35. La preghiera della donna-scorpione

1K 155 71
                                    


Mentre stringo le mani roventi della donna, una visione inizia a respirare nei miei occhi spalancati, salendo lenta dalle mie dita.

Mi ritrovo di nuovo nel teatro, legata a una sedia della platea.

I volti delle persone intorno a me sono divorati dalle urla. Stavolta non sono grida mute, le sento. Sono tantissime.

Nessuno di noi riesce a divincolarsi da queste strette catene. Per quanto disperati, siamo costretti qui, a guardare in faccia un'enorme onda di dolore da cui continuiamo a fuggire.

La donna bionda passa con sguardo vacuo tra le file di poltrone, sfregiando con il coltello brillante diverse bocche, che chiedono pietà a gran voce o piangono sommessamente. C'è anche chi reagisce al dolore con rabbia, insultando pesantemente la donna, come se si rifiutasse di credere che tutto quel tormento debba essere inflitto proprio a lui.

Quando la figlia della regina mi arriva di fronte, sorride.

La lama splende nelle sue mani bianche.

Non c'è nessuna vita a gonfiarle il ventre e la mia bocca non partorisce nessun grido mentre mi incide la fronte. Sento solo la pelle bagnarsi calda e un sapore metallico arrivare a sfiorarmi le labbra.

A differenza del mio incubo, nella Stanza delle Pillole, ora le immagini si susseguono più velocemente e le cose mi paiono più reali, ma comunque distorte, come se potessi accarezzarmi una guancia dall'esterno.

La donna lascia cadere il coltello per terra, toglie le catene dalle mie braccia e allunga le mani verso di me. Mentre le stringo, i percorsi segnati sui suoi palmi, penetrano nel mio sangue, come un destino.

Di nuovo, altre immagini colorano i miei occhi in un coro di voci.

Vedo la torre di pietra, il letto a baldacchino con le rose appassite. La donna è accasciata sul pavimento e si tiene l'enorme pancia, gemendo. Il dolore delle doglie è tanto che le offusca la mente. Ha paura di spezzarsi dentro e impazzire. Eppure sa che non può essere altrimenti, sa che quella è la sua croce e che deve portarla con dignità.

Sa che solo così si partorisce la luce.

La scena cambia.

Vedo di nuovo la figlia della regina.

Stavolta stringe tra le braccia un fagotto di lenzuola macchiate, ma nessuna paura si arrampica nella mia gola, quando scopro il bambino senza volto nel suo abbraccio.

È in quel momento che la donna alza lo sguardo nel vuoto, verso di me.

Mi sento un fantasma invadente, come se avessi un orecchio appoggiato sul suo petto, teso ad ascoltare ogni segreto.

Non so perché, ma in quel momento capisco che non è stata la Regina Bipolare ad averla rinchiusa nella torre. È stata lei stessa a murarsi viva in quelle pietre. Era l'unica arma che aveva per affrontare quel violento dolore che non sapeva come gestire: difendersi per sopravvivere. La vedo abbassare gli occhi per guardare il viso perfettamente levigato del figlio. È da quando si è rinchiusa nella torre che ha iniziato a partorire bambini senza volto.

Perché?

Perché la follia trasfigura?

O forse perché è il dolore non abbracciato a cancellare ogni espressione dal volto? A non portare alla luce mai nessun nuovo nato che abbia occhi diversi sul mondo?

Il bambino agita le piccole manine bianche nella penombra. È una statua perfetta, pensata per non essere sfregiata da niente. Invincibile.

Sì, perché questa è l'unica via per non esplodere in mille schegge. Forse è per questo che il vuoto si ispessisce giorno dopo giorno nei tuoi occhi, per nascondere dentro quel sentire così incontrollabile che spaventa.

È così che si diventa mostri?

No. Forse è solo così che si diventa puramente umani.

Guardo la donna immobile che continua a fissare il muro di pietra, attraverso il mio corpo. Stavolta sono io a vederla inerme.

Penso alla Regina Bipolare, ostinata a costruire un mondo di soli sorrisi, e alla figlia, che si preserva dal dolore con alti muri ma partorisce così bambini senza volto.

Come si sopporta tutto questo?

Sento quasi il cuore strappare la pelle, spaccare le ossa per mostrare i suoi denti e ringhiare forte.

Poi un dolore lancinante mi trafigge i piedi.

Mi sento quasi svenire, mentre un urlo mi svuota i polmoni.

Penso per un attimo che i miei occhi siano ancora annebbiati di visioni, ma poi vedo Didì con le mani schiacciate nel volto deformato da un grido e, quando abbasso lo sguardo, sotto il vestito della donna sollevato, scorgo il resto del suo corpo.

La donna ha una coda.

Un'enorme coda da scorpione nera e mi ha punto.

Mi accascio sul pavimento, senza sentire più niente.

Sento solo la sua voce:

«Ti ho ferito, Ciscandra, ma non morirai per un frammento di oscurità. È la tua oscurità e devi prendertene cura, che tu voglia o no. Forse sì, quando avrai il coraggio di guardare con sincerità i coltelli che ti feriscono, la confusione riempirà ogni tuo capillare e tutto si rovescerà. 

Forse sì, ti ritroverai sola per strada e tutto il calore e la confidenza che conoscevi, si allontaneranno improvvisamente. E ti sentirai persa e abbandonata, gli occhi accoglieranno solo il buio e non riuscirai più a guardare in faccia le persone che ami. 

La vita ci chiede a volte di fare cose difficilissime. Ci sono dei momenti, in cui ci affida tra le braccia un dolore così grande che pensiamo di impazzire. Veniamo messi di fronte a enormi distanze, immensi silenzi e nel cambiamento improvviso il caos regna sovrano. L'unica libertà che abbiamo allora è riconoscere che dobbiamo imparare a restare, che non esiste veramente alcun luogo in cui fuggire. 

E allora tu prega di riuscire a cullarlo, questo dolore, prega di non perdere la testa, prega che l'ansia non ti annulli, che la paura non ti offuschi la vista. Prega che la rabbia non ti porti a giudicare le persone come senza speranza. Non avvelenarti con l'odio, l'invidia o il cinismo. Credi nella fiamma che arde nei cuori altrui, anche se è celata da occhi spenti o distratti. 

È difficile abbracciare l'ignoto che avanza e lasciarsi guidare. È difficile, perché a volte la paura è tanta da svuotarti e troppo sangue gronda dalle nostre mani. 

Ma cosa c'è di più eroico, se non il resistere, l'aspettare, il portare e sopportare se stessi con cura e pazienza, il lasciare che il tempo levighi le cose, per portarle a nuova forma? 

Io sono in tutti, Ciscandra. Sono quel vuoto che ti porta a rinchiuderti dietro spessi muri di terrore, sono quel serpente che ti avvolge freddo, proteggendoti fino alla fine, con le zanne e il fuoco. 

Sono il male insopportabile, che pulsa sotto la tua pelle, quelle ombre che ti osservano lucenti negli occhi di chi disprezzi e quegli uomini neri che ti rincorrono nei sogni. 

Ma se ti rincorro, è solo perché voglio raggiungerti. Ti sto chiedendo solo di non respingermi. Accettami per quello che sono, affinché io non diventi violento. 

Lascia che le mie lacrime modellino il tuo volto, che scavino nelle tue guance nuovi modi di essere. Cerca per quando possibile di attraversarmi. Cerca di custodire in te una scheggia di speranza, immutata e viva, cosicché io non possa mai distruggerti.»

Sento solo un respiro debole uscire dalle mie labbra.

Una libellula argentata compare d'improvviso davanti ai miei occhi. Una libellula vera.

Lo sfarfallio veloce delle sue ali è disturbante.

Quando abbasso il mio sguardo, vedo solo la catenina al mio collo, senza ciondolo.

È in quel momento che si apre una botola nel pavimento.

Ho solo un secondo per specchiarmi negli occhi vacui della donna, prima di cadere libera nel cielo.

Dopo, vedo solo nuvole.


♥♥♥

Ciscandra - Il Mondo Bipolare || 1° LibroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora