12. Il Sanatorio del Litio

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Le strade che percorriamo nella notte sono tutte sterrate e buie.

A volte sobbalziamo a causa di qualche buca e la cinghia mi strattona fortemente.

Sento la pelle bruciare, consumata dal collare che fatico ad allentare perché non riesco a stringerlo con le dita gelate.

Il freddo ci irrigidisce a tal punto che siamo costrette al silenzio e solo qualche tempo dopo mi accorgo che ha iniziato a nevicare. Piccoli fiocchi di neve rallentati scompaiono inghiottiti dalla mia pelle e mi chiedo se ho perso sensibilità, perché non li sento neanche appoggiarsi su di me.

Scorgo a malapena le figure di Luce e Didì addossate al carro, mentre di tanto in tanto si solleva il nitrire dei cavalli, frustati dai nostri misteriosi accompagnatori.

Il vento si alza col gracchiare di alcuni corvi, prima che mi renda conto di una grande struttura luminosa alla nostra sinistra. È un enorme edificio a forma di mezza luna e la sua luce fluorescente si rispecchia in un grande lago che la circonda interamente.

«Che cos'è quella?», chiedo, vedendo di nuovo, dopo molte ore, i volti segnati di Luce e Didì.

«Quello è il Padiglione dei Grandi Lunatici», risponde con tono piatto Luce.

«I Grandi Lunatici?», chiedo senza capire.

Vedo numerosi cartelli che emergono dall'acqua, attaccati ad alte palafitte. Portano diverse scritte: "Pericolo", "Non avvicinarsi!", "Attenzione! Possibile contagio!".

«Lì sono rinchiuse le persone perennemente depresse», mi dice Luce, mantenendo lo sguardo fisso sulle sue mani, «Dicono che tutte le loro lacrime diano vita al lago che circonda l'intero edificio»

Mi accorgo di avere le labbra secche solo quando le inumidisco. «Ed è vero?», chiedo ipnotizzata dalla luce aliena.

«Oh tesoro, la maggior parte delle volte si è così depressi che neanche si ha la forza di piangere», risponde Didì e solo allora mi chiedo quale sia la sua vera storia, di cosa si stia nutrendo l'enorme ombra sorridente che cerca di divorarlo alla luce del sole.

Pochi istanti dopo le ruote del carro inchiodano e non ho nulla a cui aggrapparmi, così cado a terra. Per fortuna il colpo alla testa non è troppo forte anche se le tempie iniziano a pulsare martellanti e delle macchie nere divorano il mondo intorno a me. Solo quando tutto smette di girare, mi accorgo dello sconfinato cancello di ferro battuto che taglia maestosamente la nebbia.

Il muro di sbarre, alto almeno sette metri, è interamente ricoperto di edera e termina con delle punte affamate che sembrano quasi brillare. Non riesco a vedere dove finisca il cancello, così come non riesco a vedere dove sia precisamente l'entrata.

Quello che però mi lascia basita è la strana figura che pare quasi scivolare in silenzio fino a noi, per afferrare i nostri guinzagli e tirarci fuori dal carro con uno strattone deciso.

È una piccola creatura pelosa, con una testa bianca e lunghe orecchie appuntite, stese orizzontalmente. Il naso è piccolo e rosso, mentre gli occhi non riesco a vederli, perché sono chiusi, come se stessero sognando placidamente. Il piccolo essere non parla, gli angoli della sua bocca sono rivolti verso il basso in una smorfia immobile. Indossa un cappotto grigio, rattoppato in più punti, e porta dei sonagli legati ai polsi.

La cosa più affascinante è però la strana cassa di metallo che indossa sulla schiena, da cui partono un'infinità di aste di ferro, modellate in diverse curve sinuose e alle cui estremità sono appese una miriade di lanterne colorate.

La creatura muta pare un lampadario vivente. L'unico suono che emette sono i cigolii e tintinnii dell'enorme armata di lampadine che indossa.

Didì, Luce e io lo seguiamo con passo svelto, con le mani attorno ai nostri collari, perché il piccolo lampadario tira dannatamente mentre cammina verso il grande cancello nero.

Un intreccio di mille colori illumina il nostro cammino.

Mi domando come possa essere così luminosa la nostra strada verso l'inferno.


***


Il Sanatorio del Litio non è una struttura imponente. È un largo e alto palazzo vittoriano, con tantissime finestrelle gotiche e strani gargoyle sorridenti di pietra annerita. Sembra una creatura dai mille occhi luminosi protetti da spesse inferriate. Alcuni occhi sono aperti e gialli, altri invece sono chiusi da piccole imposte di legno. A vederlo da fuori, sembra quasi un buon posto dove cercare rifugio.

«Casa, amabile e sanguinaria casa!», sospira Luce, come se ormai fosse già abituata ai suoi brevi viaggi di libertà all'esterno.

«Spero che abbiano almeno del make-up! Alzarmi senza neanche un filo di rossetto è un'impiccagione assicurata per me!», dice Didì e sinceramente non capisco se stia scherzando o sia serio.

Lo strano animale-lampadario tira i nostri collari attraverso un lungo tunnel di pietra. Per un momento tutto ciò che riesco a sentire sono i sonagli alle sue mani che tintinnano frenetici, mentre l'unica cosa che mi è permessa vedere sono i nostri piedi che calpestano quadrati di colore con affanno.

Quando d'improvviso ci fermiamo, non so se sia più violento il bianco che ci sorprende accecante o il suo strano movimento, che ci sbatte d'improvviso in una stanza.

La creatura non sfiora neanche per un secondo la luce, molla i nostri guinzagli di pelle a terra e si nasconde di nuovo nel buio, dissolvendosi velocemente.


♥♥♥

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora