XXIV Le due principesse

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«Lavinia, non correre, poi sudi e ti viene la tosse, vieni via, presto.» gridò Amata.

La ragazza smise controvoglia di correre. Giocava inseguendo le ancelle nel giardino della reggia, le aveva prese quasi tutte ormai. Tornò comunque indietro, rabbuiata, la regina madre non ammetteva tentennamenti. Dopo l'ultima terribile lite il Re aveva imposto il suo volere e, con il passare del tempo, tutto era tornato come prima.

«Quante volte ti ho detto che non devi giocare con le schiave. Sei una principessa, e in età di matrimonio, per giunta. A quest'ora poi si alza il vento dal mare e ti si gela addosso. Fra poco c'è la lezione di etrusco. Preferisco mille volte che vai da Yubale a imparare la tessitura, invece di perder tempo con giochi da bambina. Una buona moglie e regina deve saper ben fare le cose che le competono.»

La giovane, contrariata, si voltò un'ultima volta a guardare il mare, poi salì le scale che portavano all'atrio di ingresso della reggia. Da quando era stata promessa a quel vecchio troiano era come se fosse regredita a bambina, non le importava più di niente, trascurava i sui doveri, gli studi e tutto quello che il ruolo di unica figlia del Re le imponeva. Non le interessavano nemmeno le sorti della guerra che avrebbe deciso il suo destino. Non abbassò gli occhi difronte allo sguardo della madre, anzi, la fissò diritta negli occhi in segno di sfida. La Regina Amata schivò il duello volgendo lo sguardo all'interno della reggia, e aggiunse:

«Svelta, vai dentro, c'è Zoestra che ti attende con l'acqua calda nella vasca.» Con ciglia aggrottate e passo svelto, senza degnare di un ulteriore sguardo la madre, Lavinia si avviò verso l'interno. Passando davanti all'ancella più giovane le strizzò un occhio, dicendole sottovoce:

«Ci vediamo questa notte.»

***

Quella notte stessa, infatti, Lavinia discese furtiva i gradini del colonnato d'ingresso. Davanti ad un cespuglio del giardino antistante la reggia, lontano dalle sentinelle che ne sorvegliavano l'entrata, emise un bisbiglio simile a un ronzio. Un istante dopo, apparve l'ancella Cleia, l'etrusca, la sua confidente e amica di sempre.

«Allora, hai saputo dove tiene il campo?»

«Certo principessa, sai che puoi fidarti di me.»

«L'hai vista?»

«Sì!»

«E' bella come tutti dicono?»

«Molto di più... è forte, bella, elegante e tutti le obbediscono.»

«Voglio parlarle, subito! Non sopporto più queste mura, mia madre, mio padre, questo mondo così falso. Voglio fuggire, e tu verrai con me.»

«Non aspettavo altro, mia principessa. Ecco ho preso i sandali robusti e la tunica, quella grezza col cappuccio anche per te. Non possiamo farci riconoscere.»

Le due giovani sgattaiolarono fuori dalla reggia attraverso un una falla nella siepe del grande giardino, riuscendo così ad eludere la sorveglianza delle guardie. Si tuffarono nel buio, verso l'avventura, un avventura decisamente più grande di loro. La giovane principessa, grazie a un capriccio del Re possedeva un suo cavallo che cavalcava con maestria. In silenzio, con molta accortezza, lo recuperò nella scuderia, e in sella insieme alla fida Cleia si avviò verso il teatro di battaglia.

***

«Spero che tu abbia delle buone ragioni per svegliarmi a quest'ora.»

Disse Camilla rivolgendosi alla guardia. Pronunciò queste parole con una sguardo più assonnato che arrabbiato.

«E' così, mia Regina, ci sono due giovani latine che desiderano parlare con te. Le abbiamo sorprese mentre tentavano di introdursi nel campo. La più giovane dice di essere la figlia di Re Latino.»

«La figlia di Re Latino? Che diamine ci fa al nostro campo e a quest'ora.»

«Ecco perché ti abbiamo svegliata: ha detto che è fuggita. Vuole assolutamente parlare con te.»

Qualche minuto dopo, le due principesse erano l'una di fronte l'altra, nella tenda di Camilla.

«Allora, Lavinia quale è la vera ragione che ti ha spinto fin qui?» chiese Camilla, incuriosita dalla strana situazione. Prima di parlare la giovane principessa latina guardò intensamente gli occhi di Camilla cercando un qualche cosa di familiare, un accenno di complicità e comprensione che la spingesse ad aprire completamente il suo cuore. Camilla però, forse perché preoccupata da ben altro, o forse soltanto perché ancora assonnata, attendeva risposta con sguardo freddo e inespressivo. Allora, Lavinia si fece coraggio ed esordì con queste parole:

«Mia Regina, la tua fama da tempo ti precede, conosco le tue gesta e la tua generosità verso noi donne. Questo ti fa grande onore e suscita in me un'incommensurabile ammirazione. Sono qui per chiederti di accogliermi fra le tue guerriere. Voglio combattere con lealtà e coraggio al tuo fianco e sentirmi una di voi. Voglio sentirmi viva, non un oggetto di scambio tra sovrani. Mi è stato detto che il tuo vero padre, il Re di Privernum, ti ha abbandonata, ah, lo avesse fatto il mio... - si soffermò aspettando un gesto, un cenno di approvazione da parte di Camilla che, al contrario, rimase impassibile, in silenzio. Allora Lavinia riprese con più foga. - So cavalcare molto bene, imparo in fretta. Ho tirato anche qualche volta con l'arco, a caccia con mio padre. Sono pronta ad addestrarmi, farò qualsiasi sacrificio pur di combattere al tuo fianco. Ogni cosa tu desideri io la farò. Se vorrai onorarmi della tua amicizia, sarò la tua ombra.»

Queste ultime parole, anche se dette con genuino entusiasmo, rimasero come sospese nell'aria. La regina dei Volsci guardò con tristezza la giovane Lavinia. Colse in lei uno sguardo luminoso ma infantile. Era molto bella Lavinia, slanciata, ben proporzionata, asciutta. Comunque, Camilla vedeva in lei soltanto una fanciulla di corte, cresciuta tra gli agi che solo una predestinata al trono avrebbe potuto avere. Quella giovanetta non aveva mai conosciuto cosa fossero il dolore, la disperazione, l'umiliazione, la rabbia di una vita da fuggiaschi. La regina dei Volsci fece alcuni passi verso la ragazza e rispose:

«Principessa Lavinia, questo è il tuo rango. E si vede. Ogni cosa in te indica il tuo stato. I tuoi abiti, il tuo portamento, persino il tuo sguardo indicano le tue origini e la tua educazione. Le tue parole mi lusingano, ma sono soltanto parole e desideri di bambina. Non ti augurerò mai di passare ciò che io e le mie guerriere abbiamo passato e passeremo ancora. Tu non immagini nemmeno quanto sia terribile e pesante il fardello di un guerriero. L'odore del sangue di chi hai ucciso ti rimane addosso per sempre. Le urla della mischia, l'ultimo sguardo implorante di chi stai per sgozzare non ti abbandoneranno mai, trasformeranno in incubo ogni tuo sogno. No! La vita della Regina dei Volsci, non è una vita da invidiare, non è una vita come tu la sogni, è una vita fatta di freddo, stenti, dolore, sacrificio, morte. Non fa per te, credimi! Torna indietro e ringrazia gli dei per ciò che sei. Tu sei nata per essere donna e brava moglie, sei fatta per far figli. Falli allora, ed educali alla giustizia e al rispetto, sopratutto al rispetto di tutte le donne schiave o libere che siano. Se farai questo sarà come se fossi sempre al mio fianco, come è tuo desiderio. - Camilla tacque, si avvicinò ulteriormente a Lavinia e prendendole con forza le mani, concluse - Ora va, non indugiare. Fai ancora in tempo a rientrare nella reggia senza allarmare tuo padre. Va, e ricorda le mie parole: ognuno ha il proprio destino. Tu sarai madre e Regina.»

Lavinia, delusa e toccata nel profondo non seppe cosa replicare. Cercò di trattenere nella memoria la sensazione di sicurezza che la calda e forte stretta di mani di Camilla le aveva trasmesso. Cleia la trascinò via dalla tenda. Raggiunsero così le porte dell'accampamento, dove il cavallo impastoiato le attendeva. Sulla triste strada del ritorno il silenzio fu loro compagno.

Il Sacro fuoco della Regina II edizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora