Capitolo 33

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Marta

È il primo maggio. Oggi niente scuola, ma non posso rimanere ancora a letto. Mi alzo malvolentieri e inizio subito a maneggiare il cellulare. Per sbaglio, capito sulla conversazione con Alessandro. La sua foto profilo è stupenda. Ritrae lui, o meglio la sua faccia, sorridente e splendida, come sempre.

Chiudo Whatsapp e inizio a piangere. Non posso continuare così. Faccio un bel respiro e cancello il suo numero, anche se so che è inutile perché l'ho imparato a memoria. Paola, probabilmente, starà ancora dormendo. La conosco bene. Finisco di bere il latte e accendo il PC. Accedo al mio profilo Facebook, anche se non sono dell'umore adatto. Aggiorno la foto profilo e condivido una frase molto bella che ho trovato girovagando nella rete.

Devo studiare Economia aziendale ma non ne ho affatto voglia. La mia testa è piena di altre cose. Come se non bastasse, continua a tornarmi in mente Michael. Le sue parole mi hanno davvero ferita. Non mi resta altro da fare che studiare o, per lo meno, aprire il libro.

Alessandro

Non posso continuare così. L'ho persa e me ne devo fare una ragione. Dopotutto era già tutto scritto.

E io ci ho perso la testa.

Sospiro e mi dirigo al lavoro. Spero di tranquillizzarmi. È il 2 maggio e fa particolarmente caldo. Salgo sulla corriera. Guardo l'orologio. Sono le 6.50. Sorrido soddisfatto: sono in perfetto orario.

Osservo i sedili vuoti e mi siedo al posto di guida. Metto in moto e parto. Mi sono completamente dimenticato che devo fare proprio quella linea. Il sole che splende già alto inizia a darmi fastidio, costringendomi a mettere gli occhiali da sole. Inizio il mio giro e faccio le prime fermate.

Paola sale. Mi saluta come sempre e si accomoda al solito posto. La guardo, pensando che, tra pochi minuti, quel posto libero al suo fianco sarà occupato da lei. Sospiro e cerco di non pensarci.

Arrivo alla sua fermata. Il cuore palpita talmente forte che sembra uscirmi dal petto. Le mani appoggiate al volante iniziano a tremare. I nostri sguardi si incrociano immediatamente appena arrivo.

Prende lo zaino e sale continuando a guardarmi. Accenna un sorriso e si siede. Non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Ma sono costretto a farlo per guardare la strada. Nella mia testa si affollano mille pensieri. Tutto ciò che vorrei è averla al mio fianco. Mentre guido, i miei occhi non smettono di guardarla e lei fa lo stesso. Prendo coraggio e mi decido finalmente a parlare. Dopotutto lo abbiamo sempre fatto.

"Ehi, cosa studi di bello?" le chiedo, vedendola con un libro in mano. Alza lo sguardo dal libro e finalmente la vedo sorridere. "Analisi di bilancio" mi risponde. "Fai tu il compito al posto mio?" mi dice, ridendo. Anche Paola ride. Per un momento mi sembra che tra noi non fosse mai successo niente di tutto ciò.

"Sai che io sono più portato per altre cose!" rispondo, facendole l'occhiolino.

Quanto vorrei baciarla. Scuoto la testa. Non ci devo pensare. Stringo i pugni sul volante. Non voglio che lei mi veda così. Per fortuna arrivo in orario davanti alla sua scuola. "Paola, dai! Sbrighiamoci che abbiamo il compito!" la sento dire, mentre afferra lo zaino e si prepara a scendere.

Come al solito scendono per ultime. Non mi faccio scappare l'occasione.

Voglio parlarle.

La afferro per un braccio e le chiedo: "Hai intenzione di far finta di niente per sempre?". Mi alzo dal posto di guida, ritrovandomi faccia a faccia con lei. Forse un po' troppo vicino. "Che altro posso fare?" mi risponde, a pochi centimetri dal mio viso.

Sento una scossa che percorre tutto il mio corpo facendo tremare le mie gambe per alcuni secondi.

"Non ne vedo il motivo, Marta". Smetto di tremare. "Non ho neanche un motivo, però, per stare male ogni volta che ti vedo. E tu, di certo, non puoi licenziarti per colpa mia. Dobbiamo far sembrare tutto più semplice". Si volta per scendere.

Scende, lasciandomi li senza nemmeno il tempo di ribattere. Torno alla realtà e continuo a lavorare. La guardo con la coda dell'occhio mentre mi allontano.

Finito il giro, parcheggio nello spiazzo di fronte al liceo. Spengo l'autobus e rimango seduto al posto di guida, mettendomi la testa fra le mani, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Ripenso a quello che è successo poco fa. Non ce la facciamo ad ignorarci, questo è evidente. Ma nemmeno possiamo far finta di niente.

Alzo lo sguardo e noto che si è avvicinata una persona. Passano alcuni istanti prima che mi accorga che è il mio collega Massimo. Non l'ho sentito perché ero troppo immerso nei miei pensieri. "Ciao". Sale e si siede su uno dei primi posti. Cerco di rimanere sul vago. A quanto pare il mio disagio è evidente. "Che succede? Problemi con Marta?" Sospiro e annuisco con la testa. Massimo mi mette una mano sulla spalla. "Che è successo?".

Non posso fare altro che raccontare tutto. "L'ho lasciata, Massimo". Mi guarda, incredulo. "Come mai? Sì è resa conto che ama tuo figlio?". Ascoltando questa frase, mi assale un brivido. "No, lui non c'entra. Almeno, non per questo motivo". Guardo fuori dal finestrino e continuo. "Ma ha cercato di farle del male". Massimo sussulta. "Che cosa? Quando è successo?". "Circa un mese fa. Per fortuna ero lì e ho impedito che accadesse il peggio". Ride. "Arrivi sempre nel momento giusto, insomma". Sorrido. In effetti ha ragione.

"Sai, Massimo, è stata proprio quella la sera in cui mi sono reso conto che così non può andare avanti". Inizio ad agitarmi, anche se non so il perché. "Come è finita?" chiede, avvicinandosi a me. Deglutisco ed inizio a raccontare. "Ricordi un paio di mesi fa, quando sono mancato per un po'? Ho avuto un incidente in auto. Non l'ho detto a nessuno perché ero a Bologna e perché è coinvolto mio figlio. Poco prima avevo discusso con lui. Marta si è precipitata immediatamente, e ha dovuto dire tutto ai suoi...". Mi interrompe facendo un cenno con la mano. "Ha avuto coraggio! Nonostante tutto è corsa da te!". Annuisco e continuo. Un velo di tristezza mi copre il volto.

"Mi ha vegliato per tutta la notte.È stata con me. Lei è la prima persona che ho visto al risveglio. E io l'ho mandata via. Capisci?".

Mi rivolgo a lui maledicendo me stesso per come lo sto tormentando con i miei problemi. Senza volerlo, sono diventato molto più sensibile ed inizio a piangere. Massimo resta in silenzio per alcuni minuti, poi esclama: "Dopotutto, saresti un cretino se non fossi innamorato di lei. Ho capito anche io che ragazza speciale sia. Sai che ti dico? Pensaci bene e, se la ami veramente, vai a riprendertela". "Devo aspettare Massimo. Devo aspettare che finisca la scuola. Anche se l'attesa mi sta distruggendo".

Chiudo la porta di casa e getto il mazzo di chiavi sul tavolino all'entrata. Sospiro, ripensando alla giornata appena trascorsa. Stamattina l'incontro-scontro con lei. Poi la discussione con Massimo e tutto il resto della giornata in giro con l'autobus. Questo lavoro mi distrugge. Ho bisogno di rilassarmi.

Slaccio la cravatta e la butto sul pavimento. Faccio lo stesso con la camicia e con i pantaloni, quando sento bussare alla porta.

ASPETTAMIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora