Era da poco terminata la quarta mietitura dalla partenza di Camilla e Metabo, ma dei due ancora non era giunta alcuna notizia. Dopo un primo periodo colmo di tristezza, Antonius e Arisia cominciavano a essere più sereni. Seduti davanti alla porta di casa, il sole serale tornava pian piano a riprendere per loro i suoi caldi colori, illuminando come un tempo la pace dell'animo. Quella sera, mentre l'astro , ormai prossimo al suo quotidiano riposo, lanciava i suoi ultimi strali, Antonius riposava sdraiato sull'erba, sonnecchiando. A un tratto, qualcuno sussurrò:
«Padre. Padre...»
Come in un sogno, al pastore parve di ascoltare di nuovo la voce della sua Camilla.
«Su, ta'... apri gli occhi.»
Antonius li riaprì di scatto. Camilla era lì di fronte a lui, in carne e ossa.
«Arisia! Arisia! – gridò euforico - Corri, presto! Camilla è tornata!»
Con le lacrime agli occhi baciò e abbracciò più volte la figlia che credeva ormai perduta per sempre. Come in una visione, in piedi, appoggiata sulla lancia, il cavallo tenuto per le briglie accanto a sé, la splendida figura di Camilla si stagliava contro il sole del tramonto. Era proprio lei, la stessa bambina che la notte faceva addormentare cantandole antiche nenie di mare. Mille pensieri affollavano la sua mente. Come era diventata bella sua figlia! Era cresciuta ancora. Alta quasi quanto lui, irrobustita, eppure ancora ben slanciata. I capelli neri legati sulla nuca, abbronzata, gambe e braccia ben tornite e muscolose, sembrava Artemide in persona. Indossava una corta tunica bianca scolorita dalla polvere. Stretta in vita aveva un'ampia e robusta fascia di cuoio, che metteva in evidenza le sue forme; ai piedi portava calzari di pelle di montone con gambali e parastinchi in cuoio. Un lungo mantello nero pendeva dalle sue spalle. Una corta spada di ferro, una fionda e un piccolo pugnale completavano il suo armamento personale. Il cavallo era sellato con la pelle di uno strano animale mai visto da quelle parti. Antonius avrebbe detto che fosse di un enorme gatto selvatico, con il manto striato di giallo, bianco, arancio e nero. Dai fianchi del cavallo penzolavano una bisaccia di pelle di capra a doppia tasca, un otre in pelle ormai vuoto e un arco con la faretra ricolma di frecce.
Il pastore rimase in religioso silenzio a rimirarla.
Subito dopo arrivò col fiatone Arisia, che restò senza parole.
«Figlia mia, fatti abbracciare! Come sei bella, sembri la dea della guerra in persona. E questa cicatrice, cos'è? E un'altra ancora! Che t'hanno fatto?»
L'abbracciò di nuovo, poi si staccò di colpo, dichiarando con fare autoritario:
«Ahhh, puzzi peggio di una capra! Vado subito a mettere l'acqua sul fuoco. Devi lavarti prima di cena, anzi, immediatamente!»
«Bentornata a casa, Camilla!» Esclamò Antonius, ed esplosero tutti e tre in un'allegra risata.
***
Quella sera a cena, dopo i soliti commenti sulla bravura di Arisia e la sua capacità di trasformare qualsiasi cosa di commestibile in cibo per gli dei, Antonius chiese a Camilla:
«Figlia mia, ricordi com'era buono il cosciotto del cinghiale che uccidesti quel giorno?»
La ragazza abbozzò un sorriso, ma si fece subito seria:
«Sì, padre, lo ricordo.»
Tacque per un attimo, poi, con lo sguardo fisso nel vuoto, riprese a parlare con voce inespressiva.
«Quanto sangue ho sparso da allora, padre mio. Animali, uomini... la mia lancia e il mio braccio da quel momento non hanno avuto riguardo per nessuno.»
«Figlia, sento tanta amarezza nelle tue parole. Sappi che ti comprendo. Anche io da giovane ho cercato sfide e avventure e ho sentito l'acre odore di sangue sui campi di battaglia. Come te, ho sperimentato nel mio animo che non vi è nulla di buono nell'uccidere.»
Antonius cercò di cambiare argomento chiedendo a Camilla notizie di Metabo, ma la ragazza replicò con durezza:
«Quell'uomo non è più mio padre. È solo una belva impazzita che, in nome di un'impossibile vendetta, distrugge tutto quello che incontra. È da più di un anno che le nostre strade si sono divise e da allora non ho sue notizie. L'unico e mio vero padre sei tu. Tu che mi hai amata sin da quando ero in fasce, senza chiedere nulla in cambio.»
Un nodo strinse la gola del pastore, che avrebbe voluto abbracciare e baciare di nuovo Camilla.
Mangiarono qualche boccone in silenzio, poi Arisia le chiese:
«E dimmi, figlia mia: l'amore?»
«L'amore!? Madre, se non avessi conosciuto te e papà, direi senza ombra di dubbio che l'amore tra uomo e donna non esiste. Gli uomini sono quasi tutti delle bestie senza ragione, i cui unici interessi sono guerra, armi e donne. Con le donne hanno un solo scopo, e non disdegnano di arrivare alla violenza per raggiungerlo. Con me possono anche provarci, se vogliono! Devo ammettere, in effetti, che molti uomini hanno perso la testa per me, nel vero senso della parola! Lungo la strada da qui al mare, verso est, oltre le montagne innevate, alcuni di loro non faranno più male a nessuna donna. Pensavano che per prendermi bastasse allungare una mano. Si sbagliavano, eccome se si sbagliavano.»
Camilla cambiò improvvisamente espressione e, con sguardo fiero e tono solenne, concluse:
«Miei amati genitori, da quando sono partita ho incontrato tanti uomini, ma nessuno degno di questo nome. Giunta a questo punto, non mi interessa più incontrarne alcuno. Ho posto il mio accampamento sullo spiazzo in cima alla collina. Padre, la nostra grotta sarà il mio quartier generale. Voi ancora non lo sapete, ma ho il mio piccolo esercito, composto di sole donne. Tutte ragazze salvate da uomini indegni. Schiave liberate, vedove di guerra, fanciulle violentate. Tutte hanno storie di violenza alle spalle. Insieme abbiamo fatto voto che mai più un uomo alzerà la mano su di noi senza incrociare il bronzo delle nostre spade!
Io, Camilla, lo giuro, sono la loro garanzia. Sarò loro protettrice e regina, e Diana sarà la nostra amata dea.
Resteremo lassù, ci addestreremo alla difesa e alla guerra. Non daremo alcun fastidio, anzi, se vorrete saremo la vostra difesa e la vostra giustizia. Spargete la voce alle famiglie e alla gente del villaggio.»
***
Quando la sera Antonius tornava stanco a casa, o quando qualcosa era andato storto durante la giornata, con fare solenne e pomposo iniziava a recitare tra sé quella che ormai era diventata per lui la formula magica per il buonumore:
"Questa sera invito la regina a cena."
La cosa lo divertiva talmente tanto che quasi sempre il malumore scompariva. Antonius ci pensava e ripensava spesso: "Camilla regina! Qui da noi!"
Certo non aveva mai conosciuto di persona né re né regine, a parte quel tiranno di Metabo. Ma se davvero quel titolo fosse stato sinonimo di nobiltà, dignità, magnanimità, autorità, giustizia e servizio, ebbene, sua figlia incarnava alla perfezione tutte quelle qualità.
Nell'accampamento sulla collina, Camilla era la prima ad alzarsi e l'ultima ad andare a dormire. Esortava, rincuorava, aiutava tutte. Nelle liti bastava la sua presenza per calmare gli animi e rimettere a posto le cose. Quando passava in mezzo a loro, i volti delle sue guerriere si illuminavano. Era la prima a inforcare il cavallo quando qualche contadino chiedeva aiuto per una belva o per un armento smarrito. Chiunque si rivolgeva a lei non restava mai deluso. Anche i contadini alle prese con dispute e litigi cominciavano a ricorrere al suo giudizio.
A tal proposito, Camilla chiedeva spesso aiuto ad Antonius, che ormai era diventato il suo prezioso consigliere. La notte era il momento che lei preferiva. Quando aveva bisogno di assistenza o di conforto, non esitava a raggiungere il padre al "piccolo pozzo". Molte volte lo svegliava anche a notte fonda.
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Il Sacro fuoco della Regina II edizione
Historical FictionE' una storia di amore, di amicizia, di guerra vissuta nel 1200 a.c. nel Lazio. La trama si sviluppa in un clima colmo di premonizioni e di destini incrociati, dove il naturale e il soprannaturale, la morte e la vita si fondono in un continuo insegu...