I Fili della VITA

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A volte è difficile spiegare agli altri come ci sentiamo, perché tanto l'unica risposta che ci danno è " Ti capisco " oppure "So come ti senti ". Ma non è vero, perché tutto ciò che proviamo non riusciremo mai a spiegarlo agli altri e gli altri non sapranno mai come ci sentiamo. Così siamo costretti a tenerci tutto dentro ed affrontare le nostre emozioni da soli. Credendo che queste cose capitino solo a noi. Quando invece accadono a tutti. Ogni persona però le affronterà in modi diversi e proverà diverse emozioni. Alle volte però tenendoci tutto dentro rischiamo di scoppiare ef a quel punto i fili che stanno dentro di noi si rompono per sempre...

"Che ti prende hai la testa tra le nuvole. Non hai azzeccato un passo, se non ti concentri non riusciremo mai a vincere" mi disse Cameron bloccando la musica. Le prove di danza non stavano andando bene. Non riuscivo a concentrarmi, continuavo a pensare a quella mattina. Ero ancora sconvolta. Andai a sedermi in un angolo della stanza, volevo liberare la testa da tutti i pensieri ma non ci riuscivo.

"Scusa, Cam... Ma non è giornata. È meglio se continuiamo le prove domani" gli dissi con voce stanca. Andai a prendere lo zaino per andarmene, ma Cameron mi blocco per un braccio.

"Maya, che succede?" mi guardava con i suoi bellissimi occhi verdi. Sentivo che era sincero, che gli importava davvero di come stavo. Ma dovevo tenere duro, non potevo far crollare tutti i muri. Non con lui, non ancora.

"Va tutto bene. Sono solo stanca". Una parte di me sperava che lasciasse stare, ma l'altra voleva solo che mi stringesse a sé e non mi lasciasse più.

"Non è vero. Maya, io voglio aiutarti, ma non posso farlo se tu non mi lasci entrare nella tua vita. Stai cercando di allontanarmi da te, ma non ci riuscirai. Non ora, sono troppo coinvolto" mi disse continuando a cercare il mio sguardo. Mi stringeva ancora il braccio.

"Perché vuoi entrare nella mia vita? Non ne vale la pena" gli dissi io incontrando i suoi occhi oggi più tendenti al marrone chiaro.

"Tu mi sembri un motivo sufficiente. Vorrei che mi vedessi già parte della tua vita ma non è così. Sto cercando in ogni modo di farti capire che per me tu sei importante!" Tra di noi cadde il silenzio.

In quel momento mi tornò in mente la sua canzone, tutte le provocazioni, il Luna Park, il giorno al mare, le nostre parole, le nostre ferite che condividevamo a vicenda, la sera in cui avevo provato a dirgli che mi piaceva o tutte le volte che l'unica cosa che avrei voluto fare era quella di baciarlo. Lui con me si era aperto. Ma io no. Continuavo a sbattergli l'ultima porta in faccia, perché avevo paura. Paura che potesse giocare con i miei sentimenti, paura perché non mi sentivo alla sua altezza, paura di star ,male di nuovo. Dovevo farla finita con quelle paure e fare quello che mi sentivo. Gli andai incontro e lo abbracciai.  Con le parole non ero brava a dimostrare i miei sentimenti, speravo solo che lui riuscisse a capirli con questi piccoli gesti.

"Vieni con me. Devo farti vedere un posto" gli sussurrai insicura di ciò che volevo fare. Cameron mi seguì senza dire niente. Prendemmo la sua macchina e lo portai dove iniziava la mia vita. Il Covo era la mia casa, portarlo lì per me era molto importante, significava farlo entrare nella mia vita e mostrargliela per quella che era.

"Volevi entrare nella mia vita. Questo è il mio mondo" gli dissi quando arrivammo al Covo. Per fortuna Andrew non era lì, non sapevo cosa sarebbe potuto succedere sennò. Cameron era sorpreso, ancora non riusciva a capire bene cosa fosse quel posto tanto messo male. "Questo è il Covo, casa mia. Ti sto mostrando l'entrata per la mia vita. Puoi decidere se entrare o andare via" gli dissi trattenendo il respiro. Mi prese la mano.

"Non vado da nessuna parte. Non senza di te" mi disse sorridendo.

Salimmo nella terrazza. Ci sedemmo nel muretto dell'edificio. Cameron mi guardava ma non come mi immaginavo. Credevo che mostrandogli il mio mondo ne sarebbe rimasto disgustato e mi avrebbe guardato con pietà, invece sorrideva, sembrava solo in pensiero per me. "Allora, perché stai male?" Mi chiese prima che potessi cambiare idea è respingerlo.

"Oggi, prima che venissi alle prove... Ho visto mio padre" gli dissi abbassando la voce parola dopo parola. Cameron non aprì bocca. Continuò ad ascoltarmi. Io intanto trattenevo le lacrime tra una parola e un'altra. "Mi ha guardata negli occhi e poi niente, ha voltato le spalle ed è andato per la sua strada". Non avevo mai permesso a nessuno di entrare nella mia testa. Ma quel giorno raccontai a Cameron la storia di sei anni prima. Dell'ultima notte che l'avevo visto, e di quanto quella ferita fosse ancora fresca.

Ricordi, la vita è fatta di ricordi.
Non importa se sono belli o brutti. Cancellarli non è mai facile. Rimangono sottoforma di cicatrici.
E te li porti con te per tutta la vita.

La mia stanza era buia. C'era freddo essendo in pieno inverno. Non riuscivo a dormire a causa delle urla provenienti dal salotto. Sarei dovuta intervenire se non la finivano di urlare. Paura. Il mio corpo e la mia mente erano impossessati dalla paura. Provai a tapparmi le orecchie per non sentirli più discutere, ma non funzionava. Silenzio. La casa piombò in uno strano silenzio. Mi alzai dal letto per vedere se era tutto apposto. Mi percorse un brivido quando misi i piedi a contatto col pavimento gelido. La porta delle mia camera si spalancò e si chiuse nello stesso istante. Aveva gli occhi gonfi e rossi. Puzzava di fumo e alcool. Il mio cuore accelerò di battiti. Provai a non perdere la calma. "Sei uguale a lei" mi ringhiò. Respira. "Sono stanco di vederti. Sono stanco di dover condividere qualcosa con quella poco di buono. Tu mi ricordi ciò che voglio dimenticare." Provai a rimanere calma, ma volevo solo urlare e scappare il più lontano possibile. "Tu sei malato. Sei soltanto un alcolizzato. Esci dalla mia camera. Lascia in pace me e la mamma" gli urlai cercando di liberare tutta la paura che fino a quel momento mi aveva bloccata. Mio padre tolse dalla tasca una pistola. Il sangue diventò freddo e il cuore si fermò per un istante. "Tutto era meglio prima che arrivassi tu. Solo in questo modo potrò tornare a essere felice" mi puntò la pistola. Deglutì, cercando di rimanere calma. "Sparami" era l'ultima cosa che volevo. Ma se mi fingevo tranquilla la situazione non sarebbe peggiorata. Mio padre continuava a guardarmi negli occhi. Gli leggevo la paura stampata in faccia. Il mio cuore continuava a battere ad un ritmo irregolare. Abbassò la pistola e senza dire niente se ne andò.

Cameron continuava a tenermi la mano e quando la mia voce si spezzava la stringeva di più. Era stato uno dei momenti migliori passati con lui, lo sentivo vicino. Ero riuscita ad aprirmi, a far crollare quel muro. Finalmente riuscivo a togliermi le paure di dosso. Volevo lasciarmi il passato alle spalle e iniziare a vivere senza rimorsi o rimpianti.

"Hai ancora quel pennarello?" Mi chiese quando finì di parlare.

"Si. Aspetta". Frugai nello zaino. "Tieni". Cameron mi prese il braccio e ci scrisse sopra "Remember Me".

"Ricorda che io ci sono sempre" lo guardai negli occhi.

"Vorrei baciarti"gli dissi senza pensarci.

"Anch'io. Ma non ora. Non vorrei che pensassi che lo abbia fatto perché mi facevi pena" mi rispose appoggiando la sua testa alla mia. "Adesso devo andare. Ci si vede domani, Hart" mi disse salutandomi con un cenno.

Rimasi nel Covo seduta per terra con le spalle contro il muro. Il pensiero di mio padre non spariva. Passare del tempo con Cameron mi aveva aiutata, ma non abbastanza. I miei demoni interiori continuavano a inseguirmi, e sapevo che solo una persona sarebbe riuscita a scacciarli via. Quando Andrew arrivò mi trovò con il viso bagnato di lacrime. Corse verso di me e mi abbracciò.

"Maya... " mi disse asciungandomi le lacrime.

"Oggi ho visto mio padre" gli dissi continuando a piangere. Andrew aveva già capito. Mi prese il viso e me lo appoggiò alla sua spalla. Le lacrime continuavano a scendere senza sosta. Con lui non c'era bisogno di parole mi conosceva, sapeva quanto il pensiero di mio padre mi faceva star male.

"Andrà tutto bene. Non devi avere paura. Tu non sei più la ragazzina indifesa di sei anni fa, in più adesso ci sono io. Non lascerò che nessuno ti faccia del male" mi disse stringendomi a lui.

-Mi avvicinarmi per accoccolarmi su di lui, affondando la testa sotto il suo braccio. Fu come raggomitolarsi sul David di Michelangelo con la differenza che questa creatura perfetta, marmorea, mi abbracciò e mi strinse a sé- Eclipse

-Per essere felici ci vuole coraggio- Karen Blixen

Sedicenne Ribelle _ Sabrina Carpenter/Cameron DallasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora