Capitolo Quattordicesimo

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Parlare con mia madre, stranamente mi ha fatto stare meglio. Un po' di rabbia e delusione sembra essersi alleggerita.
Ma da quel giorno non l'ho più sentita tanto spesso. Sarebbe stato strano aspettarsi il contrario. Eppure ho cercato lei quando ne avevo bisogno.
Forse sono ancora una ragazzina che cerca l'attenzione della madre, almeno una volta. Almeno una volta vorrei essere io ad appoggiarmi a lei, non viceversa.

È passata una settimana da quel litigio con Peeta, non parliamo da allora e la cosa mi spaventa. Ogni mattina è la stessa storia, mi alzo trascinandomi a destra e a manca per la casa senza nulla da fare, senza voglia di fare nulla. Mi affaccio costantemente alla finestra, ormai in modo meccanico; guardo verso la sua casa. Lo vedo quando torna dai lavori alla panetteria, lo vedo alzarsi la notte, vedo le luci accendersi e spegnersi. Potrei sembrare una stalker in realtà, ma la verità è che lo faccio perché mi manca.

Ma sono cosi cocciuta da non volermi presentare alla sua porta e dirgli "scusa".
Haymitch è preoccupato per me e tutte le sere viene a cena a casa; mi sporgo sempre dalla porta per vedere se dietro di lui c'è qualcuno. E sette volte ho sentito la stessa frase "Dolcezza, lui non verrà". Haymitch non mi giudica, sono sicura che avrebbe piacere di dirmi la sua se una di queste sere glielo chiedessi, ma non lo faccio, mi limito solo a prendere informazioni sul mio vecchio compagno di giochi. Mi dice che i lavori vanno bene, che Peeta ha un sacco di idee, ma la frase che segue è spesso "ma non sta bene, non lo dice, ma lo vedo. Credo che sia anche un po' peggiorato" e fa segno verso la testa, come se stesse parlando di un matto.
"E tu come stai? Vedo che te la cavi piuttosto male" bofonchia dalla bottiglia. "Sto bene. Davvero." "Sai che l'amichetta di Peeta frequenta spesso casa Mellark?" Mi dice e io lo guardo fissa, quasi infuriata. Poi scoppia a ridere. "Calma, ragazzina! Se ti da così fastidio perché non te lo vai a prendere?".

- Ottimo! Ci mancava solo l'ubriaco cupido! -

"Perché non devo prendermi nessuno. Sei un fissato!" "Guarda che non c'è niente di male a condividere i proprio dolori con qualcuno" dice guardando il vuoto, come se stesse parlando anche a se stesso. E ha ragione. Non c'è nulla di male.
"Perché lui non è più lo stesso, non riavrò mai quel ragazzo che mi crede perfetta" sbotto, inaspettatamente.
"E con questo? Nonostante sia diverso ti ama, cosa cambia? Ti vede per quella che sei e ti ama in ogni caso, io direi che è addirittura meglio!" Sorseggia ancora un po' di rum e la svampa si dispiega per la cucina.
"E non dirmi che non lo ami anche tu perché arrivati ad oggi, tutta Panem sa che menti!" Continua sarcastico.
"Ma...la questione di Gale, è qualcosa che rimarrà sempre insospesa tra noi!" Dico esasperata, cercando l'ennesima scusa.
"Allora devi scegliere cara, devi farlo una volta per tutte" poi lo vedo alzarsi e andare verso la porta.

- Devo davvero scegliere? -

Haymitch ha sollevato così tanti dubbi che mi ritrovo a prendere sonno mentre la mente vola lontana.

Corro, corro velocemente. Ansimo. Non ce la faccio più, ma devo fare uno sforzo. Ho la medicina con me, è l'unica speranza che abbiamo per far guarire la sua gamba. Devo arrivare alla svelta. Mi butto all'interno della grotta catapultandomi al suo fianco. Lo chiamo ma non risponde. Inizio a spalmargli nervosamente la crema nel punto dello squarcio. È schifoso. Ma devo farlo perché così sono certa che guarirà. Lo guardo. Non un gesto. Lo scuoto. Non si muove. "Peeta svegliati" inizio a dire in modo nervoso. "Svegliati!" Gli dò un forte strattone ma non si muove. Il calore si sente venire dagli occhi, dalla testa, dalle orecchie. "No, no, no. Peeta!". Tremante di avvicino al suo petto. Ho paura. Poso il mio orecchio. Niente. Il cuore non batte.

Mi sveglio urlante. Ci metto qualche secondo per mettere a fuoco di essere nella mia stanza, tra le lenzuola ma la sensazione di paura, di terrore, non accenna a sparire. Mi alzo rapidamente e mi piazzo davanti la finestra, quella che da sul giardino; dò uno sguardo veloce alle rose e poi guardo verso la finestra in alto della casa di fronte. La luce è accesa. Mi sento sollevata. È ancora sveglio. È ancora vivo. Quel sogno mi era sembrato cosi vero; posso sentire ancora l'odore del sangue e del pus venirmi al naso. Posso sentire il viscidume della crema sotto i miei polpastrelli. Sento ancora il silenzio di tomba nel mio orecchio.
Mi avvicino al comodino e prendo dal piccolo portagioie la perla nera e liscia che Peeta mi ha regalato nei giochi della memoria. La stringo in mano e torno a letto, nella speranza che mi aiuti a dormire meglio, almeno questa notte.

- Non parliamo da così tanto che ormai ho perso il conto -

Un paio di volte ci siamo incrociati per strada, o sui rispettivi portici. Lunghe occhiate, né una parola, né un saluto.
Quella mattina il campanello aveva suonato solo mezza volta; sono corsa giù per le scale con una tale speranza che, una volta aperto, sono rimasta imbambolata senza spiccicare un suono.

Cosa resta di noi?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora