Frittelle

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"Trovato niente di interessante?"

"Perché Loki dovrebbe avere i capelli rossi?" esclama lui per tutta risposta. Sembra quasi offeso da questa cosa.

"Ehm ... perché sono rossi come il fuoco" azzardo. "Insomma, è mitologia, sono metafore."
"Ma perché rossi?" insiste.
Rido. "Non capisco perché questa cosa ti scandalizzi tanto!" concludo, poggiando una pila di libri appena restituiti vicino a uno scaffale in parte vuoto.
"Dove li metto, Clary?" esclama con voce strozzata Art; da dietro la pesante pila di libri che mi sta aiutando a portare, spunta un ciuffo di capelli neri arruffati.
"Mettili pure qui" rispondo, aiutandolo a poggiarli.
Il bambino si risistema gli spessi occhiali sul naso e poi fissa Erik.
"E lui chi è?"
"Art, lui è Erik. Erik, lui è Art, il nipote del vecchio."
"Piacere di conoscerti" dice Erik, tendendogli la mano.
Art la stringe. "In realtà mi chiamo Arturo, ma siccome è il nome più brutto mai esistito, mi chiamano Art."
Erik sorride comprensivo.
"Lo sai che il tuo nome derive dal latino e significa ..."dico.
"Uomo-orso, nominativo con cui anni dopo sarebbe stato chiamato anni dopo re Artù, sì, lo so. Ma non mi piace lo stesso" m'interrompe Art. "Invece il tuo nome, Erik, dovrebbe significare qualcosa del tipo 'eterno dominatore' o 'ricco d'onore'."
"Art è un onomasto, come suo nonno" spiego
"Davvero? E che mi sai dire sui nomi nordici?" chiede Erik, incrociando le braccia al petto. "Che mi sai dire del nome 'Loki'?"
"Non lo so, non ha un vero significato"
"Sì che ce l'ha" ribatte.
"E qual è?"
"Vediamo se riesci a scoprirlo" lo sfida il mio nuovo coinquilino.
Sorrido divertita dalla scena; fin'ora nessuno era mai riuscito a tenere testa ad Art in questione di onomastica. Non so se Erik si stesse inventando tutto al momento o se veramente il nome del Dio norreno ha un significato, ma certo Art ha già preso a cuore questa sfida.
Deve riscattare il suo onore di esperto dei nomi.
"Hai la fronte troppo alta" dice.
"Art!" lo richiamo.
"Non è un'offesa, è una constatazione" ribatte il bambino, quietamente. "Significa che sei intelligente. Ma ho la fronte alta anch'io" conclude.
"Bene, allora scopri cosa significa 'Loki'" conclude Erik, rivolgendogli un ultimo sorriso sornione.
Art annuisce e, dopo avergli lanciato un'ultima occhiata, esce.
"Nessuno gli aveva mai tenuto testa."
"C'è sempre una prima volta" conclude, alzando le spalle, alzando le spalle mentre io inizio a prepararmi per chiudere la biblioteca.
"Posso accompagnarla a casa, signorina?"
Rido allegramente e prendo il braccio che mi ha porto.




L'aria notturna di Venezia è ancora più umida di quella del giorno, ed è resa particolarmente tale dalla pioggia che ha bagnato tutte le strade della città fino a poche ore fa, lasciando come prova del suo passaggio solo qualche pozzanghera e scivolose strade bagnate.
Mentre io mi sistemo nella borsa un libro che mi dava fastidio, perché batteva lo spigolo contro la mia gamba, lui cerca di chiudere il laccetto logoro del malandato ombrello, che comunque, questa mattina ci ha protetto fedelmente per arrivare in biblioteca.
"Porti sempre con te un libro?" chiede ad un certo punto.
"Certo!" esclamo quietamente "Io sono una lettrice con la 'l' maiuscola!" concludo.
Venezia è una città sempre viva, perfino di notte si possono trovare le strade piene di gente o Piazza San Marco animata da persone festose. Molte serate si concludono con i fuochi d'artificio, anche alle prime luci dell'alba, e i chioschi di cibo profumano la città con gli odori più disparati.
In particolare, questa sera di febbraio c'è un aroma particolarmente dolce che avvolge la città.
"Senti?" gli chiedo, tirandogli gentilmente la manica della giacca "Queste sono frittelle!" concludo, tirandolo dalla mia parte.
"E allora?"
"Stai scherzando?" esclamo. "Le frittelle sono un diritto umano inalienabile. Andiamo, Erik, non puoi dire di avere vissuto veramente se non mangi una frittella allo zabaione!" insisto.
Lui soffoca una risata alle mie spalle mentre mi avvio in uno degli stretti vicoli della città e scuotere giocosamente la testa.
Dopo qualche minuto arriviamo a Piazza San Marco, non lontana dalla Biblioteca.
In fondo alla piazza, dall'altra parte della Basilica di San Marco, c'è un chiosco piccolo e decorato che vende frittelle calde al solito prezzo carissimo, ma che vale sicuramente quella squisitezza.
"Quattro frittelle allo zabaione, per favore" chiedo.

Erik allunga una banconota per pagare.

"Stamani sono riuscito ad ottenere un anticipo. Sapevo che un giornale locale era interessato ad una serie di articoli sulla mitologia e mi sono proposto. La prima consegna tra una settimana."

"Festeggiamo, allora!" dico passandogli il vassoietto con le frittelle; lui le guarda come un alieno guarderebbe un umano, con un misto di curiosità e diffidenza. 
Sorrido: è così buffo ...!
Ci sediamo subito dopo il Ponte VII Martiri, lungo la riva e, con il rumore dell'acqua e della gente vociante di sottofondo, dividiamo amichevolmente i dolci ancora tiepidi.
"Perché mi fissi?" chiede lui, stranito.
Io non mi muovo di un millimetro, resto ferma a guardarlo con un mezzo sorriso.
"Non voglio perdermi la tua espressione quando mangerai la tua prima frittella".
"Questo è un atto di coraggio, non una sfida" mormora lui, ancora poco convinto.
"Allora sii coraggioso" taglio corto.
Erik dà un primo morso, assapora, muovendo lentamente la bocca. "E' buono!" esclama infine. 
Scoppio a ridere: "Visto?" dico, addentando il dolce a mia volta.
"Allora" comincio dopo un po' "Che te ne pare della città?"
"E' particolare, sicuramente molto particolare."
"Per me Venezia ha un fascino magnetico. Non so cosa, ma mi sento bene qui, sento che questo è il mio posto."
"E' completamente diverso da dove vengo io."
"Davvero? Da dove vieni?"
Lui sembra pensarci un attimo: "Da nord" risponde vago "Lì c'è sempre sole e il clima è secco. Il sole rinfrange la luce sui palazzi e a mezzodì diventa quasi accecante. Invece la notte la città piomba nell'oscurità più completa; solo qualche costellazione illumina il cielo immobile. Da bambino restavo notti intere ad osservare i minimi cambiamenti del cielo, il suo mutare fino a diventare giorno. Mentre tutti dormivano, io assistevo alla nascita del giorno, custodivo attimi che non sarebbero mai tornati. Era rassicurante, certo, come può essere una cosa sciocca come questa per un bambino, ma ... comunque ripensarci mi dà pace."
"Non è una cosa futile" mormoro dopo un attimo; sono completamente assorta mentre parla, completamente concentrata sulla sua voce, sul suo profilo deciso, sull'espressione malinconica che ha assunto mentre mi parla, l'espressione più sincera che gli ho vista sul volto da quando l'ho incontrato.
"Dici?"
"Sai, io ho cominciato a leggere perché la mia vita non era un granché. Ero così normale. Io volevo di più: volevo viaggiare, conoscere cose, vivere avventure ... Con un libro ho tutto questo.
Io sono la custode delle parole, tu dei piccoli attimi che costituiscono tutta una vita. Non è per niente sciocco. Anzi. E quando vorrai condividere il tuo mondo con qualcuno, quella persona sarà davvero fortunata" concludo.
Erik mi sorride tristemente.
Torniamo a casa in silenzio; le nostre mani si sfiorano ad ogni passo, ma non si incrociano mai: né io ho il coraggio di un gesto del genere, né lui si sbilancia tanto.
Ma stiamo attenti a non interrompere il sottile contatto che ci unisce.

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