Capitolo 21.

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Hilary Duff - Sparks.

Sto camminando nel buio più totale. Dove sono? Sto sognando? Contrariamente ad ogni mio sogno, stavolta sono io a comandare i miei movimenti. Quindi impaurita e anche un po' curiosa, mi addentro ancora di più nell'oblio. Dietro di me sembra non ci sia nulla, e nemmeno davanti, ma non so cosa mi spinge ad avanzare. All'improvviso compare davanti a me una sagoma, e io mi spavento. 

La sagoma molto bassa e agile si volta e scappa via. <<Torna qui!>> dico, parlando con il vuoto.

Ora sento delle voci e sussulto. Non so di chi siano, ma mi sembrano familiari. Allora inizio a correre verso le voci, sempre di più, ma ho la sensazione di correre su tapis roulant. Corro, corro e ancora corro. Vedo qualcosa di chiaro più infondo, allora cerco di aumentare la velocità. È vicina, sempre più vicina, ora posso anche... e si spegne. Le voci ricompaiono alle mie spalle insieme alla stessa luce. 

Ricomincio a correre, ma come prima appena le sono abbastanza vicina per toccarla, quella si sposta. Allora mi faccio furba e aspetto il prossimo movimento. E quando me la ritrovo davanti senza pensarci due volte mi ci fiondo dentro. Cado subito non so dove, le mani e le ginocchia sono un po' indolenzite per la caduta, ma sto bene. E sono molto confusa. Dove mi trovo? È un giardino con un'altalena e uno scivolo, intorno a me è tutto un po' annebbiato. Sto sognando un mio ricordo. La mia mente, presa dalla febbre alta, ha portato alla luce vecchi ricordi. 

Non ricordo questo giorno, ma so che è un ricordo perché questo giardino è quello di Laura. Solo un po' diverso da come è ora, ma più o meno lo stesso. Casa sua non è molto grande, ma in compenso il giardino è immenso. Con una piscina, il parco giochi e la fontana con i pesci. Ora sono immersa nei fiori, quindi deduco sia primavera. Sento delle risate e seguo quel bellissimo suono, e mi trovo davanti due bambini che giocano. Il sole li illumina e il vento gli da quel poco di aria fresca di cui hanno bisogno per non morire di caldo. 

Io e Mattia giochiamo ad acchiapparello, e sto vincendo io. Ero molto brava in questo gioco, e vincevo sempre, anche se crescendo avevo il sospetto che lui mi facesse vincere di proposito. Il gioco finisce e gli chiedo di spingermi sull'altalena. Ho un vestitino bianco che mi arriva alle ginocchia un po' sporco di terra, e i capelli rossissimi svolazzano alla brezza del vento dell'altalena. Le guance sono colorate di rosso, segno che fa molto più caldo di quel che sto provando io ora. Mattia ha dei semplici jeans e una maglia sbracciata, e anche lui è sporco di terra come me. 

All'epoca portava i capelli ancora più lunghi di come li ha ora, e devo ammettere che sta' molto bene. Gli occhi scurissimi non sono cambiati, e nemmeno il suo sorriso contagioso. Io ho non più di dieci anni, mentre lui ne ha quasi quattordici. Mi spinge sull'altalena mentre io urlo <<più veloce mio schiavo!>> ridendo. 

A lui non sembra dispiacere, anzi gli piace. Ecco una di quelle cose che non avevo mai notato prima. Mi stufo molto velocemente dell'altalena, e scendo quasi in volo. La piccola me si allontana, mentre Mattia cerca di rincorrerla. Io mi avvicino all'altalena e la sfioro con le dita. Era da tanto tempo che non vedevo questo giardino, e un po' mi è mancato. Il tempo cambia e arrivano le nuvole, e insieme a loro anche la pioggia. 

Per paura di bagnarmi davvero inizio a correre verso l'entrata di casa, sperando di trovare qualcuno. E infatti io sono li, con un braccio e una gamba ingessati e con le stampelle accanto. Reggo in mano una tazza fumante di non so cosa, e fisso la pioggia davanti a me, completamente sola e con una semplice maglia a mezze maniche addosso. 

Ho quattordici anni e ricordo perfettamente questo momento. Dietro di me si apre il grosso portone di casa, e compare Mattia con una felpa, che mi poggia sulle spalle fredde. Senza né guardarlo e né ringraziarlo, sistemo la felpa e continuo a guardare dritto davanti a me. Appena una settimana prima c'era stato l'incidente, e papà era in ospedale in coma. Ricordo che per parecchio tempo mi ero trasferita a casa di Mattia e Laura, e questo mi aiutò molto.
Vedo sul mio viso il riflesso del terrore e della consapevolezza che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. 

Mattia senza dire una parola si siede accanto a me sugli scalini, e guarda il nulla davanti a noi. Si vede che sta' cercando qualunque cosa da dirmi per consolarmi, ma non riesce a trovare nulla che non mi abbia già detto cento volte. Ma quando si gira verso di me e vede che una lacrima sta' colando sulla mia pelle, non resiste più e mi abbraccia, senza accettare un no come risposta. Io accetto volentieri l'abbraccio e mi stringo a lui come se fosse mio padre, o meglio, come il fratello che ho appena perso.

Quando mi sveglio mi sento molto meglio, la febbre credo sia passata almeno per ora.

Cenerentola: Vivere o lasciare vivere?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora