Capitolo Sesto

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  Mi catapulto giù per le scale scendendo i gradini a due a due, ma Peeta non è più in soggiorno.
-Sarà già andato via?-

Quando sento dei rumori provenire dalla cucina mi rincuoro, entro e lo vedo trafficare con le pentole.
"Ho pensato che da sola non avresti mai mangiato, cosi stasera ti faccio compagnia!" Mi dice allargando le sue labbra in un sorriso e io non posso fare a meno di ricambiare.

È incredibile quanto mi conosca nonostante tutto; nonostante quelle torture infinite e Dio solo sa quanto supplichevoli di morte gli siano state inflitte da quelli di Capitol City, da quei maledetti aghi inseguitori che mi hanno portato via l'unico brandello di felicità che mi era rimasto, lui è qui a preoccuparsi per me. Che io mangi.
Mi siedo e lo guardo.

I muscoli, ben definiti, si vedono attraverso la maglietta e i lineamenti del viso sono tirati in un'espressione dura e cosi sicura di sé, sembra essere quasi perfetto, quasi perché rovinati da qualche cicatrice sulla tempia, sulla guancia, sul collo ma ormai ho perso il conto. Siamo pieni di quei segni che ci distinguono dagli altri, pieni di striature, di rattoppi, di ustioni, di pelle morta sparsa qua e là, prima a causa degli Hunger Games poi per le battaglie della rivolta. Siamo l'emblema perfetto di tutto ciò che è successo a Panem. Nel corpo, nella mente, nell'anima. Ma vederle su Peeta non mi da fastidio all'occhio, anzi mi fa ricordare chi è, cos'ha fatto per me, il suo coraggio, il suo amore, mi fa ricordare quella persona che non so più se esiste, ma che non smetterò mai di cercare.

"Ecco qua! Brodo caldo per la signorina che se ne va in giro nei boschi con la pioggia" e mi pianta davanti quel piatto fumante dall'aspetto invitante. Mi accorgo di avere fame solo quando comincio a mandare giù le prime cucchiaiate. Peeta mi guarda e ride. Non ho bisogno di chiedergli il perché, già lo so.

Mangiamo in silenzio e lo aiuto a metter via tutto nel lavabo. "Non preoccuparti domani ci pensa Sae, altrimenti si lamenta che qua non ha nulla da fare" gli faccio l'occhiolino e capisce subito che voglio essere stretta dalle sue braccia perché acconsente a lasciare tutto così e ad andare verso il divano a guardare un po' di televisione. Peeta si siede e io accanto a lui, con la testa poggiata sulla sua spalla e le gambe rannicchiate sotto la coperta che mi ha appena steso addosso. Mi circonda le spalle con un braccio e con il pollice inizia a massaggiare lievemente un punto a caso sulla spalla. Tremo, sussulto non so cosa mi si rigiri nello stomaco. Il suo profumo è forte e buono e dolce che mi fa girare la testa.

Mi avvicino ancora di più e infilo la punta del mio naso nell'incavo del suo collo. Il mio respiro irregolare si posa sulla sua pelle così bianca. "Kat" mi dice interrompendo il fluire delle mie sensazioni. "Per stamattina - comincia e io mi irrigidisco - veramente non volevo sembrare scortese quando sei entrata e poi...quando sei andata via eri strana" mi dice perdendo quella sicurezza che ostenta sempre. Mi allontano un po' per guardarlo bene. "No, sono io. Ehm, non si entra a casa delle persone senza essere invitati, giusto?" Cerco di mantenere la voce calma anche se vorrei urlargli contro qualcosa, ma non so neanche cosa di preciso.

"No, lo sai tu puoi venire da me quando vuoi" si gratta il sopracciglio abbassando lo sguardo. Conosco quel gesto imbarazzato. Mi faccio coraggio e mi avvicino alle sue labbra. Le bacio delicatamente, cercando di imitare i suoi. Lui ne resta sorpreso. Mi stacco. Non voglio forzarlo a fare niente che non voglia dopo quello che è successo al lago ma lui mi blocca tirandomi di nuovo nella direzione delle sue labbra. Le nostre lingue si rincorrono per prendersi e rincorrersi ancora fino a staccarsi completamente.

Ho il fiatone. Ho la testa che mi gira. Ho lo stomaco sottosopra. Lo guardo ed è rosso in viso.
"Kat io..." e si alza di scatto lasciandomi avvolta in una sensazione di gelo.
"Che sta succedendo?" Lo guardo senza capire. "Non sei più costretta a fingere per nessuno lo sai, non ho bisogno che tu mi dia questi baci che - si volta a guardare verso il camino riscaldato, ormai, da piccole fiammelle - sanno di pietà".
Spalanco gli occhi incredula.
- Pensa davvero che io lo faccia per pietà? -

"Peeta io non provo alcuna pietà!" Gli urlo alzandomi a mia volta e lasciando cadere sul pavimento la calda coperta.
"Allora perché lo stai facendo? Mi stai incasinando la testa così!" Lo vedo fremere e darsi dei colpetti sulla nuca, solo in quel momento realizzo che cosa sta succedendo.
"Tu mi incasini la testa e io non voglio, non posso" accentua le ultime parole riempendole di rabbia, ma non verso di me quanto verso se stesso.

"Peeta" riesco a dire solo questo perché le parole mi muoiono in bocca. I suoi occhi si stanno dilatando e li vedo cambiare colore, vedo andare via quel mare di sicurezza e tranquillità.
"Stammi lontano!" Urla continuando ad infliggersi dolore. Lo vedo avvolgersi con le braccia e conficcarsi le unghie nella carne fino a quando un rivolo di sangue non esce da uno dei profondi segni.
Resto pietrificata. Vorrei aiutarlo ma non so come. Il fiato si è fermato. Riesco a dire "io non voglio incasinarti la testa, io ci tengo a te!" in mezzo alle lacrime. Vederlo in questo stato mi fa sempre male. In qualche modo riesce a smettere di farsi del male con quelle mani forti e riesco a vedere i suoi occhi tornare a brillare del suo solito azzurro, forse più spento adesso.

Mi sembra che ogni volta che ha i suoi scatti muoia una parte di lui, in lui.
Mi fiondo ad abbracciarlo ma lui mi tiene a distanza.
"Non posso" dice mettendosi le mani sulla faccia.
"Non posso continuare a starti vicino in questo stato!" "Si che puoi perché stai imparando a controllarti". Mi sento smarrita. Mi sento abbandonata nel sentire quelle parole.
-Se mi abbandona anche lui non riuscirò mai a sopravvivere, di questo sono certa.-

"È pericoloso per te starmi vicino. Non vedi che sono un mostro? E l'ultima cosa che voglio è farti male o peggio" i suoi occhi sono pieni di lacrime e la sua voce sembra disperata.
Lo guardo supplicante.
"Non guardarmi così, è la verità. Solo che tu vuoi fare la crocerossina a discapito della tua vita e questo non posso fartelo fare!".
Quella che sento ribollirmi dentro adesso è la rabbia non più quel senso di vuoto e di desolazione.
"Certo, vai dalla tua cara vecchia amica Delly, dato che con lei non hai istinti omicida!".
Quelle parole mi escono da sole, senza avere il tempo di fermarle, insieme alla rabbia infinita che provo per la sua resa.  

Cosa resta di noi?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora