Capitolo primo

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Un boato. Tutto diventa nero.

Mi tiro su dal letto di scatto, il respiro affannato, ancora indecisa sul dove sono.
Ma dove posso essere? Nella mia stanza, diventata ormai il mio rifugio e il mio tugurio al tempo stesso.

Ancora un incubo. L'ennesimo sull'esplosione. Sulla bomba. Su Prim.

Scendo dal letto, guardo fuori dalla finestra e riesco a vedere le rose, quelle piantate da Peeta per Prim. Sono sicura che la loro posizione sia stata scelta con cura, in modo da darmi conforto nelle notti come questa; e lo fanno. Mi danno conforto. Mi fanno venire in mente solo tanti bei ricordi della mia paperella, e allora mi sento più serena, meno inquieta.
-Grazie Peeta-

La mattina seguente, come sempre, quando scendo trovo Sae la Zozza armeggiare tra i fornelli. Si occupa sempre di me per prima e poi passa a sbrigare le sue faccende. Quando mi avvicino al tavolo Sae mi rivolge un sorriso ma non dice nulla, sa bene che la mattina preferisco starmene in silenzio per un po', forse un po' più del resto della giornata. Mi porge una ciotola stracolma di latte bianco e una foccaccina alla cannella. Peeta non è passato questa mattina, me ne accorgo perché la focaccina non è calda e fumante, probabilmente è di ieri, e non sento in giro quell'odore dolce di pane.

"Peeta non è ancora passato?" Chiedo mettendo in bocca un pezzo strappato con le mani. Mi sembra che si irrigidisca un poco, ma faccio finta di non notarlo. "Oh tesoro no, non credo che oggi passerà" dice sistemando in una ciotola quello che sarà il mio pranzo. "Ah, capisco" faccio spallucce, non voglio chiederle cosa stia succedendo, anche perché credo di saperlo. Il ritorno al 12 non è stato difficile solo per me, ma anche per lui. Ritornare nel posto in cui una volta c'era la sua casa e trovarla cenere, ceneri alle quali si mischiavano, probabilmente, le ossa dei suoi cari non deve essere stato facile da mandar giù. Sempre che si possa mandar giù un boccone tanto amaro. Non ha potuto dire loro addio, non ha potuto parlare con loro dopo l'arena. Almeno io sono stata fortunata. Ho avuto Prim al mio fianco fino all'ultimo. "Allora io sto andando via, ti ho gia preparato il pranzo, devi solo riscaldarlo. Ho pulito questo piano, ma ti prego sistemati da sola la tua stanza! Non oso immaginare cosa ci sia!" Mi accarezza una guancia, con fare quasi materno, e il suo tono è un misto tra rimprovero e rassegnazione. Poi va via. Una volta sola tornano a farmi compagnia i pensieri. Se Peeta non è passato è probabile che durante la notte abbia avuto uno dei suoi episodi. Ultimamente capita sempre meno spesso, ma capita, e quando tornano a fargli visita lo fanno sempre in modo prepotente. -Maledetti!- penso. Hanno portato via al ragazzo del pane l'unica cosa a cui teneva, forse quasi quanto me, se stesso. A volte penso che Snow sia riuscito nel suo intento. Sono spezzata. Mi hanno portato via tutto, anche il Mio ragazzo del pane. Decido cosi di passare da lui, ma prima faccio una sosta a casa di Haymitch, voglio sapere a che genere di situazione sto andando incontro. Busso ma non ricevo risposta, non che me ne aspettassi una. Entro e con mia grande sorpresa non mi ritrovo davanti la solita scena ma trovo Haymitch seduto sul divano, a contemplare in vuoto, con la sua fidata amica, la fiaschetta. "Ho bussato, non mi hai sentito?" Dico. "Si, ho sentito - dice senza voltarsi-ma tanto saresti entrata comunque, dolcezza, perché alzarmi". Lo vedo strano e la cosa mi allarma non poco. "Cos'è successo? Stamattina già sei sveglio!" Mi pianto davanti a lui per guardarlo in faccia, e quello che vedo mi stupisce nuovamente. "Per essere sveglio avrei prima dovuto dormire, dolcezza! Il tuo ragazzo non è facile da calmare, sai!" Si alza e va verso il tavolo.

-Peeta non è il mio ragazzo!- Ma adesso questa mi sembra una sciocchezza da lasciar scorrere al confronto di ciò di cui stiamo parlando. "È stato lui a lasciarti quel livido?" Chiedo, un po' rassegnata sulla risposta, e difatti lui annuisce. "Brutta nottata! Non lo vedevo così da parecchio!". Di solito Haymitch è quello più ottimista, paradossalmente, dice che Peeta può tornare, che lui è forte e non si lascerà sopraffare soprattutto perché non riesce a starmi lontano, ma oggi, mi sembra sconvolto.

"Quanto è brutta la situazione adesso?" "Mi ha praticamente cacciato dicendo che stava bene e voleva stare da solo, poi si è chiuso in quella stanza". La stanza. Quella dove Peeta dipinge. Sono sempre stata curiosa, vorrei sapere cosa mette su tela. Quanto dolore. "Capito. Io vado da lui adesso". "Sei sicura, Katniss?" Dice guardandomi dritto negli occhi. "Non posso lasciarlo solo a fare chissà cosa, lo devo aiutare. Devo stargli accanto, lo sai!"la mia voce sembra quella di una disperata, come se aiutando lui aiutassi anche me stessa. "Solo...stai attenta d'accordo?" "È Peeta, non mi farà del male!" Dico prima di uscire e chiudermi la porta alle spalle.

A grandi falcate arrivo davanti casa sua, sono un po' nervosa al pensiero di quello che potrei trovare, della situazione e soprattutto ho paura che lui possa reagire male vedendomi e so bene che questo gli provocherebbe solo altro dispiacere. Non busso e decido di entrare direttamente.

La casa è silenziosa. Mi guardo intorno e vedo qualcosa fuori posto. -Deve esserci stato abbastanza movimento, stanotte-  cerco di non curarmene, rimetterò in ordine io dopo, adesso devo andare da lui. So già dove trovarlo, per cui mi dirigo dritta su per le scale nella stanza della pittura cercando di essere il più silenziosa possibile perché non voglio spaventarlo e causargli un altro dei suoi scatti. Quando arrivo in cima alle scale la porta è per metà aperta e senza farmi vedere mi affaccio al suo interno. La stanza è piena di tele, la maggior parte sono rivolte contro il muro, probabilmente sono dei dipinti che non gli piace vedere. Poi mi soffermo su di lui. È al centro della sala, davanti al cavalletto e traccia qualcosa su una tela. La sua mano, il suo braccio, trema. La sua testa, mentre traccia linee e chiazze di colore, sembra essere attraversata da piccoli tremiti, quasi impercettibili. Lo vedo poggiare tavolozza e pennello per fare avanti e dietro davanti quel disegno. Non l'ho mai visto cosi inquieto. Di solito vederlo dipingere, disegnare mi infonde un senso di pace, ma adesso non saprei neanche definire le sensazioni che mi attraversano tutto il corpo, fino ad arrivare alla testa. Decido di bussare. E poggio delicatamente le nocche sulla porta. Neanche si gira per guardare ma lo sento parlare. "Haymitch ti ho detto che volevo rimanere da solo". Faccio un passo avanti, e sono nella stanza.

"Sono io" dico con un filo di voce. Lo vedo girarsi e sgranare gli occhi.
"Katniss".

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