36. Cuori selvatici

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Quando mi risveglio, gli occhi bruciano.

Sento la schiena inumidita e mi accorgo di essere sdraiata su del muschio scuro.

Sono in una foresta.

Il rumore di un ruscello d'acqua si mescola al forte odore dei pini selvatici, avvolti da una spessa nebbia bianca, che accarezza gli innumerevoli tronchi, slanciati a perdita d'occhio nel cielo.

Impiego qualche secondo per mettermi a sedere, perché la testa vortica paurosamente e mi sento l'intero corpo a pezzi, come se qualche sconosciuto avesse bruciato i miei legamenti, per poi ricompormi in un disegno diverso.

La foschia si appoggia su una sagoma brillante. Riesco a metterla a fuoco solo con un po' di sforzi.

Davanti a me sosta immobile una donna.

Ha il volto bianco, il naso dipinto di nero, come il muso di un animale, e due enormi corna di cervo bianche s'innalzano dalla sua testa, come candidi rami di alberi.

Le sue braccia sono ferme contro il corpo e i lunghissimi capelli bianchi le scivolano addosso, simili a una seconda pelle, mossi da un leggero vento. Il vestito color ghiaccio che indossa si allarga sull'erba bagnata come la luce della luna.

Respiro a fatica e piano, per non spezzare l'incanto di quel silenzio.

La donna mi guarda seria, senza dire una parola. Solo allora noto che, sugli alberi alle sue spalle, sono appesi numerosi specchi circolari, di diverse dimensioni, che riflettono frammenti spezzati della sua immagine.

«Chi sei?», mi accorgo che anche parlare è faticoso.

La donna non risponde. Mi volta semplicemente le spalle e inizia a camminare nella foresta. Così mi alzo con fatica in piedi e lo sgomento mi avvolge d'improvviso freddo perché mi accorgo che sono sola. Non ci sono né Didì né Luce con me, solo alberi.

Con il cuore che batte all'impazzata seguo la Donna Cervo, che solo di tanto in tanto si ferma per voltarsi a guardarmi con i suoi enormi occhi neri (sono simili alle pupille dei gatti nel buio, le ingoiano quasi tutte le iridi).

Cammino a piedi nudi nel bosco, evitando enormi massi, radici e alberi spezzati e mi sento osservata da sguardi invisibili, così mi abbraccio, mentre la nebbia umida mi bagna la pelle.

Mi sento strana. Come se mi avessero separato troppo in fretta da me stessa.

Dove sono finita?

Tutto quello che prima nella mia testa pareva familiare, ora è frammentato, distorto e vecchio e io sono improvvisamente troppo diversa per tornare indietro.

Mi chiedo dove siano finite Dalila e Luce e mi sento tradita e un po' strappata, ma non posso far altro che continuare a camminare.

Seguo la Donna Cervo, che, come una lanterna muta, bagna di bianco la foresta con i lunghi strascichi del suo vestito. Mi chiedo come facciano a non impigliarsi continuamente in tutti quei rami, né a raccogliere le foglie secche che volteggiano nella polvere.

Nel mezzo della foresta inizia a rendersi visibile un sentiero sabbioso, circondato da strani alberi spogli, simili a mani scheletriche piantate nella terra, con le dita ossute aperte in modo affamato verso il cielo.

Continuo a camminare dietro alla donna, finché gli alberi si diradano e il paesaggio intorno cambia rapidamente, rivelando un cielo celeste e forse troppa luce per i miei occhi.

Gli alberi scheletrici ci conducono all'entrata di un labirinto.

Un brivido si solleva stanco sulle mie braccia, quando inizio a percorrere gli alti muri di siepi. Penso alla cattiva fama che hanno i labirinti e cerco di stare attenta a dei pozzi senza protezione, sparsi qui e là, da cui si possono vedere pezzi di cielo.

Sono talmente stupita da ciò che mi circonda, che non mi accorgo neanche che la Donna Cervo si è fermata. Così sbatto contro il suo corpo minuto e spaventata cerco di prendere le distanze, ma lei si volta verso di me e mi afferra una mano. Mi abbasso appena per evitare le sue enormi corna bianche che passano lente sopra la mia testa e poi mi perdo nei suoi occhi animali, che mi guardano con compassione e fiducia.

Insieme percorriamo innumerevoli strade nel grande labirinto. A volte scopriamo che alcuni passaggi sono chiusi e così cerchiamo nuove strade, sempre tenendoci per mano. Lei non sembra scoraggiata quando si trova davanti una strada bloccata. Alza i grandi occhi neri ai muri di rami e foglie e fa una specie di piccolo inchino di assenso, come per ringraziare anche quell'ostacolo di essere lì.

Non so quanto trascorre, perché perdo il senso del tempo e, quando meno me lo aspetto, sbuchiamo in uno spiazzo, a cielo aperto, senza barriere. Il sollievo è tanto che è quasi violento.

Nasce davanti ai miei occhi uno scenario che mi spezza il fiato.

Un enorme e altissimo trono di alberi intrecciati occupa quasi tutta la vista. Sopra sta seduto un vecchio, grande come una montagna e con una corona d'oro appuntita in testa. L'uomo sta ricurvo nelle sue larghe vesti grigie. Le mani nodose sono appoggiate sulle gambe. Gli occhi paiono cuciti in due sottili fessure. Sembra quasi una grossa quercia dormiente.

Una lunghissima barba bianca invade il suo viso e scende sulle sue vesti, giù fino ai piedi e poi ancora sotto il trono, fino a trasformarsi in un lunghissimo corso d'acqua, che scorre tortuoso e limpido nel terreno sabbioso, raggiungendo i miei piedi.

La Donna Cervo segue il torrente, accompagnandomi vicino all'enorme re. Sempre tenendomi per mano, mi trascina nel fiume e io la seguo senza pensarci, mentre le nostre vesti si gonfiano di acqua lucente, confondendosi, come latte e sangue.

Il mio sguardo passa per un secondo dal grande uomo agli occhi inchiostro della donna che mi fissano, facendomi un cenno, come per incoraggiarmi.

Appena deglutisco, vedo le palpebre cucite del grande re sbattere appena, come se si stesse risvegliando. Quando i suoi occhi pieni di fili si aprono, tremo.

Nelle sue orbite pulsa l'universo: vedo stelle, pianeti, buchi neri e comete incendiare quello spazio infinito.

Una sensazione familiare mi striscia sottopelle.

Solo un'altra volta mi sono sentita così mentre fissavo qualcuno. È stato nelle allucinazioni della Stanza delle Pillole, di fronte allo sguardo antico di quel bambino pieno di rughe.

«Ti stavo aspettando», tuona la sua grossa voce, come se risuonasse dalle profondità della terra.

«Chi sei?», chiedo cautamente, nel fruscio dell'acqua.

Un largo sorriso pacifico dipinge la labbra raggrinzite dell'uomo, che si raddrizza sul suo trono di alberi spogli.

«Oh, noi ci siamo già incontrati, Ciscandra. La notte che quella carrozza ti portava al Sanatorio, poi nella sala della Regina Bipolare e ancora, nelle tue visioni», dice il vecchio sollevando appena il mento.

«Sei il neonato. Mi hai detto di trovarti per uscire di qui», dico con voce ferma.

«Sì, sono il feto invecchiato, sono l'albero pieno di occhi nella stanza della Regina e anche l'uomo che nasconde la luna», dice lentamente.

Ci metto un attimo per elaborare le informazioni: «Dove sono i miei amici? Che cosa accadrà adesso?»

L'acqua che mi bagna i polpastrelli, sembra portare via dal mio corpo tutta la tensione accumulata.

«Ci si domanda sempre cosa sta per accadere. Fa tanta paura il futuro, non è così? Abbiamo sempre quest'ansia di prefigurarci le cose, come se ci potessimo preparare ad affrontare meglio le lezioni che ci vengono mandate. Eppure il male, quando arriva, è sempre insopportabile. Allo stesso modo è la gioia. Può coglierci talmente all'improvviso, stordirci a tal punto, da strapparci per sempre a ciò che eravamo», a ogni sua parola, mi sembra quasi di sentire la terra rombare sotto i piedi.

«Non posso dirti cosa ti riserverà il tuo viaggio, Ciscandra. Non saresti pronta ad accettarlo, né tantomeno a comprenderlo. Ma ti posso dire, che tutta la passione che stai mettendo nelle tue lotte ripagherà. Tu hai pagato il prezzo e ora il buio ti illuminerà la strada.»


♥♥♥

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora