AVVENIMENTI PITY PARTY

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Dopo che i miei genitori sono venuti a sapere della soffitta, dei passati omicidi, hanno voluto cambiare casa. Sembrava che sapessero, che io li vedessi. Questo mi ha portato molti dubbi sul loro conto.
Ora viviamo in centro città, a differenza di prima che stavamo in un luogo abbastanza isolato, ora siamo immersi nella confusione e alla monotonia di quelle strade. Odio il traffico, mi da sui nervi.

Ora a scuola nessuno mi guarda, non interesso, quindi non ho amici e i prof non sono di meglio.
Per colpa mia, la vita dei miei genitori e la mia sono crollate nel caos. Papà torna a casa tardi e mamma non ha più tempo per disegnare, si è trovata un nuovo lavoro per pagare l'affitto della casa.
Io me ne rimango a casa da sola, a studiare e a fare i compiti per scuola. La solita routine monotona di ogni giorno.
Noia, noia, noia.
Non ne posso più, ne morirò.
La casa è noiosa, la scuola è noiosa, la città è noiosa.
Se non avete capito, la mia vita è noiosa.

Mi alzo, pronta per un'altra giornata silenziosa come sempre. Mi lavo, mi vesto: maglia nera, jeans neri, vans nere e il mio adorato giubbotto in pelle. Scendo e faccio colazione con mia mamma, papà esce presto alla mattina.

C'è qualcosa di strano nell'aria, lo sento dalle scale per poi assaporarlo in sala da pranzo.
Entro in cucina e un profumo di dolce stuzzica il mio palato ancora intontito dalla notte.
Sul tavolo ci sono due piatti con delle fette di torta alla vaniglia, la mia preferita!
-come mai questa sorpresa?- chiedo, rivolta alla schiena di lei che sta sistemando il resto del dolce sotto una cupola in plastica.
-non lo sai tesoro?- fa lei con fare scherzoso.
-sapere cosa, scusa?- non capisco.
-che giorno è oggi Blum?- mi chiede lei con un sorriso divertito. Mi alzo dalla sedia e guardo il calendario.
-il 27 di maggio- gli rispondo. Aspetta, giorno 27? Maggio?
Come ho fatto a scordarmi il mio compleanno?!
-auguri tesoro!-
-grazie.- gli rispondo secca.
Non so il perché ma, il giorno del mio compleanno non mi ha mai entusiasmato, forse centrava qualcosa con il mio oscuro passato?
-come mai così giù di morale?- mi chiese, incuriosita dal mio silenzio.
-wow, ho 17 anni.- non mi accorgo di averlo detto tristemente.
-Blum, tesoro, cosa c'è?- mi fece dolce. Mi sentivo strana, arrabbiata, triste, malinconica. Cosa c'era che non mi andava?
Andai a prendere la cartella, senza toccare la fetta di torta e, senza salutare mia madre, uscii di casa.
Per tutto il tragitto i miei occhi erano puntati su un punto a me sconosciuto. Ero impalata, non pensavo a niente, o forse pensavo ma non mi interessavo.

All'entrata di scuola mi fermai e presi un respiro profondo, aspettandomi di nuovo tutti i loro sguardi addosso.
Entrai.
Silenzio di tomba, tutti si erano girati verso di me, interrompendo le chiacchiere e lasciando gli armadietti. Erano come zombi che guardavano il loro capo, indifferenti. Mi sentivo agitata, non mi piaceva avere tutti quelli sguardi su di me, soprattutto se non sapevo a cosa stessero pensando. Non gli avrei mai capiti.

Mi diressi al mio armadietto per prendere le mie cose, loro continuavano a scrutarmi da dietro le spalle.
Silenzio tombale con atmosfera inquietante, fantastico.
Mi diressi in classe anche se doveva ancora suonare la campanella, facevo sempre così per prendere il posto migliore vicino alla finestra. Così durante le ore, come all'orfanotrofio dopotutto, potevo guardare fuori e sognare, sfogare la mia immaginazione su quel mondo grigio e noioso.

Ero la matita che dava colore alla monotonia, ma non mi riusciva ultimamente, da quando ci siamo trasferiti.

La campanella suonò e le ore passarono, come appunto preferivo, senza lasciare segno.
Mi diressi al mio armadietto. Nessuno mi aveva rivolto la parola per tutta la mattinata e andava bene, nessuno mi aveva degnato di un po' di attenzione, nessuno mi ha ascoltato, nessuno ha udito le mie grida di noia e frustrazione. Come sempre, tutto andava bene.

Inserii la combinazione nel lucchetto, feci per aprire e una valanga di bigliettini mi travolse. Mi avevano riempito l'armadietto di insulti. I foglietti che mi ritrovai davanti agli occhi mi prendevano in giro, come quelli sguardi al di fuori della montagna, che ridevano.
Idioti, pensai di loro. Mi hanno sempre preso in giro di nascosto, non avevano almeno il coraggio di dirmelo in faccia?!
Non mi misi a leggere quelle cartacce, tanto sapevo che non avrebbero fatto altro che ferirmi. Richiusi l'armadietto. Uscii e tornai a casa, incavolata ma triste, ferita internamente.

Salii le scale mentre loro mi urlavano dietro.
-Blum che è successo!? Parlaci tesoro!- fece lei.
-che ti prende piccola?!- urlò sopra di lei, lui appena tornato da lavoro.
-non sono più una bambina!!! E non voglio parlarne!!!- gli risposi contro, amara. Mi sbattei dietro la porta della mia camera.

Ero furiosa, mi sembrava di star vivendo un dejavou. Mi fiondai sul letto, lanciando a caso lo zaino. Mi misi le cuffie e feci partire Melanie Martinez, una delle mie cantanti preferite.
Con le sue canzoni tristi e pazze. Quello che cantava diceva il vero sulla vita, sulla cruda realtà.
"Everyone thinks that we' re perfect, please don' t let them look through the courtains"
Di solito la musica mi rilassava, lavava via le mie emozioni come faceva l'acqua quando nuotavo. Mi circondava  accarezzandomi, mi cullava ma non infieriva.
Stavolta però, mi fece uno strano effetto, mi dava forza e invece di calmarmi, sembrava volesse che mi ribellassi. Strano.

Un rumore nella stanza mi fece trasalire dai miei pensieri. Le pareti erano azzurre come il cielo, scrivania in legno ricolma di disegni e matite, bacheca piena di foto, letto con lenzuola bianche, finestra e seduta per la lettura con cuscini e coperta, libreria assalita dai libri.
Il rumore aveva smesso senza darmi una risposta della sua provenienza.
Mi stesi tranquilla ma dubbiosa.
Ormai ero arrivata alla canzone adatta a quella giornata "pity party".
"Maybe it's a cruel joke on me
It's my party and ill cry if i want to
Ill cry until my pity party's in flames
I'm laughing, i'm crying, it feels like, i'm dying!!!"
Torna il rumore, stavolta più intenso e fastidioso, alzo lo sguardo. I fogli vibrano, i libri cadono, la bacheca si rovescia per terra. Solo ora mi accorgo che sto sfogando la mia rabbia sul mondo esterno. Il letto vibra sotto le mie mani.
Alzo una mano, come provando a fermare quel caos, e funziona. Incredibile, tutto si ferma e torna il silenzio.
Sono curiosa di ciò che ho appena visto, non è un sogno di certo. Concentro il mio sguardo su un libro preciso dello scaffale. Penso. Penso alla sua caduta verso il freddo pavimento, le pagine che si aprono e io rumore del rimbalzo...

Thonk

È caduto.
La bocca spalancata, stupita dalla cosa. Potevo controllare gli oggetti?!
Provo con qualcos'altro per esserne sicura. Mi concentro su una matita. E intanto nelle mie orecchie c'è "mad  hatter".
Allungo la mano, in direzione della matita immagino di sentire gli angoli del legno freddo e sottile. Questa velocemente, si lancia nella mia mano e la afferro.

Ho gli occhi sbarrati per lo stupore. Dovevo nascondere quel fatto ai miei, non dovevano venire a sapere. Avevo paura di quello che avrebbero potuto pensare. Mi avrebbero dato della pazza?
Sentii i loro pensieri. Erano preoccupati e stavano salendo le scale. Mi sentivo in colpa. La mia mente si focalizzò in una stanza ordinata e quello fu. I libri tornato sui scaffali, i fogli in ordine e la bacheca sul muro. Ogni cosa, al contrario, tornò al proprio posto. Loro entrarono.
Appena in tempo, tirai un sospiro di sollievo.

Mia madre e mio padre si catapultarono sul letto, di fianco a me, per poi stringermi in una morsa con le loro braccia.

Don't forget my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora