Fu in quel momento che decisi.

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Pov. Caleb

Non la lasciai andare finché non la portarono via e lo acconsentì solo perché c'erano la madre e Caroline, che era tornata subito indietro con Mark.

Mark mi aveva accompagnato fino alla panchina, dove notai il pacchetto regalo legato sotto ad essa.

Gli occhi mi si inumidirono nuovamente, mentre aprivo lentamente la carta regalo.

Avevo in mano un album da disegno, con una dedica in prima pagina.

Cominciai a sfogliarlo.

Erano disegni fatti da lei, in cui rappresentava ogni singolo momento importante della nostra vita insieme.

C'era la prima volta in cui ci siamo visti, in classe; la volta in cui eravamo caduti sotto la pioggia, noi due avvolti nella coperta a casa mia...

Ogni disegno era perfetto, tanto da ricordarmi le sensazioni e i sentimenti provati nei singoli momenti lì bloccati.

Come ultimo disegno c'eravamo io e lei seduti su quella panchina e in basso c'erano scritte quelle parole che mi avrebbe dovuto dire ora, seduta affianco a me.

"Caleb, mi hai sorpreso devo ammetterlo, soprattutto perché mi stai per far dire queste parole che mai avrei pensato di dire. Ti amo Caleb. Ti amo."

Era come se sentissi la sua voce dirmi quelle parole, come se fosse lì a ridere per la mia espressione.

Rimasi a lungo là seduto a guardare e riguardare tutte le parti importanti della mia vita lì rappresente, a pensare a come tocca a noi, qui sulla terra, a noi vivi essere lentamente distrutti dalla consapevolezza che tutti i tuoi momenti felici non si potranno ripetere, essere consapevoli che la morte un giorno arriverà, ma solo quando avrai sofferto abbastanza.

Quando tornai a casa crollai a letto, senza però riuscire a riposare decentemente, infatti dopo qualche ora ero nuovamente in piedi, con una cera peggiore di quando ero andato a dormire.

Dovevo andare a casa sua.

Quando giunsi a destinazione, la signora Emmet mi salutò.

Era distrutta: i suoi occhi erano spenti, i capelli in disordine e il sospiro perenne. Forse ero così anche io.

Salì in camera sua e mi sedetti per terra, per evitare di spostare anche minimamente qualcosa.

Osservavo il posto, immaginandomela in giro per la stanza, mentre leggeva o ascoltava la musica.

Il mio sguardo cadde sulle foto incorniciate sul muro, dove c'era lei con la madre, lei con Caroline, lei con Caroline, Mark e me, infine lei con me. Lei, che non ci sarebbe più stata.

Feci un gran respiro, che uscì tremolante, mentre guardavo la sua scrivania e mi veniva in mente la presenza di quei diari che voleva io leggessi.

Mi alzai lentamente per poi andare verso la scrivania, aprire il cassetto che dedicava al materiale da disegno e tirare fuori quella scatoline con dentro le sue matite più preziose.

Trovai la chiave sotto alla 8B.

Aprì il cassetto e trovai tre quaderni.

In base alle date riportate capì l'ordine con cui avrei dovuto leggere e così cominciai.

Domani ci sarà il funerale e io ho appena terminato di leggere l'ultima pagina scritta da lei.

Avrei dovuto leggerli prima, più velocemente, perché c'era qualcuno che non sapeva ancora niente di lei, che si chiedeva perché non era tornata, che pensa che lei lo abbia dimenticato.

Quella fatidica panchinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora