Mi bruciano le mani.
Mi viene voglia di prenderla a schiaffi. Come si permette a dirmi cose del genere?
-Stai attenta a quello che dici, ragazzina.- le lancio un'occhiataccia, mentre continuano a camminare per il sentiero che porta alla mia baracca, cercando di mantenere la calma con tutte le mie forze. Non sono mai stato una persona paziente e con autocontrollo.
-"Ragazzina" vai a chiamare qualcun'altra- dice aspramente.
Alzo gli occhi al cielo.
È una tortura.
Deve per forza avere lei l'ultima parola.
-Finalmente.- mormoro vedendo la mia casetta di legno in lontananza.
-Tu vivi... Lì?- dice scettica.
Annuisco solamente aumentando il passo e, finalmente, entrando in casa.
Mi blocco sulla soglia della porta spaesato.
-E tu che cavolo ci fai qui?- dico perplesso fissando gli occhi azzurri di Damon.
Lui alza un angolo della bocca.
-È per controllare che tu non faccia cavolate... Ma a quanto pare ne hai già fatte.- dice soffermando il suo sguardo sulla ragazza dietro di me.
-Ma perché spuntate tutti dal nulla?- aggrotta la fronte lei esasperata.
-Tesoro, noi siamo sempre stati qui. Sei tu che dovresti farti una visita dall'oculista.- ammicca.
Lei lo guarda malissimo.
-è tutto sotto controllo. Ora puoi andartene Damon.- gli consiglio.
-Oh, no. Sto agli ordini del capo.-
-Hai detto tutto al capo?- chiedo scettico. Bell'amico.
-Ovvio che sì. Sai benissimo come va a finire con te a capo della situazione. è sempre la stessa storia.-
-Se magari tu non mi provocassi e non peggiorassi ogni dannatissima volta la situazione, tutto andrebbe a meraviglia.-
-Adesso scarichi la colpa a me?-
-Certo. Sei tu la causa di ogni problema.- dico facendo un passo avati verso di lui. -Tu mi hai messo in questo casino, e tu te ne prendi le responsabilità, per ogni mia cavolata. Ad ogni azione corrisponde una reazione, uguale e contraria. Tu crei casini a me, io creo casini a te. La cosa diversa è che comunque i casini te li crei da solo, visto che sei sempre tu la causa della mia ira.- gli dico puntandogli un dito sul petto e guardandolo con disprezzo.
-Avevo solo 9 stramaledetti anni, e avevo vissuto tutto ciò che un bambino di 9 anni non dovrebbe vivere. Ma tu come al solito hai peggiorato la situazione.-
Lui irrigidisce la mascella, guardandomi serio, e poi lancia un'occhiata dietro di me, come ad avvisarmi di qualcosa.
Mi sono completamente scordato della ragazza.
Spalanco gli occhi, maledicendomi mentalmente. Ho parlato troppo. Lei non deve sapere niente di me.
Mi giro verso lei, beccandomi uno sguardo di compassione.
Quanto può essere stupida? Io non voglio la compassione di nessuno. Non ho bisogno della compassione. è per colpa della compassione che mi ritrovo in questa situazione.
Irrigidisco la mascella.
Chiudo gli occhi per un secondo, regolarizzando il respiro.
-Damon, esci da questa casa, immediatamente.-
-Sai che non ti libererai mai di me così facilmente.- dice con presunzione.
Con uno scatto mi giro, afferrando il colletto della maglietta e sbattendolo contro il muro.
-Esci da questa casa immediatamente o ti sbatto fuori a calci nel sedere.- sibilo minaccioso ad un palmo di distanza dal suo viso.
Lui mi guarda con freddezza e con uno strattone si libera dalla mia presa, uscendo dalla porta, sbattendola dietro di lui.
Prendo un respiro profondo.
-Siediti. Dobbiamo parlare.- dico a Delilah.
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General FictionDopo due settimane dalla morte dei suoi genitori, Delilah decide di stabilirsi nella vecchia casa di famiglia in mezzo al bosco. Questa scelta cambia la sua vita radicalmente. Quel che la ragazza non sa è che da sempre, in quel bosco, vive un rag...