III Metabo

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La nostra storia inizia una notte di venti anni prima. Pioveva a dirotto. A intermittenza, i lampi illuminavano di una luce sinistra la piccola valle e Scurtus, il cane di Antonius, cominciò ad agitarsi e abbaiare con insistenza.

«Antonius, sveglia! Il cane sta abbaiando, c’è qualcosa che non va!» gridò Arisia, sprofondata nella paglia tra le pelli di montone, scuotendo con forza la spalla del marito.

«Che c’è!? Dormi, moglie!»

«Antonius! – insistette, alzandosi a sedere sul giaciglio - Ho paura, il cane è troppo agitato. Sarà qualche volpe, qualche lupo, o ancora peggio, potrebbero essere i predoni. Ti prego, vai a controllare. Per favore...»

Stropicciandosi gli occhi, Antonius rispose:

«Va bene, donna, va bene. Accidenti, tocca sempre a me.»

Ancora annebbiato dal sonno, indossò i calzari, agguantò le pelli di montone per ripararsi dalla pioggia e, con il lume in mano, uscì brontolando in piena notte.

Alla luce intermittente dei lampi, gli parve di scorgere una figura umana. Per sovrastare il frastuono della pioggia e dei tuoni gridò:

«Chi è là? Chi sei? Vieni fuori!»

Tra la luce di un lampo e il propagarsi del suo tuono, udì distintamente il vagito di un bambino e vide stagliarsi nitida, non lontana da lui, la sagoma di un uomo.

«Aiuto! Qualcuno mi aiuti! - gridava l’uomo, con la voce arrochita dal freddo. - Aiuto,  non per me, ma per la mia creatura, mia figlia!»

Completamente zuppi e infreddoliti, si rifugiarono in casa e si sedettero sul tronco spianato e levigato che fungeva da panca, davanti al fuoco attizzato in fretta da Arisia. Rinvigorito dal calore del focolare, lo straniero, stremato, iniziò a raccontare la sua storia. Era un volsco di mezza età con spalle larghe, braccia tozze e muscolose, un piglio guerriero e la barba scura e fluente. Aveva profondi occhi neri ardenti come fuoco,  e nonostante le privazioni che doveva aver subito, il suo sguardo altero emanava ancora lampi d’orgoglio e superbia smisurati.

«Mi chiamo Metabo. Sono Re! Il Re di Privernum[1], una cittadina sulla strada che porta al mare, al di là dell'Amasenum. Quei cani mi stanno inseguendo! È da questa mattina all'alba che fuggo. C'è stata una rivolta. Maledetti! Sono stati i commercianti etruschi. Hanno fomentato la popolazione contro di me. Hanno tramato, corrotto, aizzato la gente, di nascosto, nel buio. Ci sono riusciti strisciando come i serpenti. Tutto perfettamente organizzato. Ci hanno colto di sorpresa, al primo sorgere del sole. Hanno ucciso le guardie. Hanno dato fuoco alla reggia. Prima di fuggire, ho fatto solo in tempo a prendere la piccola Camilla. Casmilla invece, la mia povera moglie, è rimasta indietro, bloccata dal crollo del soffitto. Non ce l'ho fatta a trarla in salvo, saremmo morti entrambi se c’avessi provato. - Disse l’uomo tutto d'un fiato, stringendo i pugni con lo sguardo perso nel vuoto. - Maledetti, mille volte maledetti… Ma la pagheranno, eccome se la pagheranno! Li sgozzerò tutti, finiranno tutti sulla croce. Le loro urla arriveranno fino agli orecchi degli Dei.»

Si interruppe per riprendere fiato. Poi, con voce rauca e concitata, il volto illuminato dalla luce rossastra e ondeggiante delle fiamme, continuò:

«Questa sera ho attraversato a nuoto il fiume Amasenum, ingrossato a dismisura dai tanti giorni di pioggia. Sentivo ormai vicine le grida dei miei inseguitori, così, disperato, ho invocato l’aiuto di Diana: “O Diana, mia dea! Non ti prego per me, ma per mia figlia! Guida la mia mente e le mie braccia verso la salvezza e ti giuro sul mio onore che la mia bambina sarà per sempre tua.” Senza indugio ho avvolto questa povera creatura in una corteccia d’albero, legata stretta e ben bilanciata alla mia lancia, e l’ho scagliata con tutte le mie forze sull’altra sponda. A quanto pare la  Dea ha ascoltato le mie preghiere, e per ora siamo salvi. I miei inseguitori non hanno avuto il coraggio di affrontare il fiume in quel tratto. Avranno cercato più a nord qualche punto per guadarlo e ciò mi ha dato alcune ore di vantaggio. Adesso però, sono sfinito e ho bisogno di riposo. Ti prego, indicami un luogo sicuro dove possa nascondermi e riprendere le forze per alcuni giorni. Te ne sarò grato per sempre e ti prometto che, Giove Pluvio mi sia testimone e garante, quando avrò ripreso la mia città e fatto pagare questa rivolta a caro prezzo, saprò ricompensarti adeguatamente per il tuo aiuto.» A quel punto il tiranno volsco tacque, con lo sguardo ancora perso tra le fiamme del focolare.

Il Sacro fuoco della Regina II edizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora