XVI Lavinia

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La giovane, con braccia e mento poggiati sul davanzale di una grande finestra affacciata sul mare, guardava lontano. Persa tra le onde, con la mente volava libera tra i gabbiani all'orizzonte. Pelle bianca e liscia come alabastro levigato, aveva un profilo perfetto e occhi grandi e neri. Neri come i lisci capelli raccolti sulla nuca e le lunghe ciglia. Le labbra erano carnose, ben disegnate e di un color rosa tenue e delicato. La sua figura filiforme emanava un'innata eleganza. La tunica nera, sbracciata e con gli orli dorati, lasciava scoperte le spalle. Orecchini e bracciali d'oro alti sulle braccia completavano il suo abbigliamento regale. Un rumore alle sue spalle la fece trasalire, interrompendo i suoi sogni a occhi aperti.

«Lavinia, sono io.»

«Madre, mi hai spaventato.» disse voltandosi. Dopo essersi massaggiata le braccia intorpidite, aggiunse con tono risentito:

«Allora, qual è la decisione del Re?»

«Non essere così dura con lui. Tuo padre non è stato sempre così. Lui è un uomo di pace. I vicini etruschi premono sul nostro territorio e lui è convinto che una buona alleanza possa preservare il regno da una guerra. Quello che mi preoccupa veramente è la nefasta influenza che esercita su di lui Amnenes, il veggente, quel ciarlatano mascherato da consigliere.»

«Non difenderlo! Io non lo sopporto più, mi tratta come una mercanzia, peggio di una schiava. Prima mi promette a Turno senza nemmeno avvisarmi e poi cambia idea. Adesso che me ne ero quasi fatta una ragione, mi regala a quel troiano… Almeno Turno era giovane e bello. Quest'Enea invece, chi è? Non è forse, per sua stessa ammissione, un perdente? Sconfitto e cacciato dalle sue terre dagli Achei? Un profugo! Perché dovrebbe far di meglio qui? E per di più, è vecchio! Ha un figlio quasi della mia stessa età. Io non lo voglio. Non può farmi questo!»

«Ma, mia gioia...»

«Basta, madre! Basta con questa parola. Se fossi davvero la tua gioia, se tu mi amassi davvero come dici, non staresti qui a difendere il Re, (a volte mi chiedo se sia davvero mio padre), ma andresti da lui a lottare per me fino a rimanere senza voce, convincendolo del suo errore.» S'interruppe per un attimo e poi riprese quasi mormorando, come se parlasse a se stessa: «Quale destino crudele mi è riservato! Sposa d'un vecchio profugo, figlia di un traditore e di una pavida madre. Ah, se fossi Camilla, la Regina Volsca! Le sue gesta gloriose sono narrate persino dagli schiavi qui in reggia. Giovane e fiera, guerriera, amazzone… non ha nessun marito o padre o madre che la opprima. Dovrò forse fuggire? Raggiungerla e dimenticarvi per sempre? Ahimè, io sono fanciulla di corte e non guerriera. Mi addestrasti alla conocchia e al filo, non alla lotta. Che cosa devo fare, madre mia? Che cosa devo fare?» Pronunciò quest'ultima domanda con un filo di voce, quasi con le lacrime agli occhi.

«Figlia, tu mi fai torto! Io ho già sfidato l'autorità di tuo padre più di quanto la prudenza vorrebbe. Purtroppo è cocciuto come un mulo, e ricorda a memoria ogni parola della profezia di Fauno. Io a questo punto non so che altro fare, mi si spezza il cuore a vederti così... Vieni, proviamo insieme a impietosirlo.»

Madre e figlia raggiunsero il Re sotto il colonnato d'ingresso.

«Mio Signore, - esordì Amata - nostra figlia umilmente ti chiede di ritornare sulla tua decisione. Anche io faccio appello ai tuoi sentimenti di padre: non puoi umiliare così tua figlia, sangue del tuo sangue...»

«Nostra figlia - la interruppe seccamente il Re - farà come le è stato ordinato da suo padre e dal Re, perché, sia come padre che come Re, io ritengo che sposare Enea sia la scelta giusta, senza se e senza ma.»

«Padre, ti prego...»

«Taci, Lavinia! Come ti permetti!? Non ti ho dato il permesso di parlare. Non t'abbiamo educata per questo. In quanto femmina, è tuo padre che decide per te: scegliere non ti è concesso e, per gli dei, anche se tu fossi un maschio sarebbe lo stesso. Enea è un uomo forte, maturo, leale, gode del favore degli dei e del mio, e ha al suo seguito numerosi guerrieri ben addestrati. Tu sarai la madre di una progenie gloriosa, ritieniti fortunata! L'oracolo è stato chiaro...»

«Basta! - urlò la Regina adirata - non sopporto più di sentirti parlare! Basta con le profezie e gli oracoli. Basta con le sciocchezze. Sei un vecchio rimbambito ormai, pavido e vigliacco. Non mi hai mai amata davvero e non hai mai amato nemmeno tua figlia. Quello che sta accadendo ne è la conferma. Che razza di uomo sei? Tuo padre, la pace, le profezie, il Regno... tutto è sempre venuto prima della tua famiglia. Ora basta! Per sempre! Non ti sopporto più. Oh, la pagherai, eccome se la pagherai...»

«Donna, ti ordino di tacere oppure mi vedrò costretto a chiamare le guardie per allontanarti.» sentenziò con tono autoritario Latinus. La Regina, però, ormai era un fiume in piena.

«Chiamare le guardie? Risparmiami questa messinscena, sei ridicolo! Sono io che me ne vado via con tua figlia e per sempre! Vieni, Lavinia, vieni, andiamo al tempio di Bacco. Sei ancora vergine, ti offriremo al Dio. Andiamo per le strade di Laurento a gridare che razza di padre e marito abbiamo. Il popolo deve sapere chi è veramente il Re che lo governa. Tutta Laurento deve sapere, anche quei pezzenti di troiani...»

Latinus, paonazzo in volto, cercava di sovrastare le urla della regina consorte.

«Donna, ti proibisco... guardie, chiamate le guardie!»

Amata, completamente fuori di sé, si stava già allontanando tra le grida, trascinandosi dietro la giovane, sfortunata Lavinia.

Il Sacro fuoco della Regina II edizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora