Appena esco il sole mi coglie alla sprovvista, costringendomi a chiudere gli occhi.
Lo scenario che mi trovo davanti mi lascia incapace di elaborare qualsiasi pensiero per qualche secondo. Sono travolta da una serie di immagini inspiegabili e mi domando se per caso non sia stata trascinata indietro nel tempo.
La città che mi respira attorno, brulica di colori e schiamazzi.
Ci sono donne che camminano lente con corsetti rifiniti di fantasie barocche. Hanno vitini stretti ed enormi gonne con strascichi che sfiorano la strada acciottolata. Alcune portano strani cappelli piumati e variopinti in testa, molte hanno i capelli raccolti come Isabel. Gli uomini invece indossano alti cilindri neri e giacche piene di bottoni, panciotti a righe e orologi da taschino appuntati al petto. Molti hanno lunghe basette e folti baffi. Alcuni passeggiano accompagnati da bastoni intarsiati, altri sono fermi in circolo a chiacchierare, intenti a fumare i propri sigari pregiati. In lontananza si sente la musica di una banda. Diverse coppie si riparano dal sole, passeggiando sotto ombrellini di pizzo. Altre sono ferme davanti alle immense vetrine dei negozi più disparati: fornai, sarti, barbieri, pipe, alimentari, falegnami, saponi. C'è uno strano odore di rancido nell'aria, coperto dalla scia del profumo di qualche signora.
Ma in tutto questo clima idilliaco sono due le cose che realizzo d'improvviso e che mi scuotono con un brivido.
La prima, è che tutte le persone che vedo sorridono. Certo, in questo non c'è niente di anomalo. Eppure è strano il modo in cui lo fanno: sorridono troppo, sorridono sempre, con larghe bocce rigide e denti bianchi tutti in vista. È quasi come se si stessero sforzando, perché molti dei loro sguardi sono spenti ed esangui.
La seconda cosa, è che ogni persona è seguita da un'enorme ombra nera e questa non è incollata a terra, ma striscia alle spalle della persona mentre questa cammina, o sosta con lei, fluttuando, ma sempre senza emettere alcun suono.
Le ombre sono delle dimensioni e forme più disparate. Non tutte hanno sembianze umane: alcune sembrano sagome di oggetti o animali, altre mutano così in fretta che è impossibile definirle. L'unica cosa che le accomuna è il loro nero, denso e quasi vibrante, e i loro artigli ricurvi e affilati.
«Oh, mio Dio!», lo dico piano, perchè ho la gola talmente secca che la voce fatica a uscire.
«Che succede, tesoro?», mi chiede Dalila voltandosi con una mano sulla guancia.
Solo allora mi accorgo che anche lei e Isabel hanno quel sorriso meccanico sulle labbra, ma chiedo una cosa sola: «Che cosa sono quelle?»
Una donna con un vestito arancio e un cappello affollato di sottili piume verdi mi passa davanti. La sua ombra somiglia a un enorme serpente o forse è meglio parlare di drago, perché ha delle ali talmente grandi da oscurare il sole al suo passaggio.
«Oh, my love! Ma queste sono le nostre malattie!», dice Didì, stringendosi nel completo scuro.
«Le vostre...», lo dico guardandola allibita, poi mi volto verso Isabel, che sta indossando un paio di guanti bianchi.
Solo ora riesco a vederle.
Anche Dalila e Isabel sono sovrastate da enormi ombre silenziose.
«Oh cara, non spaventarti! Non possono farti alcun male!», dice Isabel, mentre io cerco di fissare negli occhi l'essere mutevole che le sta alle spalle, ma mi rendo conto che di occhi non ne ha. La sua ombra somiglia forse a un cervo, ma è strano, perché penso abbia anche delle zanne. Quella di Didì è invece forse qualcosa con delle squame. Ma a volte si scrolla interamente e allora appare anche qualche braccio.
«Che cosa... Perché non le ho viste prima?», chiedo senza riuscire a staccare loro gli occhi di dosso.
«Oh, compaiono solo alla luce del sole. Ma non sappiamo bene perché », mi risponde Isabel, dando un buffetto al piccolo gufo, che sta sonnecchiando placidamente sulla sua spalla.
Solo qualche momento dopo mi accorgo di essermi allontanata di qualche passo da loro. «Ma... ma... a cosa servono... cioè... cosa...», le parole escono tremando senza avere forma.
«Sono totalmente innocue per te, tesoro. Noi siamo le uniche a cui possono fare del male», dice Isabel guardandomi e continuando a sorridere meccanicamente.
«Voi?», dico con le mani improvvisamente fredde.
Lei si guarda intorno brevemente e poi dice a bassa voce: «Noi possiamo, come dire, essere impossessate dalla nostra malattia»
«E che cosa succede se venite impossessate dalla...», chiedo senza riuscire a finire la domanda.
«Oh, care! No, no, no! Vi prego! Non possiamo parlarne ora! Non qui!», risponde Dalila con un filo di esasperazione, cercando un segno d'assenso nei nostri sguardi.
Cerco di ignorare la sua ombra nera e di concentrarmi sui ricami del suo turbante che risplendono alla luce del sole. Poi continuiamo a camminare piano, quasi più lentamente di prima, mentre il silenzio ci distanzia per qualche minuto.
Ma un grido si leva d'improvviso: «Aiuto! Chiamate gli Stabilizzatori! Presto! Chiamate gli Stabilizzatori!»
Le cose che vedo in sequenza sono queste: un bambino, che aveva le mani appiccicate all'enorme vetrina di un negozio, si allontana correndo. Ha i piedi nudi, dei vestiti stracciati e un basco nero in testa. È sporco dalla testa ai piedi, come se fosse stato immerso totalmente nella fuliggine. Ma la cosa che si nota immediatamente è l'espressione triste che lo segna in modo violento: ha gli occhi spezzati dentro, come se avesse ferite invece che pupille.
Le ombre iniziano ad agitarsi impazzite, mentre le persone si bloccano spaventate. Didì e Isabel voltano di scatto la testa, come se guardare quel piccolo bambino negli occhi fosse un pericolo mortale.
«Aiuto! Gli Stabilizzatori! Presto! Presto! Vi prego fate presto!», la donna che lo grida ha un'espressione sconvolta. È paonazza e a forza di gridare la voce le si strozza in gola.
Quello che accade in seguito, accade molto velocemente.
Sento degli zoccoli di cavalli sopraggiungere al galoppo. Una carrozza con enormi ruote rosse si ferma a pochi metri da noi. Dall'abitacolo traballante scendono degli uomini bendati, in una strana armatura celeste e con delle lance affilate che terminano con delle mezzelune.
Quando il bambino viene preso non emette neanche un suono, non lotta, non si dibatte, non protesta: guarda semplicemente il soldato che ha di fronte, allunga le sue piccole braccia per farsi prendere in braccio e scompare nella carrozza. I cavalli partono così in fretta da alzare un'enorme nuvola di polvere in strada.
«Chi erano quelli? Dove lo portano?», dico spaventata.
Isabel e Didì spostano solo i loro occhi verso di me restando però immobili come statue. Mi guardo intorno mentre la gente ricomincia pian piano a camminare, le ombre paiono calmarsi e il rumore della città torna a scorrere insieme al tempo.
«Sono gli Stabilizzatori dell'Umore, mia cara. Guardie della regina», il sorriso di Isabel è spezzato.
«C'è una regina?», chiedo incredula.
«Oh, sì tesoro. Siamo sotto una dittatura spietata!», risponde Didì iniziando a farsi aria con una mano.
«Ma dove portano quel bambino?», dico voltandomi nella direzione della carrozza ormai scomparsa.
«Quello era un lunatico, tesoro», Didì ora mi guarda seria, con una mano appoggiata al fianco. La sua ombra, dietro di lei, ondeggia le braccia da un lato all'altro.
«Un...», espiro esasperata.
«Lo so, tesoro caro, sei confusa! Ma ora vieni, siamo arrivati. Vieni e avremo un posto dove parlare con più calma», Dalila mi si avvicina piano, forse ha paura di spaventarmi. Così io evito di guardare la sua malattia e lei mi mette un braccio intorno alle spalle.
Ho decisamente bisogno di conforto.
♥♥♥
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Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° Libro
FantasíaImmagina un viaggio onirico in una dimensione parallela, ispirata alle malattie mentali. Questo è quello che dovrai affrontare insieme a Ciscandra. Solo così potrà svegliarsi dal coma che la imprigiona in un sogno senza fine. Esplora i paesaggi surr...