I PROXY

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Lui vedendomi scattò verso di me con l'intenzione di trafiggermi con una delle sue accette. Iniziò a rincorrermi, gli occhi sbarrati, voleva uccidermi.
Io fuggii cercando di ritrovare la strada per uscire da lì. Non volevo ritrovarmi un altro di loro, assassini psicopatici, davanti rischiando la vita. Non volevo morire per il loro gusto o per l'ordine impostogli. Non mi lascerò uccidere, non gli permetterò di vedere uscire dal mio corpo quella sostanza cremisi, che tanto adorano.

Correvo come non mai, quasi prendessi il volo verso l'alto e, che miracolo, purtroppo sarebbe impossibile che ciò avvenga. Quindi meglio contare sulle proprie forze e non abbandonarsi.
Lui era ancora dietro di me, non sembrava essere per nulla affaticato, ma io lo ero di già. Sicuramente lui era molto più allenato, per via di chissà quante vittime che avevano cercato di sfuggire alle sue accette affilate.

Cercavo di seminarlo tra i pini facendo strane virate intorno ai loro fusti. Pregavo dio di non inciampare, non ero brava a correre e non mi era naturale fuggire da un assassino. Non ero mai stata abbastanza veloce nella corsa, e l'ansia mi soffocò quando sentii il suo respiro sempre più vicino. I polmoni mi bruciavano per la forte e  brusca dilatazione, a cui non ero abituata, erano in fiamme.
A un certo punto, intravidi tra gli alberi degli enormi massi di pietra conficcati nel terreno, molto alti e ricoperti in parte da un muschio scuro. Potevano essere utili per seminarlo una volta per tutte, sarebbe bastato girarvi in torno, facendo finta di continuare a correre e nascondersi dall'altra parte.

Ci provai lo stesso, anche se lui era vicinissimo. Non potevo tirarmi in dietro, perché sentivo che non avrei retto a lungo e ormai avevo perso la speranza di uscirne da questa foresta.
Cercai di girarvi intorno ma lui, come se avesse intuito le mie intenzioni, mi si piombó addosso facendomi cadere all'indietro e sollevando sopra la sua testa  l'accetta, pronto per trafiggere la mia gola, per decapitarmi.
Qualcosa gli attraversó il viso. Prima le guance sembravano allargarsi sempre più, per il suo ghigno nascosto dalla fascia, ora però quel sorriso malefico si era spento, all'improvviso, come se qualcosa o qualcuno gli stesse facendo cambiare idea.

Lui mi guardava stupito, stava ascoltando qualcuno, che gli parlava all'orecchio, anzi mentalmente, mentre con i suoi occhi mi teneva d'occhio, come avendomi legata a quel luogo senza darmi via di scampo.
Abbassó l'arma e mi guardò di profilo, con occhi a fessura.
-ci rivedremo presto!- mi disse minaccioso, puntandomi con l'accetta a mezz'aria. Si girò e se ne andò, fra gli alberi che nascosero le sue tracce.
Qualcuno l'aveva fermato, se nó come mi spiegherei quell improvviso rifiuto.

Qualcuno gli aveva parlato telepaticamente e gli aveva fatto cambiare idea. Lui, lo Slenderman sicuramente, poteva controllarli mentalmente, tenerli sottocchio e parlarli. Quindi era stato lui a fermarlo? O era stata solo un improvvisa decisione di quel ragazzo?

Ero lì impalata, aspettandomi di sentire il freddo ferro tranciarmi la gola o che lui sarebbe tornato indietro per farlo. Ma non andò così.
Ero rimasta stupita da quella reazione. Perché lo Slenderman mi aveva risparmiata?
Mi rialzai ancora tramortita, ripulii i miei vestiti dalla terra e ripresi a camminare, verso un luogo a me sconosciuto. Cercando qualcosa, una risposta o qualcuno, che potesse fornirmela.

Dopo file e file di alberi, cercando di non rincontrare un suo proxy. Non avevo fame ne sete stranamente, come se tutta l'adrenalina di poco fa mi avesse prosciugato i sensi. Ero ancora lì dentro, ormai ero sicura di essermi persa e mi ero lasciata abbandonare dalla paura. Ad ogni rumore che percepivo, ero sicura di inciampare in un altro psicopatico assetato di sangue. Aspettandomi il peggio. Ma non succedeva, magari scoprendo che il rumore era solo un rametto che avevo spezzato accidentalmente con il mio piede. E lì partivano le imprecazioni per i colpi al cuore che mi prendevo per niente. Prima o poi sarei morta da sola di infarto.

Andai avanti e avanti, ma qualcosa attirò la mia attenzione: dal sistema visivo e uditivo. Un auto vecchia, dal colore sbiadito, i finestrini in frantumi, sporca di fango, rimasta incastrata lì, in quel terreno umido ricoperto da chiazze verdi di muschio. Un rumore metallico di inserzione mi fece drizzare le orecchie. Era una pistola che veniva ricaricata con delle pallottole, da un ragazzo accostato a una portiera del catorcio.
Mi nascosi dietro un albero per osservarlo meglio, senza che quello si accorgesse della mia presenza.

Un silenzio tombale cadde su di noi, come aspettando che accadesse l'inevitabile.
Lui era accovacciato ad ammirare l'arma da distruzione di vite che teneva in mano, gilè marrone chiaro, jeans e scarpe nere. Una maschera dai tratti femminili neri gli copriva il volto, e un ciuffo marrone scuro troneggiava sulla sua fronte.
Un odore si infiltrò nelle mie narici delicate, avrà finito di fumare da poco e fu lì che mi accorsi del accendino e del mozzicone di sigaretta a terra.

Qualcosa lo fece trasalire, alzando lo sguardo dall'arma che ormai stava oliando. Io mi rintanai il più possibile dietro il tronco. Qualcosa gli aveva fatto percepire la mia presenta, gliel'avrà suggerito lui mentalmente, ne ero certa. Sentii i suoi passi avvicinarsi all'albero, io rimasi ferma, anzi bloccata dalla paura che ormai mi aveva congelato. La canna della pistola attraversò il mio campo visivo da sinistra, lentamente, come per prendermi di sorpresa.
Una mano guantata, poi un braccio. Mi scostai come per prendere la via di fuga.
Sparo. Mi rimbombò nelle orecchie, niente mi aveva colpito o attraversato la carne. Aveva sparato in aria, forse per scombussolarmi. Iniziai di nuovo a correre, più veloce di prima ma lui mi teneva lo stesso testa. Qualcosa nei miei piedi, nelle mie gambe era cambiato. Mi guardai dietro, lui teneva la pistola puntata su di me, ma non accennava a premere il grilletto, voleva solo farmi paura o voleva condurmi da qualche parte?
Mi rivoltai, evitando di finire a sbattere contro il tronco di un albero. Ma qualcos'altro mi colpì in piena faccia, mi sentii rimbalzare in dietro, quello che mi aveva colpito era un piede di porco, sbucato da dietro un albero.
Caddi a terra di schiena, sbattendo la testa, le palpebre iniziarono a farsi pesanti, ma prima di svenire vidi i loro volti avvicinarsi dall'alto a me. E poi...BUIO.

Don't forget my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora