Capitolo Secondo

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 Mi guarda quasi avesse paura di me, ma non mi lascio abbattere da questa strana sensazione che provo guardandolo.

"Volevo controllare come stessi". Mi rendo conto che in realtà non so cosa dirgli, l'unica cosa che vorrei fare è abbracciarlo e piangere e sentire la sua stretta, ma così facendo toccherebbe ancora una volta a lui prendersi cura di me. "Ho avuto momenti migliori" dice rompendo il centro della tela in malo modo. Sussulto. "Perché la stai distruggendo?" Chiedo in preda al panico. -starà ricominciando ad essere violento?- "Non era un granché, meglio eliminare tutto!". Lascia cadere i pezzi a terra poi si dirige verso la porta e io lo seguo. "Non voglio che vedi le cose in quella stanza" continua, poi, scendendo le scale, senza neanche voltarsi verso di me.

Lo odio quando, dopo uno dei suoi momenti di crisi, si allontana da me, quando ha paura di farmi del male, quando nonostante tutto continua a volermi proteggere a discapito di se stesso. "Hai paura che non potrei sopportarlo eh?" Cerco di essere ironica, ma non sono certa del risultato perché in risposta non arriva niente, neanche un segno. Ci dirigiamo in cucina.

Mi guardo intorno e vedo dei vetri sul pavimento. -Devono essere passati di qui ieri sera- penso e mi si stringe lo stomaco. Peeta doveva essere davvero fuori di sé per mettere scompiglio anche in questo luogo sacro. La cucina per lui è tutto, soprattutto da quando siamo tornati al 12. Lo vedo un po' in imbarazzo mentre prende, da dentro uno sgabuzzino, la scopa e inizia a spazzare via il vetro. "Scusa la confusione, ci metto un attimo! Perché intanto non metti su l'acqua, faccio una delle mie tisane". Annuisco. Continuo ad osservarlo ma i suoi occhi, la sua testa continuano ad essere percorsi da spasmi quasi impercettibili. -Sono preoccupata, ho paura che possa farsi male, che possa fare qualcosa di stupido.- penso mentre armeggio ciotole e acqua, ma vengo interrotta da un tonfo e dal rumore di vetri che si spargono. Mi volto rapida e vedo che Peeta aveva lasciato cadere la paletta piena di vetri e si osserva la mano tremante. È in difficoltà e lo stomaco mi si strizza. Vado verso di lui.
"Vai a preparare la tisana - dico toccandogli la mano che continua a tremare -  qua ci penso io". Sento che al mio tocco i suoi muscoli si contraggono e nei suoi occhi vedo terrore, ma non mi importa, deve capire che io non ho paura di lui. Alla fine, dopo qualche esitazione annuisce e va verso i fornelli.
Rimaniamo in silenzio. Il suo imbarazzo misto a qualcosa di ancora indecifrabile sembra avergli stranamente tolto la parola e io, si sa, non sono così brava con le parole cosi mi accontento di sorseggiare il liquido dalla mia tazza osservandolo.

"Kat?" "Mmm" mugugno mentre cerco di mandare giù gli ultimi sorsi. "Scusa se stamattina non ti ho portato la colazione" abbassa lo sguardo e abbozza un sorriso. - Cerca di avvicinarsi. Cerca una scusa qualsiasi per avvicinarsi.

Sorrido e poggio la mia mano sulla sua. "Puoi sempre farmi mangiare qualcosa di buono ora, no?". "Ho una torta ancora intera, l'avevo preparata ieri, se ne vuoi un pezzo posso.." ma annuisco vigorosamente prima che finisca la frase. Lo vedo alzarsi di scatto, dirigersi verso il frigorifero per tornare poco dopo con due piatti. "Ecco a lei!" Dice scherzosamente lasciandomi il piatto davanti. Inizio a mangiare, più sollevata dal fatto che Peeta si stia sciogliendo un poco, questo perché la nottata appena trascorsa inizia a farsi più distante nella sua mente. "Mpuona!" Dico prima ancora di mandar giù il boccone. Peeta ride.
Peeta ride. Sta ridendo.

Si avvicina e con il pollice mi toglie un po' di cioccolata rimasta al lato della mia bocca. "Hai un po' di...aspetta, l'ho tolta".

Quel tocco è cosi leggero, così dolce che non riesco a trattenermi, scatto in piedi e mi butto su di lui che per poco non cadeva dallo sgabello e lo abbraccio. Forte. Affondo la faccia nell'incavo del suo collo e resto ferma a respirare il suo profumo. L'ho preso così alla sprovvista che inizialmente non ricambia ma poi sento la sua stretta e capisco che mi sta abbracciando anche lui. Lo sento passarmi una mano sui capelli e dirmi "Va tutto bene Kat, sono qui"

 "Non farmi preoccupare più come stamattina!" Lo supplico e lui continua ad accarezzarmi dolcemente. "Se solo riuscissi a controllare quello che mi succede!" Sembra che stia parlando più con se stesso che con me,  decido di sciogliere l'abbraccio e prendergli il viso tra le mani, poggiando la mia fronte alla sua. "Tu puoi farlo, lo sai! E io ti aiuterò, sempre" sorride, mi prende una mano e vi posa lievemente le labbra prima di alzarsi e allontanarmi da lui lasciandomi interdetta.

"Il problema è questo. L'aiuto che vuoi darmi tu comporta la tua vicinanza e io non - si interrompe per prendere fiato - e io non posso permettermi di abbassare la guarda quando sei con me". Faccio un passo avanti ma vedo lui farne uno indietro. "Peeta è quello che abbiamo sempre fatto, cosa è cambiato? La nostra promessa non vale più niente?".  Sento che gli occhi mi pungono ma se piango adesso lui mi vedrà debole, e si convincerà ancora di più di dovermi stare lontano. "No, Kat sai che non è questo. Se dipendesse da me io non..." lo interrompo "Dipende da te! Dipende dalla tua forza di volontà! Dipende da te!" Credo di non essere stata molto brava nel trattenere le lacrime perché sento scendere giù due file calde. "Kat non far sembrare la cosa come se io non volessi liberarmi da tutto questo abbastanza! Tu non sai cosa ho passato, non puoi riuscire neanche ad immaginare cosa succede nella mia mente!" Adesso anche lui sta alzando la voce e vedo i suoi occhi diventare lucidi, ma non riesco a stare zitta. "Allora spiegamelo! Aiutami a capire perché così io vedo solo che ti stai arrendendo! Dov'è finito Peeta Mellark?" Sputo le ultime parole con una rabbia che non sapevo neanche di avere in corpo. Lo vedo che resta li, fermo, colpito, tradito e poi colpito ancora. Solo guardando nei suoi occhi, cosi trasparenti riesco a vedere quanto le mie parole lo abbiano ferito e tento di ritrattare. Tiro su col naso e provo a riprendere parola, in modo più calmo.

"Peeta io..." ma le parole muoiono in bocca quando lo vedo scuotere la testa e girarsi ad appoggiare le mani sul tavolo. "Lascia stare" dice aggrappandosi al bordo legnoso. Non so cosa dire allora resto ferma li a tirare su col naso e a lasciare che altre lacrime vadano a morire sulla mia maglietta. "Secondo te non mi faccio la stessa identica domanda ogni mattina e ogni sera? Secondo te non mi dò del codardo ogni volta che le cose che vedo nella mia mente hanno la meglio su di me?" Mi avvicino a lui e gli poggio una mano sulla spalla, ma lui si fa rigido, sento i muscoli contrarsi e diventare di ferro, lo vedo aggrapparsi al tavolo. "Vattene!" Mi urla dandomi una leggera spinta con la spalla. Sta succedendo. Ancora. "Peeta cerca di calmarti! Io sono qui e niente di quello che vedi è reale!" E mi avvinghio a lui ancora di più. "Non voglio farti del male" la sua voce è rabbiosa e disperata. "Non lo farai. Io ho fiducia in te e non lo farai!" . Poggia le mani sui miei polsi. Fa male. "Peeta torna da me!" gli sussurro mentre lui continua a stringere la sua presa.  

Cosa resta di noi?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora