La ragazza dai capelli Rossi

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I giorni seguenti passarono in fretta, noiosi come sempre, giorno dopo giorno, la solita routine. Mi alzavo presto, cercavo qualcosa da mangiare e gironzolavo per il Bronx senza una meta precisa. La mia vita era più noiosa di quella di una tartaruga. Avevo bisogno di fare qualcosa di folle e fuori dalle righe per renderla più emozionante. Più volte avevo sentito parlare delle competizioni di Street Dance che si svolgevano nei pressi di Broadway, forse andare a vedere com'era mi avrebbe migliorato la giornata.
Così una mattina decisi di alzarmi presto senza farmi sentire da Andrew. Andai a prendere la metro e dopo circa un'ora di viaggio arrivai nella grande città conosciuta per i suoi artisti. Era la prima volta che vedevo Broadway e mi pentì di non esserci andata prima. Tutti i palazzi erano ricoperti da insegne pubblicitarie che catturavano il tuo sguardo ancor prima di aver messo piede nella città. Mi guardai intorno cercando di capire quale strada prendere, ma non avevo la più pallida idea di dove andare. Camminai per varie vie a me sconosciute, quando a un certo punto vidi le scale per entrare in una stazione metro. Se cercavo della follia quella poteva andare bene. Presi la prima metropolitana che arrivò e scesi in una fermata qualunque. Salì le scale che riportavano in superficie e cercai di capire dove mi trovavo. Intorno c'erano solo alti edifici, ma niente che potesse aiutarmi ad orientarmi sul luogo in cui ero arrivata. Stavo per tornare alla metro e concludere lì la mia avventura, ma un'insegna mi costrinse a fermarmi. Scritto in bianco sul muro di ingresso: The Juilliard School. Rimasi a fissare per un po' quella struttura imponente. La Juilliard era una delle più importanti scuole di arti, musica e spettacolo del mondo. Per riuscire ad essere ammessi si doveva essere davvero bravi, ma anche se ricevevi una risposta positiva alla tua domanda di iscrizione i costi per frequentarla spegnevano per sempre il tuo sogno. Sarebbe stato fantastico riuscire a farne parte, purtroppo però la mia vita era destinata ad altro, anche se neanche io sapevo a cosa...
Era ormai ora di pranzo, dovevo trovare qualcosa o il mio stomaco non avrebbe resistito a lungo. Aspettai qualche minuto prima di decidermi ad andarmene. Guardai dei ragazzi uscire dall'istituto, chi per salire in macchina ed andarsene, altri che aspettavano che i loro amici uscissero. Altri ancora che con le cuffie nelle orecchie iniziavano a camminare per tornarsene a casa, da una famiglia che gli avrebbe chiesto come era andata la giornata. Ognuno aveva una strada e la seguiva, era come se tutti sapessero dove andare e io no, in ogni posto mi sentivo sbagliata.
Decisi di tornare a casa. Mi avvicinai alle scale per scendere nella metropolitana, quando vidi due ragazzi. Lei aveva dei lunghi capelli rossi, una carnagione molto pallida e gli occhi castani che alla luce del sole, come in quel momento, brillavano. Lui aveva i capelli castani tutti spettinati, gli occhi scuri e delle spalle possenti. Faceva in modo che la ragazza rimanesse con le spalle al muro e continuava a dirle qualcosa, ma parlava a voce troppo bassa perché lo sentissi. Sapevo però che qualsiasi cosa le stesse dicendo, non era gradito alla ragazza che cercava di divincolarsi dalle sue braccia. In quel momento l'unica cosa che avrei dovuto fare era andare dritta per la mia strada e tornarmene a casa. Ma poi sentì che la ragazza chiedeva aiuto e la mia indifferenza venne completamente spazzata via da un ricordo. Ma avvicinai ai quei due, facendo in modo di farmi notare dal ragazzo.

"Ti stai divertendo? Perché se non l'hai sentita ti ha detto chiaramente di lasciarla in pace. Cos'è hai problemi di udito per caso?" il ragazzo si voltò verso di me e dopo avermi osservato per bene decise di rispondermi.

"E tu chi saresti? Campanellino?" si mise a ridere, ma io rimasi immobile come una pietra e la mia espressione non mutò di una virgola. La ragazza dai capelli rossi continuava a osservare me e poi lui senza dire niente.

"Pensi che mi stia divertendo. Non credo proprio. Ti conviene lasciarla in pace se non ti vuoi ritrovare a terra dolorante" il ragazzo sorrise con un espressione più divertita di quella di prima.

"Tu che stendi me? Ma sei seria? Sei davvero simpatica, ma ti conviene levarti dai piedi. A meno che non ti voglia unire alla nostra festicciola".

La mia espressione prima solo seria e minacciosa si trasformo in un ghigno di rabbia. Senza neanche rendermene conto gli diedi un calcio in quello che sapevo essere il suo punto debole. Dopo un urlo di dolore proprio come avevo previsto si accasciò a terra. "Dovevi prevederlo! Ringrazia che non ne approfitto per prenderti a pugni" gli dissi prima di andarmene. Scendendo le scale della metropolitana lo sentivo urlare frasi in cui diceva che me l'avrebbe fatta pagare, ma non mi preoccupai di quello. Era semplicemente un figlio di papà che pensava di poter ottenere tutto ciò che voleva. Il mio compito era stato solo quello di insegnargli che nella vita non è tutto rosa e fiori.

Tornai nel Bronx, carica dell'adrenalina che mi aveva procurato quella giornata. Decisi di mettere di nuovo piede nella mia vecchia casa. Entrai, la porta cigolò. Tutto era messo in disordine e potevo chiaramente vedere lo strato di polvere che viveva sui mobili. Andai a vedere se nel frigo c'era qualcosa da mangiare, dato che era sera e io non avevo ancora pranzato. Trovai uno yogurt, che per mia fortuna non era ancora scaduto, presi un cucchiaino e lo mangiai in meno di un minuto. Di mia madre ancora non c'era traccia. Andai in quella che un tempo era stata camera mia, il letto disfatto, la scrivania con i libri ingialliti dal tempo. Tutto era come quella notte, in cui Andrew mi aveva trovato per terra a piangere e urlare nel vuoto e mi portò con lui nel Covo. Chiusi la porta, cercando di scacciare i ricordi. Mi affacciai in camera di mia madre, la trovai coricata al contrario.

"Da quanto è che non ti alzi da questo letto? Hai un aspetto terribile" le dissi senza neanche salutarla.

Mia madre aprì un solo occhi e mi guardò. Aveva i capelli corti biondi, gli occhi dello stesso colore dell'oceano e per il resto era identica a me. "Finalmente ti fai rivedere. Quanto è passato? Un anno? Un mese?" disse cercando di ricordare l'ultima volta che l'avevo costretta da uscire di casa per poterle chiedere come stava.

"Poco più di un mese. E da allora sei peggiorata. Non stai più mangiando?" aveva delle grandi occhiaie ed era più pallida dell'ultima volta.

"Non ho voglia o tempo per andare a prendermi qualcosa. Non posso fare tutto da sola e tu non ti fai vedere mai" mi sarei dovuta sentire in colpa, ma avevo delle buone ragioni per tenermi lontana da casa.

"Non puoi dare tutte le colpe a me. Faccio già abbastanza per tenermi in vita, ci manca solo che debba tenere in vita qualcun altro" mia madre prese il cuscino e me lo tirò addosso.

"Vattene egoista! Torna dal tuo fidanzatino" disse quelle parole in modo scherzoso, perché infondo sapeva che anche io non potevo fare molto per aiutarla.

"Non lo capirete mai. Io e Andrew non stiamo insieme" mia madre fece un gesto con la mano per farmi capire che non ci credeva neanche un po'. Sarei potuta rimanere ora per farle entrare in testa che io e lui eravamo solo amici. Ma mia madre non aveva più voglia di starmi a sentire e così levai il disturbo. Prima di uscire le gridai dalla cucina "Lavati" e lei in tutta risposta mi disse di andarmene.

Decisi di tornare al Covo sperando di trovare Andrew e raccontargli della mia giornata, sapendo già che mi avrebbe sgridata per non averlo avvertito. Ma arrivata nell'ingresso del Covo non trovai Andrew, cioè non lo trovai da solo. Infatti insieme a lui c'era una ragazza, non una qualunque. Era lei... Era la ragazza dai capelli Rossi.

-Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. – Steve Jobs

Sedicenne Ribelle _ Sabrina Carpenter/Cameron DallasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora