Capitolo 28

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Mi sveglio e, senza pensarci, appoggio una mano sul collo indolenzito. Realizzo che non mi trovo più in una stanza di ospedale, ma all'interno di un'auto.

Mi giro e vedo Alessandro . "Dove mi stai portando?" gli chiedo. Mi guarda per un momento, ma torna immediatamente a posare lo sguardo sulla strada. "A casa" si limita a rispondere. "Scusa, ma ti hanno già dimesso?" gli chiedo, incredula. In effetti mi sembra strano che sia già in grado di uscire. "A dire la verità, me ne sono andato".

"Cosa? Ma tu sei pazzo! E che succederebbe se ti sentissi male?" gli urlo in faccia. "Calmati. Sto bene" risponde con estrema tranquillità.

Mi dà i nervi. Come fa ed essere così rilassato?

"Ti devo riportare a casa. Te ne ho già fatte passare tante e non posso permetterti di saltare ancora scuola" dice, continuando a guidare. Cerco di rimanere calma. Voglio che sia lui a spiegarmi tutta la situazione. Anche se, visto il suo silenzio, non credo ne abbia molta voglia. Mi fa quasi paura. Non è mai stato così silenzioso.

Allungo la mano, appoggiandola sopra la sua, sul volante. Una leggera scossa percorre il mio corpo appena la sfioro. Non pensavo facesse ancora quest'effetto. Ma, a quanto pare, non sono l'unica che non resta indifferente ad un semplice tocco. Quella scossa l'ha avvertita anche lui.

"Allora non resti indifferente" dico, quasi compiaciuta. Mi guarda. "Come potrei restare indifferente?", Ritrae subito la mano, portandola sul cambio. Resto zitta per il resto del tempo. Io lo amo. Ma, a quanto pare, lui sta cercando di allontanarmi. Cosa può essere cambiato in queste due settimane? Michael. È lui la causa di tutto questo.

Non mi accorgo di essere arrivata davanti a casa. Ero troppo assorta da tanti pensieri. "Allora, ciao. Stammi bene" dico, scendendo dall'auto. "Ciao" risponde.

Entro in casa e saluto mia madre. "Come mai già a casa?" risponde, sorpresa.

"L'hanno dimesso. Sta bene" dico, mentendo spudoratamente. Di certo non posso dire che se ne è andato dall'ospedale. La situazione è già abbastanza imbarazzante e non credo sia opportuno complicarla ulteriormente.

Prima di chiudermi in camera per il resto della giornata, mi faccio una doccia. Ne ho proprio bisogno. Voglio togliermi di dosso tutti i pensieri negativi, almeno per oggi. Mi spoglio ed entro. Che bello sentire scorrere l'acqua calda su tutto il corpo. Di colpo, però, tutti quei pensieri tornano a riecheggiare nella mia testa.

Ma come è possibile che Michael sia in grado di fare tutto questo? Ci devo parlare. Subito. Esco dalla doccia e mi avvolgo in un caldo accappatoio. Improvvisamente, riaffiora il ricordo di Alessandro che mi avvolge nel suo accappatoio, con quel suo profumo. Con un po' di tristezza finisco di vestirmi e di asciugarmi.

Afferro il cellulare e chiamo Michael.

È libero.

"Ehi, Marta! Come va?". La sua voce è calma e rilassata. Ma come fa ad esserlo? Decido di non perdere tempo e di andare dritta al sodo.

"So della minaccia che hai fatto a tuo padre e della vostra discussione dell'altro giorno" dico, alzando la voce. "Quindi sai tutto...". "Alessandro ha avuto un incidente subito dopo aver discusso con te" gli dico, senza tanti giri di parole. "C-cosa? Come sta?".

La sua voce si fa tremolante. "Ora sta bene. È già a casa. Ma ha passato tutta la notte in ospedale" rispondo. "Stai insinuando che la colpa è mia? Che è andato fuori strada a causa mia?". "Non sto dando la colpa a te. Voglio solo una spiegazione riguardo quello che è successo tra voi" rispondo arrabbiata.

"Come puoi fare l'indifferente? Tu sei l'ultimo che è stato con lui, quella sera" dico, alzando ancora di più il tono della voce. "Abbiamo solo discusso. Lui era fuori di sé.". "E tu hai lasciato che si mettesse al volante in quelle condizioni?".

"Io...io non sapevo che si fosse messo a guidare". Sbuffo. Come può aver permesso che succedesse? Suo padre... mi sdraio sul letto e inserisco il viva voce, così da poter indossare il pigiama. "Senti, Michael, io non so che cosa vi siete detti. Ma se speri che, facendo così, io torni con te, hai proprio sbagliato. Io amo tuo padre. E quello che c'è tra noi due è solo amicizia".

"Sì, lo so" risponde.

Anche se non posso vederlo, è come se percepissi un sorriso che non mi piace.

Come se volesse dirmi: "sei sua, ma ancora per poco". "Quindi tornerai con lui?" mi chiede. "La mia intenzione è quella. Ma devo fargli capire che non è troppo tardi". risponde e riattacca.

Chiamo Paola e Michela per dire che sono tornata e che Alessandro sta bene. Poi mi addormento.

Ore 7.30. Sono alla fermata ad aspettare l'autobus. Stranamente, per una volta che arrivo in orario, è l'autobus ad essere in ritardo. Quando arriva, salgo e trovo Paola che ascolta musica. Appena mi vede, toglie una cuffia e me la porge.

Non servono parole tra noi. Ci capiamo con uno sguardo. "Paola..." sospiro. "Già mi piace poco quando inizi una conversazione sospirando" risponde, sorridendo. "La situazione è peggiore di quello che pensavo. Michael ci è dentro fino al collo" dico, cercando di tenere bassa la voce per non farmi sentire dalla gente.

"In che senso?" mi chiede, incredula. Prima di rispondere faccio un bel respiro. "La sera dell'incidente, si sono visti per discutere. E l'oggetto della contesa sono io". Paola sussulta "Cosa?". Annuisco. "Sì, Paola. Alessandro si è arreso dopo quello che gli ho detto e mi ha lasciata a Michael". "Ma non può aver fatto una cosa del genere!".

"Purtroppo l'ha fatto". Anche se intorno a noi si sente il vociare della gente, è come se calasse un silenzio innaturale. Le chiacchiere della gente mi danno fastidio. Faccio segno a Paola di mettere una canzone che piace ad entrambe. "Oggi chiediamo al professore di diritto di poter rifare la verifica. Va bene?" chiedo a Paola. "Sì, va bene. Però mi sa che dovremmo dare una motivazione valida" risponde preoccupata. Annuisco. "Sì, ma noi ce l'abbiamo una motivazione. Ovviamente non spiegheremo tutti i dettagli. Diremo solamente che abbiamo avuto un contrattempo". Arriviamo a scuola e scendiamo dall'autobus.

Ci incamminiamo verso l'entrata, dato che sono già le 8.00, quando sento una mano afferrami lo zaino. Lascio che Paola vada avanti e mi volto.

È Michael. "Mi spieghi che bisogno c'è di strattonare la gente così?" gli urlo contro. "Scusami...è che hai le cuffie". Sbuffo. "Che ci fai qui?". Faccio per guardare l'orologio, ma non faccio in tempo prima che suoni la campanella. "Io dovrei andare in classe. E anche tu!" dico, voltandomi.

"Aspetta, Marta. Ti volevo solo dire che io, con il suo incidente, non centro nulla! L'ho minacciato, quello sì". "E quale sarebbe il motivo di questa minaccia?" gli chiedo, iniziando ad arrabbiarmi. "Io ti desidero, Marta. Tu sei mia. E non posso sopportare che tu stia con un altro. Tanto meno con lui. Soprattutto con lui!".

"Che significa che io sono tua? Io non sono di nessuno! Non sono un oggetto che puoi possedere. E, in ogni caso, mi sembra di essere stata abbastanza chiara sul nostro rapporto" rispondo, togliendomi di dosso il suo braccio.

Di colpo, mi trovo appoggiata al muro. Lui si avvicina a me. Io indietreggio, ma non posso andare da nessuna parte. Sono intrappolata tra le sue braccia e il muro. Mi sento come un topo in trappola.

Avvicina il suo viso al mio.

Chiudo gli occhi in attesa di un suo bacio che, però, non arriva.

Mi afferra il mento con due dita. "Non voglio baciarti. Puoi riaprire gli occhi" sussurra vicino alle mie labbra.

Un brivido percorre la mia schiena.

"Ricordati che io ottengo sempre ciò che voglio" mi dice. Si allontana lasciandomi lì, attonita e incredula per quello che è appena successo. Corro in classe. La lezione si svolge normalmente. Michela è assente e a Paola non ho raccontato nulla di quello che è successo stamattina.

ASPETTAMIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora