Pov. Alexandra
Ok, ok. Calmiamoci. Ora, vediamo di capire bene cosa ci fa questo qui, sulla mia panchina.
Lui mi sta probabilmente guardando, essendo di fatto voltato verso di me.
- Ma tu... sei Alexandra?
Alzo gli occhi al cielo:- No, sono il suo spirito che vaga tra i boschi in cerca di prede.
Lui ride nervoso:- Scusa, è che è buio e non si vede bene.
- Ma come, non hai la vista notturna come me?
Lo vedo alzare le mani:- Va bene, va bene, ho capito che sei nelle mie stesse condizioni...
Mi fingo sorpresa:- Però, perspicace.
Il silenzio scende tra di noi e stranamente anche il bosco pare attendere, in silenzio, il continuo di questa conversazione.
- Io... ho... Insomma, credo di avere una cosa che ti appartiene!- dice tutto d'un fiato.
Merda, quindi ha ancora il mio disegno.
Un lampo illumina il cielo nuvoloso, mostrandogli la mia probabile espressione sorpresa.
Ricomponiti. Subito.
Prendo una boccata d'aria salata e raddrizzo le spalle:- Non è importante, puoi benissimo buttarlo via.
Non ho voglia di rivederlo solo per il disegno, quindi, il minimo che devo assicurarmi è che lo butti via, ma anche che non si accorga che lì ci sono disegnata io...
- Non voglio buttarlo via, sembra fatto con così tanto impegno che buttarlo via sarebbe ingiusto nei confronti di chi lo ha fatto.
- Ma se chi lo ha fatto ti dice di farlo, puoi farlo.
- In tal caso, sono io a non volerlo.
Detto ciò si gira e si siede sulla panchina.
Sbuffo.
Non ho intenzione di lasciarglielo, ma dato che non lo vedrò più posso pur sempre lasciar stare, che tanto, prima o poi, se ne scorderà.
Una goccia, fredda e solitaria, cade proprio sul mio viso, ma, come un soldato nemico in ricognizione mette in allerta l'altro campo dell'imminente arrivo del nemico, così quella goccia diede inizio alla pioggia.
Corro sotto il primo albero, seguita da Caleb.
- Ci mancava solo questa.
Prendo il cellulare e vado sulla mappa per vedere dove mi trovo.
Accidenti, è più distante di quanto pensavo.
- È più vicina casa mia - dice Caleb, come se mi avesse letto in mente.
- Buon per te.
Sospira:- Faresti bene a venire a casa mia, essendo più vicina ti bagneresti meno e poi ti do un passaggio.
- Non ne ho bisogno.
Poi, come se la natura non avesse apprezzato, si mise a grandinare.
- Di bene in meglio - borbotto arrabbiata.
Dopo cinque minuti buoni, Caleb esclama:- È diminuito! Approfittiamone!
Mi afferra per il polso e comincia a correre.
- Ma che diavolo fai?! Ti avevo detto che tornavo a casa mia!
- Occhio a non scivolare! - urla cercando di sovrastare il frastuono della pioggia e della grandine.
- Ma mi stai ascoltando?
Si volta appena e mi sorride.
Ma che diavolo...
Quanto è irritante.
Sbuffo.
- Almeno sai dove stai andando?
- Più o meno.
- Cosa?! - urlo anche più di quanto facevo prima per farmi sentire.
- Tranquilla ne usciremo sani e sal-Sani e salvi, certo. Fu il mio unico pensiero prima che lui mi trascini con sé mentre scivolava sul terreno diventato fangoso.
Mi scappa un urlo appena prima di finire addosso al tizio "arriveremo-sani-e-salvi".
Mi sollevo appena, per vedere la situazione in cui siamo: lui è caduto di schiena e io gli sono praticamente addosso, ma la cosa che cattura il mio sguardo è il taglio rosso che corre sul suo braccio.
Mi alzo di scatto da lui:- Cretino.
Lo tiro su mentre lui realizza ciò che è appena accaduto:- Ops.
Lo ammazzo.
- Ops?! Tutto qui?
Lui si guarda il taglio poi si passa una mano tra i capelli castani bagnati.
Ormai siamo fradici: i vestiti aderiscono alla pelle e, attraverso la maglietta azzurra che indossa, quando un lampo illumina la notte, si intravede il suo fisico allenato.
Sbuffo mentalmente: da quando me ne importa?
- Sarà bene muoverci se non vuoi morire assiderato o per un'infezione - dico irritata.
- Guarda che sei nella mia stessa situazione - dice con sguardo cupo mentre fissa la mia gamba.
Abbasso lo sguardo.
Fantastico!
Un taglio percorre la mia coscia destra, ma niente di serio.
- Riesci a camminare?
Sbuffo. Questa situazione mi sta irritando non poco.
Mi volto e comincio a camminare verso l'uscita da quel bosco.
- Lo prendo per un sì - sento alle mie spalle, appena prima che la stessa mano afferri il mio polso.
- Sono in grado di camminare senza esser portata in giro, sai?
Cerco di liberarmi dalla presa ma senza successo.Grazie agli alberi, la pioggia veniva bloccata almeno un po', così quando usciamo dal bosco, la pioggia è ancora più forte.
Ha finalmente smesso di grandinare, ma i lampi e i fulmini sono più numerosi.
Arriviamo a una villetta alquanto ben messa, forse un po' troppo ben messa, ma la fretta con cui abbiamo attraversato il giardino, non mi ha permesso di osservarla bene.
La porta in legno scuro, si chiude alle nostre spalle, mentre ci fermiamo a prendere fiato.
Mi trovo in un ingresso spazioso, che dà su un enorme e moderno salotto, tutto vetro e acciaio.
La luce è stata accesa da Caleb, il che vuol dire che o non c'è nessuno oppure stanno già dormendo.
Prendo il cellulare che per fortuna è ancora funzionante e chiamo la mamma. Dopo un solo squillo alza:- Tesoro? Stai bene? Dove sei?
- Calmati ma', sto bene, piuttosto sono a casa di... - e ora che dico? - Di un amico, dato che si era messo a piovere, casa sua era più vicino così ora sono qui.
- Bene tesoro, senti potrei parlare con i genitori del tuo amico?
Sollevo un sopracciglio, sorpresa:- Perché vuoi parlare con un genitore di Caleb?
- Caleb? Oh che bel nome.
Alzo gli occhi al cielo mentre vedo Caleb che sorride, dato che la casa è in totale silenzio e si sente benissimo ciò che mia madre sta dicendo:- Non mi hai risposto.
- Perché c'è stato un problema con l'attivazione dell'elettricità in casa, così siamo senza corrente. Io sto da una mia amica qui vicino e saresti dovuta venire anche tu, ma dato che sei lì vorrei chiedere ai genitori del tuo amico se mi fanno il favore di ospitarti per stanotte.
Rimasi in silenzio per svariati minuti e mamma sapeva che stavo assimilando le informazioni.
- Stai scherzando, vero? - chiedo seria.
- No, tesoro. Allora posso parlare con i genitori di Caleb?
Mi sento togliere il cellulare di mano.
Si allontana mentre parla con mia madre.
Ahhh basta sono stanca di star dietro a sto qui.
Mi siedo sul gradino a qualche passo dalla porta principale.
La gamba fa decisamente male, ma attualmente non mi importa.Dopo un po' torna Caleb e mi restituisce il cellulare:- Stasera resti qui a farmi compagnia.
- Favoloso - dico acida.
Dopo ci siamo disinfettati le ferite e le abbiamo fasciate, poi ci siamo cambiati: lui, essendo casa sua, non ha avuto problemi, ma io ho dovuto usare una sua t-shirt e dei pantaloni di sua madre, che ho scoperto esser via, così come il padre.
- Bene, direi che è ora di andar a letto. Ti mostro la camera dei ospiti.
I nostri vestiti bagnati sono messi ad asciugare davanti al camino a legna in salotto.
La camera non ha niente di speciale: un letto matrimoniale con coperte color crema, le pareti chiare con qualche quadro, un armadio, un comodino, una scrivania e due poltrone.
- Ah... ti porto il tuo disegno... - dice prima di scomparire nei corridoi.
Rimango lì in mezzo alla stanza mentre lo aspetto.
Un temporale squarcia il cielo più violentemente dei precedenti e tutto diventa buio.
Un blackout?! Ma scherziamo?
Ma la natura ce l'ha con me!Salve bella gente! Scusatemi tantissimo per il ritardo, ma chi è uno studente come me saprà come si è stressati in questo periodo.
Ebbene ecco altre peripezie per la nostra Alex! Cosa altro accadrà?
Scopritelo nel prossimo capitolo!P.s. grazie a tutti i lettori e scusate gli errori che mi sfuggono.
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Quella fatidica panchina
RomanceQuando voleva allontanarsi dal caos della città, dalle persone superficiali e immergersi totalmente in sé stessa, bastava che si dirigesse verso il bosco lì vicino, immenso e vivo come nessuna persona poteva essere, silenziosa come solo la natura po...