23. Le dame bianche

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Man mano che camminiamo, la luce cresce a poco a poco, svelandoci uno scenario alquanto bizzarro. Lunghi corridoi di sporche piastrelle azzurre si rincorrono a perdifiato sotto i nostri piedi. L'uomo con la maschera cammina così veloce, che Didì e io dobbiamo quasi correre per non perderlo di vista. Quello che mi sorprende è che, d'un tratto, l'eco della melodiosa voce di Maria Callas riempie ogni angolo di quei corridoi contorti e dimenticati. La canzone è Casta Diva e la riconosco subito, perché mio padre era letteralmente ossessionato da quelle note. Ma stavolta non sono nel soggiorno a osservare la polvere che fluttua nei raggi del sole. Ci sono solo una catena di immagini che si rannicchiano nelle mie retine, accarezzandomi la schiena di brividi.

Le stanze che sorpasso, una dopo l'altra, sono piene di Dottori della Peste intenti a lavorare come industriose e silenziose formiche. Alcune maschere bianche sono raggruppate attorno a lunatici immobili, con lo sguardo offuscato da mondi inudibili. Altre sono assorte nella minuziosa cucitura di ampi sorrisi dai spessi fili rossi. C'è chi prepara dei visi sgualciti a salassi prolungati, come se le sanguisughe potessero succhiare via tutto il dolore dal corpo, mentre altri hanno mani occupate a asportare con cura e scambiare diversi pezzi considerati sbagliati. Tutti paiono muoversi a rallentatore, come se seguissero le note della canzone e per qualche secondo mi pare di assistere a un armonioso e macabro balletto teatrale.

Didì, stranamente, trattiene il terrore sul suo viso e non la sento fiatare per tutto il tragitto. Non dice nulla, neanche quando passiamo davanti alle stanze che credo contengano le insolite collezioni della regina. Lo capisco perché intravedo ripiani di teste sorridenti con lunghi capelli, quadri di occhi scattanti e boccette di varie dimensioni (credo contengano le lacrime dei Grandi Lunatici). La sento sussultare solo per un attimo, quando passiamo vicino a una porta con questa scritta: Corpi morti dal ridere.

Per un attimo percepisco la mia mente desiderosa di allargare le braccia al soffitto per arrendersi e poi crollare. Tutte quelle stanze luminose e quelle note dolci, sono così in contrasto con l'agonia che si riversa nei miei occhi.

Perché c'è tutta questa luce?

L'orrore non dovrebbe nascondersi nel buio?

Quando veniamo sorpassate da una sedia a rotelle vuota, spinta da una strana infermiera, mi sembra per un attimo di essere tornata a casa.

Improvvisamente sento le dita della drag queen stringermi in una ferrea morsa. Didì trattiene il respiro e mi si appiccica addosso, quasi volesse nascondersi dentro di me. Solo quando alzo lo sguardo capisco il perché del suo corpo tremante.

Sono dame bizzarre quelle che ci circondano velocemente. Hanno una bellezza pallida e sembrano quasi scivolare in silenzio sul pavimento, più che camminare. È strano, ma hanno qualcosa di sottilmente romantico. Forse è perché indossano tutte lunghi abiti di pizzo bianco lasciando intravedere la pelle marmorea unicamente dai veli sulle braccia. O forse è perché, intrecciati ai capelli, indossano lunghi veli da sposa che toccano terra con un leggero fruscio, tirandosi dietro le foglie e lo sporco di quello strano manicomio abbandonato.

Tutte però hanno qualcosa che mi fa rabbrividire: sono le strane e profonde cuciture sulla loro gola, come preziosi strangolini di pizzo rosso, che tengono unite le teste ai lunghi colli incipriati.

Il Medico della Peste cammina ancora davanti a noi. Di tanto in tanto con il bastone tasta qualche lunatico accasciato contro il muro, come per svegliarlo. Non passa molto prima che il grande mantello nero ci conduca in una nuova stanza. Anche qui ci sono le strane spose dal collo cucito. Una sta leggendo un libro su una sedia a dondolo dalla vernice scrostata. Un'altra sta voltata verso una finestra con le inferriate, disegnando qualcosa con le dita sul vetro appannato.

È da qui che proviene la musica.

Resto a fissare per qualche secondo l'enorme grammofono, che fa girare un vinile graffiato e solo dopo mi accorgo delle cinque grandi vasche che riempiono la camera.

Il medico ci abbandona senza dire una parola. Ovviamente non chiude la porta, perché non ci sono porte, solo infissi che cadono a pezzi (mi sono dimenticata di dirlo, vero?).

Mentre Didì e io avanziamo verso il centro della stanza, restando vicine, sento un sussulto provenire dal suo corpo.

«Oh! Cristo sulle Furie!», Didì lo dice fremendo dall'emozione.

Seguo la direzione del suo sguardo verso la seconda vasca. È riempita interamente di acqua e una pallida ragazza galleggia al suo interno con gli occhi chiusi, immersa in una distesa di fiori dai colori disparati. I suoi capelli biondi fluttuano in lunghe onde a rallentatore. Le labbra violacee sono appena dischiuse.

«Chi è?», domando in un soffio, senza staccarle gli occhi di dosso.

«Quella è Ophelia, my love!»


♥♥♥

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora