Can't Hardly Stand It

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"Mh-mh, ho capito" mormoro, camminando su e giù per la stanza, seguendo le linee del vecchio tappeto. "Va bene, grazie Giovanni. E se hai bisogno chiamami" concludo, mettendo giù la cornetta del telefono.

"Problemi al lavoro?" chiede Erik, seduto sul divano a leggere. Tiene le gambe stese in avanti, incrociate. Assume un'aria quasi imbronciata mentre legge; le iridi verdi si spostano velocemente riga dopo riga, mentre il labbro inferiore è leggermente sporgente rispetto a quello superiore.
A volte lo osservo di nascosto, da dietro il libro che sto leggendo. E' indubbiamente bello, e mi piace guardarlo mentre è distratto. Quando non sa che lo guardo, assume un'aria più naturale che mi permette di conoscerlo meglio.
Giurerei di aver visto i suoi occhi ingrigirsi una paio di volte mentre guardava fuori dalla finestra; era perso nei suoi pensieri, libero senza il mio sguardo posato su di lui.
Mi attira questo suo lato malinconico. Ma vorrei sapere cosa nasconde.
"C'è l'acqua alta. Nessuno si trascinerebbe fino alla Biblioteca con un tempo così e in ogni caso Giovanni non se la sente di uscire di casa oggi" spiego, sedendomi accanto a lui sul divano e riprendendo in mano in mio libro. "Credo di avergli passato il raffreddore dalla cornetta del telefono ..." scherzo, inforcando gli occhiali.
Erik mi sorride complice e riprende a leggere. La musica soffusa che proviene dalla radio crea un piacevole sottofondo.
"Oh, senti questa:' La libertà è qualcosa con le ali, che dimora nell'anima e canta la melodia senza parole, e non si ferma mai .' di Emily Dickinson" esclamo dopo un momento.
E' da un po' che facciamo questa cosa: leggiamo per ore, in silenzio, e di tanto in tanto ci scambiamo frasi o aforismi che ci colpiscono particolarmente.
"E' terribile" sentenzia, girando pagina.
"Terribile?"
"E' così smielata. Non può che averla scritta una donna, si capisce dal contesto lezioso."
"Con questo cosa intendi?"
"Che solo una donna può avere una così superficiale idea di un concetto tanto complicato quale la libertà."
"Allora sentiamo, secondo te come dovrebbe essere espresso?" insisto, incrociando le braccia.
"L'uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi. Erich Fromm"
"Se è così devi avere comunque un'idea molto bassa degli esseri umani."
"Essere umani o divini. Tutti ci costruiamo delle gabbie d'oro, mondi fatti di bugie con le quali veniamo nutriti da bambini; queste gabbie noi le vogliamo, ma poi ci lamentiamo di essercele costruite, perché ci vanno strette."
"Perché dovremmo farlo?" insisto.
"Perché una volta ingabbiati è difficile uscirne. E così si può passare il resto della vita mediocremente, incolpando gli altri di averci tolto una cosa preziosa come la libertà."
"Ma una vita senza libertà cos'è?"
"Una finzione. Una bugia. Tutto questo è una bugia."
"Secondo me c'è molto più di questo."
"Tu credi?"
"Se anche la nostra vita dovesse essere una bugia, i sentimenti che proviamo sono reali.
Questo ci permette di rendere tutto un po' più vero o forse ci dà la possibilità di uscire dalla gabbia."
"Dovrebbe essere un sentimento davvero forte."
"Esiste" continuo.
"Sarebbe?"
"L'amore" concludo.
Erik si volta verso di me, lo sguardo indecifrabile.
"E per dimostrartelo, cito Oscar Wilde: '"Che il vostro cuore sia sempre colmo d'amore. Una vita senza amore è come un giardino senza sole e coi fiori appassiti. La coscienza di amare ed essere amati regalano tale calore e ricchezza alla vita che nient'altro può portare.".
Mi sorride; è un sorriso sincero, senza alcuna punta di sarcasmo. I suoi occhi smeraldini brillano, ma non lasciano trasparire nessuna emozione.
Distolgo lo sguardo, sentendo le guancia in fiamme, e mi rimetto a leggere.
Per un po' continuiamo così, quando la radio comincia a perdere il segnale e la musica s'interrompe bruscamente.
"Accidenti, è colpa del tempo" mormoro.
"Già, prova a difendere ancora la bellezza della pioggia."
"Non discuto la sua bellezza, solo la sua capacità di far perdere il segnale alla radio" ribatto.
Appena finisco di pronunciare queste parole, la radio riprende a funzionare.
Appena mi risiedo sul divano la sento. Charlie Feathers. Can't hardly stand it.
"Oddio, adoro questa canzone!" esclamo, balzando in piedi.
Erik non mi degna nemmeno di uno sguardo tanto è assorto nel suo libro.
Alzo il volume, guadagnandomi un'occhiata di dissenso. Comincio a ballare per la stanza, muovendo le braccia e scompigliandomi i capelli a ritmo di musica.
Ora Erik sembra divertito e mi guarda da dietro il libro.
"Posso avere questo ballo?" chiedo ad un certo punto con un sorriso ironico, tendendogli la mano.
"Io ... non conosco i passi."
"Oh, avanti, è facile!" insisto, trascinandolo al centro della stanza.
Gli posiziono una mano sulla mia schiena, mentre io gli passo un braccio intorno al collo; incrocio la mano destra alla sua sinistra e cominciamo a ondeggiare, compiendo piccoli giri sul tappeto a ritmo di musica. La sua mano è fredda e talmente lunga da avvolgere completamente la mia.
"Visto? E' facile!" commento.
Continuiamo così, quasi fino alla fine della canzone. Gli poggio timidamente la testa nell'incavo del collo; profuma di buono, un odore muschiato.
"Sono pochi i momenti in cui mi sento così."
"Così come?" chiede.
"Felice, ma soprattutto al sicuro" sussurro.
"Al sicuro? Mi conosci da un mese!" ribatte lui, sarcastico.
"Sì, lo so" continuo invece io, seria "ma sento che mi fido di te."
Torno a guardarlo e per un attimo tutto è perfetto, almeno fino a quando inciampo nella coda di Gatto e indietreggiando, urto una pila di libri. Mi aggancio istintivamente all'unica cosa che ho a disposizione, Erik.
Sbatto con la schiena al muro, frenando la caduta. Erik è a un palmo dal mio naso.
Ha le braccia tese in avanti con le mani poggiate alla parete, una a ogni lato della mia testa.
Siamo vicinissimi. Aspetto che si ritiri. Ma non accenna a spostarsi. Pudicamente, oso toccargli il lembo della camicia bianca leggermente aperta, fino a risalire al suo collo.
Ho il cuore che batte all'impazzata.
Affondo la mano nei suoi capelli neri e lo avvicino a me; sento il suo fiato sul collo.
Infine lui si avvicina, rompendo qualsiasi barriera e baciandomi. Le sue labbra sono gentili sulle mie, ma decise, sicure. Con un braccio mi cinge la schiena e mi attira ancora di più a sé.
Quando le nostre labbra si separano mi sento quasi triste, ma mi perdo subito nei suoi occhi verdi per poter pensare ad altro.
"Clary, io ..." mormora quando ... suona il campanello.
Lui si ritira subito, come se fosse stato solo un momento di debolezza da nascondere ed io, imbarazzata, vado ad aprire alla porta.
"Zio?" esclamo, meravigliata.
"Sorpresa!" dice lui, abbracciandomi.
Rido gettandogli a mia volta le braccia al collo e lo invito ad entrare.
L'atmosfera familiare che si era creata, si spegne appena mio zio incontra lo sguardo di Erik.
"Tu" sibila.
"V-vi conoscete?" balbetto.
"Dobbiamo parlare, Clary" taglia corto mio zio "Puoi salutare il tuo ... amico?, voglio portarti fuori a cena e parlarti in privato. E' urgente" dice, il tono basso, sembra quasi minaccioso.
"Ma cosa ...?" mormoro.
"Andiamo" insiste.
"Clary, ti prego, non andare con lui" interviene Erik.
Ha l'aria preoccupata e non capisco perché.
"Va tutto bene, Erik, è mio zio" dico "Zio, puoi fermarti a cena ..."
"No, devo parlarti in privato e subito" insiste lui.
"Bene" mormoro, prendendo la giacca. "Sarò a casa tra poco" concludo, rivolgendomi a Erik.
Gli sorrido rassicurante, ma lui non contraccambia. Poi si sporge leggermente verso di me.
"Qualunque cosa ti dica, ti prego, non credergli" sussurra.
Sebastian mi trascina via prima che possa aggiungere altro.

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