Sistemo l'ultimo libro della pila sullo scaffale e sospiro sonoramente.
Scendo dalla scaletta e la ripongo a lato dello scaffale, con pochi movimenti meccanici.
Attraverso a passo svelto la sezione 'mitologia', ignorando completamente la panca su cui lui si sedeva di solito a leggere mentre io finivo il mio lavoro, e arrivo all'uscita della Biblioteca.
Sistemo la borsa a tracolla e recupero l'ombrello.
Giovanni è dietro il disordinato bancone e sta finendo di aggiornare la lista di libri sul vecchio computer.
"Io ho terminato" annuncio.
Giovanni alza lo sguardo verso di me e mi rivolge un sorriso stanco. "Buonanotte"
"Se vuoi posso rimanere io a finire il lavoro" dico.
"No, vai pure a casa a riposarti, sarai esausta."
Annuisco distrattamente e mi volto nuovamente verso la porta.
"Va tutto bene, Clary?" mi chiede improvvisamente.
"Bene" mento.
Continua a piovere da due giorni.
Se continua così ci sarà l'acqua alta, rifletto distrattamente.
Infine, arrivo davanti al portone del mio condominio, entro e salgo le scale fino a arrivare nel mio appartamento. Accendo la luce e lascio cadere la borsa per terra.
Faccio una doccia e indosso dei vestiti asciutti.
Mi avvio verso la cucina, trascinando sul pavimento le suole delle mie ridicole ciabatte a forma di cane.
Prendo dal frigo l'ultima vaschetta di gelato al cioccolato e una scorta di Kleenex.
Infilo il primo cucchiaio di gelato in bocca e comincio automaticamente a piangere.
Sono due settimane che vado avanti così: la mattina mi trascino al lavoro e poi la sera crollo sul divano a piangere, una vaschetta di gelato in mano mentre Gatto fa le fusa vicino a me.
Due settimane fatte di tristezza, lacrime amare e gelato al cioccolato.
Che modo di reagire tipicamente umano, disperarmi sul divano ingozzandomi di cibo.
Questo non fa che sottolineare la differenza tra lui e me. Sottolinea ancora di più quanto lui sia divino e io umana. Sottolinea che ho fatto bene a spingerlo a tornare ad Asgard. Ma questa consapevolezza non serve a farmi stare meglio.
Mi rannicchio sul divano con le ginocchia al petto e mi asciugo con rabbia le lacrime.
Sento Gatto strusciarsi sulle mie gambe e fare le fusa.
Lui è l'unica compagnia che ho tollerato da quando se n'é andato. Ascoltare il suono delle fusa e il loro ritmo ipnotico mi dà piccoli momenti di quiete tra un pianto e l'altro in queste notti che mi sembrano interminabili. Per questo continuo ad andare al lavoro, mi aiuta a tenere la mente occupata. Se penso al lavoro non penso a lui o a quello che è successo. E' una scappatoia, un modo di affrontare le cose. Un modo mortale, certo, ma pur sempre un modo.
Tiro su con il naso, altra cosa molto mortale che sono sicura un Dio non farebbe, e accarezzo la testa del micio. E pensare che lui non lo voleva tenere ...
Ricomincio a piangere.
Ma io devo pensare a lui, devo ricordarmi di lui; perché per quanto il pensiero mi faccia soffrire, per quanto questo amore sia doloroso, è pur sempre amore e, paradossalmente, rende il mio dolore meno amaro.
Prendo un fazzoletto e soffio rumorosamente il naso.
Proprio mentre mi accoccolo di nuovo sul divano, qualcuno bussa alla mia porta.
Lo ignoro.
Bussano ancora.
Altro silenzio come risposta.
"Clary, lo so che ci sei. Ti prego, apri" dice una profonda voce maschile.
"Vattene" gracchio.
"Non me ne vado" ribatte.
"Allora resta lì" concludo.
"Se non apri tempesto di pugni la porta" insiste.
"Fai pure" concludo, affondando la testa nel cuscino.Voglio stare da sola, ma infine decido di aprire la porta. Non è tanto la minaccia a farmi cedere, quanto la fastidiosa presenza di Sebastian al di là della porta.
"Due settimane" mi aggredisce "Sono due settimane che non rispondi al telefono!"
"Cosa vuoi?" chiedo, impassibile.
"Vedere come stai!"
"Bene, zio, sto benissimo, ora te ne vai?"
"Lui dov'è?" insiste.
"Non c'è."
"Non mi dire, se n'é già andato?" mi domanda, sarcastico.
"No, è stato costretto ad andarsene, non mi ha mollata per un'altra come ha fatto zia Jody!" grido, sbattendogli la porta in faccia.
E' stato crudele. E' stato crudele e gratuito.
Anche se la tentazione di riaprire la porta e scusarmi è forte, resto bloccata lì, respirando appena. Prima di poter pensare ad altro, sento i passi di zio Sebastian scendere le scale e immagino la sua espressione ferita. L'ho colpito lì dove gli fa più male, perché ho voluto che anche qualcun altro provasse il dolore bruciante che sto provando io.
Scuoto la testa, rimproverando me stessa.
Sto impazzendo.
Mi lascio cadere a terra e, rannicchiata sul pavimento, mi addormento.
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Let me In
Fantasy"Di cosa devi parlarmi?" "Del tuo regalo di compleanno" "Zio, avevo detto niente regali!" esclama con aria di rimprovero la ragazza, ma sorridendogli calorosamente. Sebastian le tende un pacchetto nero, una scatolina lunga e stretta. Al suo interno...