Capitolo 24 - Incubi

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Quando mi sveglio ho il fiato corto. Non che non fossi abituata a svegliarmi nel mezzo della notte con la fronte e le mani sudate e il respiro affannoso per via degli incubi che avevo sulla morte di Anton e su Ron subito dopo il tragico evento. Eppure, adesso era in parte diverso: i sintomi gli stessi ma le cause non si avvicinavano per nulla.

Mi metto seduta e provo a svuotare la mente poggiando i gomiti sulle ginocchia e incrociando le mani come se fossi in preghiera. Ma non funzionava. Continuavano a scorrere le immagini del mio incubo, un qualcosa del tutto inaspettato.

Nonostante non mi sentissi meglio affatto, mi alzo e mi dirigo in cucina. L'appartamento è buio, illuminato solo dalla finestra che fa sbucare una timida luna che prova a nascondersi dietro opache nubi. La città è immersa nel buio e, come al solito, il solo edificio illuminato era quello della Residenza Erudita, bianco non immacolato ma indefinibile, un po' come se fosse stato corrotto dalle intemperie, piuttosto improbabile dato che la struttura era il miglior progetto tra tutte le Fazioni.

Phil e Lauren dormono tranquilli. Il primo sul suo letto, la seconda accanto, in un ammasso di scatoloni e coperte che andavano a creare un materasso improvvisato. Raggiungo la cucina e provo a cercare i bicchieri che, nonostante conoscessi bene l'appartamento e tutto quanto, ancora non riuscivo a trovare al primo colpo. Cosa buffa, avrei pensato ma le mie idee accettavano malavoglia quella di Phil che annunciava di come io fossi "leggermente bizzarra e un po' smemorata" e poi ridevamo della rima, nonostante non esistesse affatto. Ecco cosa eravamo noi. Buffi.

Finalmente trovo il cassetto dei bicchieri. Ce ne sono a malapena cinque, a malapena perché il quinto non sembra affatto un bicchiere se non un ammasso strano e deforme di ciò che era una volta. Phil mi aveva detto che per sbaglio era caduto tra i fornelli accesi danneggiandosi irrimediabilmente. Alla mia domanda del perché non l'avesse tolto di mezzo lui mi rispose che non c'era bisogno di gettarlo via perché poi avrebbe dovuto comprarne un altro. Non mi disse perché per forza il numero dei bicchieri doveva essere cinque, ma per me era solo una curiosa fissa perciò non ribattei.

Prendo dell'acqua e la verso nel bicchiere.

«Se potessi affogarti.» esala una voce dietro di me. Ovviamente sobbalzo, distruggendo il bicchiere. Dubito che Phil mi perdonerà presto. Incrocio degli occhi verdi che mi provocano la pelle d'oca.

«Anton.» sussurro, ma non poteva essere vero. Non poteva. L'avevo appena sognato fare letteralmente a pezzi Ron con le sue mani, le stesse che stringevo quando andavamo a scuola da piccoli o che tiravo quando dovevo trascinarlo fuori da qualche pasticcio.

Mi guarda impassibile. I suoi capelli biondi ricadono fino alla nuca in un groviglio piuttosto spettinato, come se prima di venire avesse fatto parecchia attività fisica. Indossa la stessa divisa Intrepida del giorno della sua morte e potevo giurare di vedere anche la chiazza rossa macchiargli il petto. Io, invece, lo guardavo quasi disgustata. Dopo le immagini che avevo appena visto e ciò che io e Ron avevamo affrontato nella simulazione delle sue paure, continuare a vedere quella cosa che, chiaramente, giocava ad essere Anton mi provocava i brividi.

Il suo sguardo diventa curioso: «Sembra quasi che tu abbia paura di me.» osserva.

Scuoto il capo. Forse era vero, ma una parte di me continuava a ripetersi: come fai a temere il tuo migliore amico? Ma io sapevo che non era lui. Se mai lo fosse stato, adesso avrebbe sorriso e i suoi occhi si sarebbero illuminati. Avrebbe fatto qualche passo e poi mi avrebbe stretta a se, dicendomi che mi voleva bene.

«Non potrei mai aver paura di Anton. Ma tu sei diverso.» dico mentre un fremito mi percorre il corpo. Mi maledico: non dovevo mostrargli di temerlo. Non volevo e non potevo permetterlo.

The Divergent Series: By Tess - InsurgentDove le storie prendono vita. Scoprilo ora