Capitolo 3

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Andai a scuola dopo aver fatto le solite cose in fattoria. Le lezioni proseguirono noiose come sempre, preferivo studiare a casa o nascosto da quache parte.

La gente chiaccherva ancora riguardo i progetti delle 5°. Alcuni gruppetti si trovavano dopo scuola per parlarne, io del resto nemmeno sapevo chi erano i miei compagni di progetto.
Avrei dovuto inizare ad informarmi meglio o addirittura andare da loro e parlarci, cosa che avrei voluto evitare. Perché questi progetti bisognava farli propio in gruppo?

Quel ragazzo biondo che mi aveva parlato nel corridoio ogni tanto, quando ci incrociavamo, lo beccavo a guardarmi... Inquetante, così uscì dall'aula di matematica e andai in mensa.

Gli studenti la usavano più che altro per riunirsi e fare 4 chiacchere con gli amici perché il mangiare non si poteva nemmeno definirlo così. In poche parole se non ti portai il pranzo da casa restavi a digiuno.

Come mensa era abasstanza spaziosa, tavoli rotondi sparsi un po ovunque con seggiole in quantità e pareti bianche che rendevano la mensa luminosa. Fuori un'aria cortile dove c'erano a disposizione dei tavolini di legno, e delle panchine sparse qua e la. Alcuni, tipo me, la preferivano alla mensa super affollata. Altri, come i giocatori di football e le ragazze ponpon amavano stare dentro, dove si trovavano più persone, in modo da essere sempre sotto lo sguardo di tutti.

Nel frattempo mi sedetti nella panchina di legno scuro, la più lontana dalla mensa, mezza scassata e ricoperta di scritte ma una buona visuale su tutti. La mia ossessione per capire le persone era sempre accanto a me.

Presi il panino, quello preparato da mamma prima della colazione, e lo mangiai mentre guardavo le persone passarmi accanto e socializzare cosa che a me non piaceva fare. Se parlavo con qualcuno era per una informazione, o per le mie ricerche.

Finito il panino presi il mio quaderno e lo appoggiai sulle gambe insieme ad una penna e alle cuffie del telefono, accesi quindi la musica e bloccai la schermata lasciando il telefono sulla panchina accanto a me.

La musica, le canzoni, i suoni degli strumenti mi aiutava a isolarmi. A lasciarmi solo con i miei pensieri sulle persone che vivevano la loro vita, con una storia che varia dal bello al brutto e con alti e bassi.

Stavo scrivendo degli appunti quando senti le tavole della panchina abbassarsi leggermente sotto il peso di un altro corpo. Dio fai che non si rompa la panchina.

Girai lo sguardo verso la persona accanto a me e non mi stupì più di tanto quando vidi il ragazzo biondo dell'altra volta. Non lo salutai e tornai a scrivere sul mio quaderno alcuni comportamenti che assumeva Davina, la ragazza un po nerd del progetto che stava in gruppo con Kimmy e il ragazzo di cui non ricordavo il nome, mentre guardava verso il tavolo dove c'erano questi due a limonare. Un comportamento che non mi passò inosservato. Mi appuntai mentalmente di andare a fare qualche ricerca e persino di parlarci ma poi venni interrotto quando sentii la musica e il chiacchiericcio degli studenti in cortile. Il ragazzo seduto accanto a me prese la cuffietta destra nel mio orecchio e la mise nel suo sinistro. Lo guardai sorpreso con la bocca leggermente aperta, lui ascoltava la musica muovendo di poco la testa e il piede a tempo della musica."E se fossi stato germofico?!"
Non mi accorsi di ever parlato ad alta voce finché lui non si girò verso di me ridendo.

"Ha ma quindi Sai parlare!" Mi disse, ma non gli risposi.
Lui si sistemò meglio la cuffietta all'orecchio e distese le braccia sullo schienale della panchina e le gambe lunghe e snelle in una posizione più comoda.
"Che stai scrivendo amico?" Sì sporse verso di me cercando di leggere quello che avevo scritto sul quaderno.
Tolsi la penna di mezzo e chiusi il quaderno di scatto mettendolo nello zaino e buttandoci dentro anche la penna. "Non ha importanza" borbottai alzandomi dalla panchina che scricchiolò. Dovevo cambiare panchina lo so.
Entrato a scuola la Campanella suonò così andai in classe e affrontai le ore mancanti.

Quando finirono, finalmente, andai nel corridoio verso il mio armadietto quando notai davina che stava posando dei libri all'interno del suo, intenta a posare dei libri all'interno e prenderne altri forse da portare a casa per poterci studiare.

Mi avvicinai a lei toccandogli leggermente la spalle. Sobbalzò, forse le avevo fatto paura. "Scusami" "oh, tranquillo" lasciò un sospiro di solievo, era evidentemente tesa. "Volevo farti 2 domande, posso?" Mi guardò scettica mordendosi il labbro e poi annuì in assenso "va bene, però ho poco tempo, possiamo parlare mentre andiamo?" Mi sorrise. Io annuì e presi il mio quaderno mentre lei chiuse il suo armadietto e iniziare ad incamminarsi verso l'uscita che dava sul parcheggio.
"Ti farò una domanda ma dovresti rispondere sinceramente." Annuì così presi un po di tempo a pensare la domanda, una che non fosse stupida come mi capitava molte volte di fare.

"Prima domanda: come va il progetto?" Mi guardò sospetta "stai forse cercando di fregarmi le idee?"
"Io? Nono, volevo solo sapere come va il progetto, del tipo come ti senti, quale aiuto ti danno i tuoi compagni e viceversa. Queste cose così."
Il suo viso era pensieroso, i capelli mori e mossi gli ricadevano sulle spalle mollegiando ad ogni scalino. I lineamenti del viso dolci, gli occhi verdi e delicati. una ragazza bellissima acqua e sapone. "Sono già stanca di questo progetto. Ho dovuto informarmi sulla moda e su uno stupido gioco che nemmeno mi piace perché ovviamente i miei compagni non hanno voglia di muovere un dito" iniziai a scrivere. A volte inciampai nel miei stessi piedi per la concertazione che mettevo nel ascoltarla e scrivere tutto quello che mi diceva. Andai perfino a sbattere contro qualcuno di cui ignorai l'esistenza.

"È inizato da poco questo progetto e penso che riuscirò portarlo a termine. Ma so già che non vincerò quella borsa di studio.." il tono di voce che uso quando parlò della borsa di studio mi fece stringere lo stomaco. Perdere una borsa di studio, per colpa di persone di cui nemmeno vorresti respirare la loro stessa aria era una cosa brutta quanto ingiusta.
"Grazie per il tempo che mi hai concesso, se posso magari più avanti ti faccio qualche altra domanda" la guardai grato "Certo!" Mi sorrise e uscì facendo gli scalini 2 a 2 verso il suo autobus. Mi fermai in un angolo degli scalini e misi via la penna e il quaderno cercando le chiavi della macchina e il telefono. Le prime le trovi nella tasca davanti dello zaino, mente del telefono nessuna traccia.

Rimasi fuori sulle scale per ore, ma forse erano solo 2 minuti. Lo cercai in ogni centimetro del mio zaino, lo cercai come se potesse materializzarsi come per magia. "Non è che se controlli più volte il telefono apparirà" sobbalzai quando sentii quella voce che mi perseguitava da un giorno o forse più. Alzai lo sguardo da dove proveniva la voce e lo trovai li, dietro di me, il ragazzo biondo, con le braccia incrociate e il mio telefono in mano. Mi alzai in piedi raccogliendo anche lo zaino. Lui un gradino più alto del mio. Con la sua altezza e la mia bassezza ci mettevano pure i gradini a renderlo più alto di me.
Lo guardai dal basso letteralmente e lui sorrise notandolo ma poi mi porse il telefono avvolto dalle cuffie. Lo presi e lo misi in tasca al sicuro. Dovevo stare più attento a dove lo appoggiavo. "Ho certo grazie Matthew per avermi riportato il telefono." Disse.
Matthew?

"Grazie?" Risposi perplesso. "Certo che sei un bel tipo!" Matthew rise. Lo dovevo prendere come un complimento o come una presa in giro? Mi morsi le labbra a disagio, cosa avrei dovuto rispondere? Ancora un altro Grazie? "Accidenti!" Per questo non Parlavo con le persone almeno che non riguardasse sul fare domande per le miei ricerche o sulla psicologia sociale.
Matthew mi guardo stupito e con un sopracciglio alzato. Come diavolo faceva ad alzarne solo uno?
"Accidenti cosa?" Lo guardai perplesso non capendo cosa intendesse dire "Hai appena detto 'accidenti!' " Continuò a dire visto che io continuavo a non rispondergli e guardarlo interrogativo. Davvero lo avevo detto ad alta voce? "Ho, ehm, nulla lascia stare. Grazie per avermi restituito il telefono."
Mi voltai facendo le scale due a due per mettere quanta più distanza possibile tra me e lui. "Restituito? Guarda che non te l'ho fregato, sei tu che lo hai lasciato sulla panchina!" Mi urlò dalla cima delle scale mentre se la rideva sotto i baffi quando inciampai all'ultimo gradino.

Che figuraccia...

E Alla Fine Cosa Resta Di Noi? #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora