivere?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora