Con le lacrime come schegge ancora in gola, Didì e io ci troviamo di nuovo nel buio più completo. Stavolta, però, non ci sono spifferi freddi che ci accarezzano il viso, ma odore di un ambiente chiuso da tempo. Forse quello che più mi sconvolge è il totale silenzio.
«Oh, Cristo sulle Furie! Credevo di esplodere con Ophelia e le sue parole. Non so cosa stiamo per affrontare, my love. Ma il mio cuore non reggerà ancora a lungo, cara!», Didì lo sussurra così piano che sento appena la sua voce calda sulle orecchie.
Una luce tremula dipinge a poco a poco le pareti. Mentre il buio diluisce sempre più, capisco che siamo alla fine di un corridoio e che la luce proviene da qualcosa lì vicino, ma bisognerebbe girare l'angolo per scoprirlo.
«Didì? Credi ci sia una trappola?», bisbiglio voltandomi verso di lei.
Dalila mi sta alle spalle (come sempre quando teme qualcosa) e, facendo spallucce, arriccia il naso con uno strano sbuffo. «Ah, tesoro! Non ne ho la più pallida idea! Ma se ora sono qui e non attaccata come una bistecca a quegli inquietanti ganci da macelleria... direi che possiamo scoprirlo!», lo dice a una velocità inconcepibile, ma sempre a voce bassa.
Così avanziamo pian piano nella penombra e, voltato l'angolo, ci troviamo di fronte a qualcosa di piuttosto curioso.
La luce proviene da un grande candelabro di ferro battuto, poggiato su un massiccio tavolo antico, a cui stanno seduti due bambini, intenti a disegnare. Le gambe delle due piccole creature non arrivano neanche a toccare terra, mentre gli enormi schienali arricciati delle sedie, li sovrastano come grandi ali di aquile nere. Entrambi indossano un completo bianco e portano i capelli corvini, tagliati corti, a caschetto.
Sono due gemelli.
Didì accanto a me si irrigidisce, mentre restiamo ferme senza fiatare, a pochi metri dal tavolo, che mi accorgo essere appoggiato su un pregiato tappeto persiano. I bambini, però, non si accorgono di nulla e restano assorbiti dal loro lavoro, senza alzare la testa.
Per un attimo, mi sento il mostro di cui si ha sempre paura, quello che sta in agguato nell'oscurità, quello che ci spaventa anche da grandi.
Didì si sporge oltre le mie spalle, cercando di guardarmi in viso, per capire cosa ho intenzione di fare. Dopo la Sala del Tè, tutti i bambini che vedo mi danno i brividi. O forse mi hanno sempre dato i brividi? Per qualche strano motivo, i più piccoli hanno uno sguardo ancora così trasparente, riescono a leggerti tutto dentro. E sì, forse è sempre stato questo a mettermi a disagio.
Mi faccio coraggio per dire qualcosa: «Ciao bambini, cosa state facendo?»
Quello a destra, alza uno sguardo fiammante e, per un attimo, sorpreso. «Stiamo disegnando», risponde poi rilassato, appoggiandosi di nuovo allo schienale della sedia, mentre un grande sorriso gli riempie il volto. I suoi occhi chiari, splendenti come laghi dipinti, tornano poi al foglio.
Impacciata prego che Didì venga in mio aiuto, ma, dal suo silenzio continuo, capisco che non vuole saperne di farsi avanti, così arrischio: «Sapete per caso come si esce di qui?»
Ma la mia domanda cade nel vuoto. Nessuno dei due gemelli alza lo sguardo. Così mi avvicino lentamente di qualche passo, per guardare i loro disegni.
Quello a destra sta disegnando una stanza da letto, con ampie vetrate, da cui entra molta luce, che illumina tutti gli oggetti della camera. Quello di sinistra invece, che non ha ancora alzato lo sguardo dal suo foglio, sta disegnando la stessa stanza, ma più buia, scura.
Penso che sia la loro stanza, quella in cui dormono assieme.
«Come mai disegnate tutti e due la stessa cosa?», chiedo d'istinto, senza pensare.
«Be', perché serve sempre qualcuno che disegni le ombre!», il bambino di destra mi guarda stupito e un po' imbarazzato, come se la mia domanda fosse chiaramente molto stupida.
«Sono molto belli», cerco di dire con dolcezza, mentre il bambino solare annuisce orgoglioso, sfregandosi un occhio con le piccole dita sporche di pennarello.
Eppure sono incuriosita dal bambino di sinistra, quello silenzioso, che continua a colorare assorto le ombre sulle pareti della stanza, come se non si fosse reso conto della nostra presenza. Così provo a dirgli qualcosa: «Disegni veramente bene anche tu»
Quando il bambino alza il suo sguardo, le braccia mi tremano per un secondo in modo incontrollabile. Ha gli occhi completamente neri, come se le ombre del disegno si fossero sciolte nelle sue iridi.
«Ma il mio è più bello! Guarda! Guarda! Ho disegnato anche il mio camion qui!», urla infastidito il bambino di destra, battendo le mani sul tavolo e cercando di afferrare di nuovo la mia attenzione.
Mi volto sorridendogli, cercando di ignorare il bambino dalle iridi nere, che mi fissa immobile. «Tu sei oscura ma ti comporti come una dea», dice quest'ultimo alla fine, con voce dura, quasi arrabbiata.
Non capisco la sua frase e ci resto anche un po' male, perché sto cercando di comportarmi bene e non mi sono sembrata così sgarbata finora da ricevere tanta rabbia.
«Cosa intendi?», gli chiedo cauta. Sostenere quelle orbite abissali mi confonde. Ho paura di caderci dentro.
«Che tu non sei buona. Ti atteggi da dea, come se fossi dolce e carina. Ma sei cattiva!», lo grida, stringendo forte i pugni sul suo disegno.
«Cattiva?», dico confusa, mentre una strana nebbia scende dentro di me.
«Forse faresti meglio a cercare chi disegna le tue ombre. Solo quando il tuo marcio ti camminerà a fianco potrai avere una vera profondità», l'ultima frase la dice serio, senza nessuna particolare inflessione nella voce, come se avesse temporaneamente chiuso tutte le sfumature delle emozioni in una scatola.
Mi giro senza capire verso il bambino solare, che fa spallucce. «Forse è vero quello che dice. Dovresti andare a cercare il tuo Disegnatore di Ombre. Se no rimarrai imprigionata qui tutta la vita.»
A quel punto Didì si schiarisce la voce e si accuccia per fare una domanda: «E, tesori cari, dove possiamo trovarlo questo Disegnatore di Ombre?»
È solo in quel momento che il bambino dalle iridi nere spalanca un grande sorriso sul suo volto, mentre i suoi occhi restano inespressivi. La sua vocina si fa stranamente dolce: «Be', per trovarlo dovete solo proseguire. Ma fareste meglio a prendere quel candelabro con voi»
Dalila e io ci scambiamo un'occhiata per qualche secondo.
Mentre i bambini tornano al loro disegno, mi avvicino e prendo lentamente il candelabro di ferro battuto. È freddo al tocco e ruvido in alcuni punti, perché rovinato dalla ruggine, ma soprattutto tremendamente pesante.
Il bambino solare abbandona sul tavolo il suo pennarello rosso e mi guarda annuendo: «È sempre greve da portare la luce, eh!»
Corrugo le sopracciglia, per quella parola così inusuale detta da un bambino così piccolo. Ma c'è qualcosa, nella sua affermazione, che accelera i battiti del mio cuore e mi impedisco di rispondere. Ho paura possa accadere d'improvviso qualcosa di strano.
«Andiamo, my love!», Didì a debita distanza mi fa segno di seguirla, mentre le fiamme sul grande candelabro per un attimo si alzano, diventando più intense tra le mie mani.
«State attente! Possono essere molto affascinanti!», dice il bambino solare e queste sono le ultime parole che sentiamo, prima di continuare il cammino sul lungo tappeto persiano, che ci conduce nuovamente nell'oscurità.
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Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° Libro
FantasyImmagina un viaggio onirico in una dimensione parallela, ispirata alle malattie mentali. Questo è quello che dovrai affrontare insieme a Ciscandra. Solo così potrà svegliarsi dal coma che la imprigiona in un sogno senza fine. Esplora i paesaggi surr...