Capitolo 20

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- Sei pronto?

- Sì, dai sbrigati.

- Sei sicuro?

- Erika, davvero, mi stai facendo paura. Si può sapere cosa devi farmi vedere? È una cosa grave? Perché se è una cosa grave non sono sicuro di volerla vedere. Anzi, non la voglio vedere proprio.

La ragazza sbuffò, mostrando una preoccupazione forse eccessiva. Poi decise di smettere di pensare e tirò fuori la lingua, muovendo le due metà in modo da separarle in maniera evidente. Henry non disse nulla, rimase a fissarla con gli occhi sbarrati, indice di una sincera sorpresa.

Dopo qualche secondo Erika concluse la sua linguaccia e rivolse un sorriso imbarazzato al ragazzo, che sembrava decisamente incredulo.

- Visto, non era una cosa grave. - gli disse, torturandosi le mani in preda ad un'ansia ingiustificata - Non ti piace, vero?

- No... cioè sì. Sì che mi piace, intendo. Ma hai avuto un incidente o cosa?

- No, l'ho fatta tagliare apposta.

- Cioè l'hai fatta tu? Volontariamente?

- Sì, volontariamente.

- Ma non è una cosa illegale?

- No, è legale. Assolutamente legale. Tranquillo. - gli sorrise nel modo più tenero che poté.

- Va bene... Pensavo si trattasse di qualcosa di peggio. Non è così male. E poi tu sei bellissima in ogni caso.

Henry si avvicinò lentamente a lei, sorridendole con malizia, fingendo un modo di fare spavaldo che gli si addiceva ben poco. Poi le cinse i fianchi, la tirò a sé e le stampò un affettuoso bacio sulle labbra. Erika, per tutta risposta, gli gettò le braccia al collo e iniziò a fargli assaporare la particolarità di una lingua biforcuta, staccandosi da lui solo diversi minuti dopo.

- Allora, cominciamo?

La ragazza si diresse rapidamente verso la spaziosa cucina del suo appartamento. I marmi bianchissimi che ricoprivano ogni mobiletto della stanza erano quasi completamente sgombri, fatta eccezione per alcuni di essi, che ospitavano sulla loro superficie alcune ciotole, diversi utensili, fra cui dei cucchiai di legno e delle fruste elettriche, e gli ingredienti fondamentali per la preparazione di un qualche tipo di dolce.

Molti degli sportelli dei pensili in mogano scuro, che popolavano le pareti bianche e luminose, erano aperti, segno che Erika aveva faticato non poco per trovare tutti gli attrezzi di cui aveva bisogno.

Sul lucente fornello, pulito solo poche ore prima dalle laboriose mani di Brizida, spiccava una teglia di forma circolare, pronta per essere imburrata. Poco distante, alcuni pirottini di carta facevano sfoggio dei loro simpatici colori.

Erika prese alcuni ingredienti aggiuntivi dall'enorme frigorifero, bianco anch'esso, a creare un deciso contrasto con i mobili in legno, situato all'angolo sinistro della stanza. Una confezione di latte ed una mezza dozzina di uova si andarono ad aggiungere alle materie prime già presenti sul marmo.

- Non avrai preso troppa roba? - le chiese Henry, osservando la montagna di ingredienti che si ergeva davanti a lui.

- I dolci non li preparo praticamente mai. Una volta che decido di cimentarmi nell'arte pasticcera, lo faccio come si deve. - sospirò fingendo tristezza - Mangerò dolci per una settimana. Sarà dura, ma qualcuno deve pur sacrificarsi.

Il ragazzo non riuscì a trattenere una piccola risata, poi iniziò ad aiutare Erika.

- Io direi di cominciare dai budini, - disse lei - così mentre si raffreddano in frigo possiamo continuare a preparare altro. - prese un piccolo foglio di carta, posizionato sopra uno dei ripiani, e cominciò a leggere la ricetta - Ci vuole mezzo litro di latte, cinque cucchiai di zucchero, della farina...

- A che serve la farina in un budino.

- A farlo rassodare.

- Ma non si usa la farina. Non ce l'hai della colla di pesce?

- Al supermercato l'avevano finita. - sbuffò lei - Va bene anche la farina, dai! Non fare il guastafeste!

In realtà la farina finì ovunque fuorché all'interno degli impasti. Henry decise di non prendere quell'esercizio di cucina troppo seriamente ed iniziò a lanciare polvere bianca ovunque, nel tentativo di colpire Erika.

I due si ritrovarono in breve tempo con vestiti, visi e capelli imbiancati e più di una volta rischiarono di scivolare su gusci di uova o su pozze di latte spillate da bottiglie volontariamente lasciate aperte.

Eppure, nonostante il piccolo disastro che si era venuto a creare, Erika non riusciva a smettere di ridere. Sporca, con le dita appiccicose per aver toccato troppo zucchero, dentro una stanza che necessitava di un'accurata pulizia, lei rideva.

Rideva perché aveva il naso e le guance completamente bianchi, rideva perché ridere era meglio che cucinare, perché, in fondo, non era nemmeno tanto brava a sfornare dolci, rideva perché Henry era praticamente diventato albino.

Henry...

Rideva perché Henry la faceva ridere, perché era spontaneo, perché era buffo, perché era come lei.

Dopo poco finirono avvinghiati l'uno all'altra, stretti in un abbraccio caldo e rassicurante, passionale e fin troppo eccitante. Le loro lingue si cercavano, iniziando, ad ogni loro incontro, una lotta fatta di intrecci, che di tanto in tanto si trasformava in una danza sofisticata ed elegante.

Henry la riempì di carezze, facendo ricoprire la sua pelle di brividi ad ogni voluttuoso tocco. La spogliò dei vestiti, le tolse la sua sicurezza, la ricoprì di quel delicato imbarazzo che solo la sessualità legata ad un nuovo amore può imprimere.

Unirono i loro respiri, si strinsero talmente forte da farsi mancare il fiato, incrociarono le dita, le loro gambe si intrecciarono a creare un disegno di rara bellezza. Fecero l'amore per la prima volta ed Erika si sentì improvvisamente felice. Si sentì come se quel giorno fosse appena diventato perfetto. Si sentì come se ogni cosa, al mondo fosse perfetta.

Tutto era perfetto, perché ad essere perfetto era Henry.

La lingua biforcutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora