Nathan

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-Ti ho detto di sederti, ancora non l'hai fatto. Devi curiosare in giro ancora per molto?- chiedo fissandola mentre, come sta facendo da almeno dieci minuti, si guarda intorno.
-Okay, va bene.- sbuffa lei sedendosi sul divano consumato.
Si sta comportando come una bambina, ed io odio i bambini, soprattutto quelli tutti paffutelli che appena picchiano un'unghia contro qualcosa iniziano a strillare come dei dannati.
-Comunque non hai risposto alla mia domanda.- continua lei fissandomi.
-Quale domanda? Sai me ne hai fatte tipo 10 nell'arco di cinque minuti.- rispondo sarcastico.
-E tu non hai risposto nemmeno ad una.-
-Mi interrompevi sem...-
-Ma la vuoi smettere di dire cavolate e spiegarmi la situazione?- mi interrompe nuovamente.
La fisso con rabbia.
Lo fa apposta. Sa che mi sta dando fastidio. Vuole arrivare a qualcosa.
-Allora?- mi sprona.
-Allora cosa?- chiedo esasperato.
-Suoni la chitarra?- mi chiede.
Ma le sembra il momento di chiedermi se suono la chitarra?!
Questa ragazzina mi farà impazzire.
-Tu sei psicopatica, secondo me. Comunque sì, contenta?-
-No.-
La guardo male.
-Ora stai zitta o ti metto una museruola.-
-Ma le altre doman...-
-Stai zitta!- urlo sbattendo un pugno sul tavolino proprio di fronte a lei, seduta sul divano. Sobbalza, sorpresa dal mio gesto. Ma subito dopo sorride compiaciuta.
-È questo il tuo obbiettivo, vero? Quello di farmi arrabbiare, per poi distorcermi la verità, inconsciamente, visto che quando sono arrabbiato non sono più me stesso.- dico serio fissandola.
Il sorriso sulle sue labbra scompare.
-La cosa che non sai è che quando mi arrabbio sono estremamente pericoloso. E l'ultima cosa che vorrei fare è farti del male.-
Lei deglutisce, non sapendo che dire.
Tiro un sospiro e mi siedo affianco a lei.
-Michael McKing. Questo nome ti dice qualcosa?- chiedo. Magari mentre i genitori parlavano sarà spuntato il nome.
Ma lei scuote la testa.
-È il mio capo. Era anche il braccio destro di tuo padre. Sai che lavoro faceva tuo padre?-
-Era il direttore di un magazzino.- risponde ovvia lei.
-Non solo. Il suo magazzino fabbrica armi da fuoco. Le vendeva a contrabbando, guadagnando il doppio rispetto al ricavato dell'azienda.-
Lei mi guarda stupita.
-Michael, il mio capo, era un suo socio, il suo braccio destro. Ma circa vent'anni fa le cose andarono storte. Tuo padre fece un torto a Michael, e quest'ultimo finì in galera per circa cinque anni. Dopo essere stato scagionato trovò appoggio in Damon, e Damon trovò appoggio in me, un bambino abbandonato sul bordo della strada dai genitori, arrabbiando con il mondo intero. Ero proprio il tipo di persona che stavano cercando. Così è come se mi avessero adottato, divenni il loro punto di forza, puntarono tutto su di me. Mi addestrarono al combattimento, ma soprattutto mi addestrarono a nascondermi, senza essere visto, e ad osservare ogni minimo particolare, a leggere il labiale. Tutto questo perché seppero della tua nascita. Io ho sempre avuto il compito di osservarti e di proteggerti da chiunque, finché non sarebbe arrivato il momento adatto. Ed io sono stato qui per tutti questi anni. Era come se fossi il tuo protettore, ma allo stesso tempo il tuo stalker. Poi Damon ha fatto una cavolata, io ho fatto una cavolata e tutto mi è sfuggito dalle mani. Il mio compito, dopo la morte dei tuoi, era di rovinarti la vita.-
Ascolta con attenzione ogni mia parola, aggrottando la fronte di tanto in tanto.
-Era...?- chiede curiosa vedendo che nell'ultima frase ho utilizzato il passato.
-Sì, era. Perché non voglio più farlo. Non posso rovinare la vita di qualcuno per un motivo che nemmeno so. E poi, ti osservo da tanti anni, non lo meriti. Non meriti una vita del genere.- dico sinceramente.
Lei mi guarda, pensa che la stia prendendo in giro.
-Oh, ma guarda un po', la ragazzina non ti crede.- dice una voce fuori dalla finestra.
Mi giro verso Damon fulminandolo con lo sguardo, ma lui mi ignora completamente.
-E fai bene a non credergli. Sono tutte bugie.-

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