RED SILO

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...e ne leggo il contenuto.

Un fulmine brucia nel campo.
Tuo, Slender.

Stavolta è riuscito a esprimersi con una sola frase, un indovinello corto.
O forse cerca di trarmi in inganno?
In questo caso devo analizzare per bene la frase, pur essendo corta potrebbe nascondere qualcosa.
Nel mentre, le mie gambe mi conducono a vuoto fra gli alberi. Giro in tondo, di qua e di la, cercando la risposta più adatta ed esatta.

"Un fulmine brucia nel campo"
Continuo a pensare, spezzando la frase ed analizzandola in modi diversi.
Per prima cosa, la più ovvia, l'unico luogo abbastanza grande da essere definito un campo, è il grande pezzo di terreno scoperto.
Dove si ergono, ancora in piedi, un vecchio silo e un basso edificio in ferro. Forse è quello il luogo a cui si riferisce, dove vuole condurmi.
Subito inizio a balzare, corro fra gli alberi, salto sopra le radici scoperte, cercando di non inciampare per l'euforia che mi pervade.
Già mi immagino cosa potrei ritrovarmi.

Mi farà cercare per tutto il campo erboso? Dovrò acquattarmi a terra per trovare un'altro dei suoi minuscoli foglietti.
O forse lo troverò nascosto tra le fronde di un pino lì vicino, sul confine?
Oppure, l'avrà nascosto dentro il capanno in ferro, o sulla sommità del vecchio silos?
O magari, quanto lo desidererei, potrei trovare proprio lui.
Improbabile, abbiamo iniziato solo stamattina ed è quasi pomeriggio, non credo voglia rendermi il gioco così semplice.
Durerà fino a sera, me lo sento. Vuole farmi provare il brivido, di cercare qualcosa di veramente piccolo, in un luogo immenso e per di più al buio. Un po' come l'ago nel pagliaio ma da bendati, estremamente difficile.
Non vedo l'ora di "catturarlo".

Corro come una pantera nera, a passi felpati nel bosco come se fossi costantemente inseguita da qualcosa, alle mie spalle.
Spedita, mi avvicino sempre più al campo scoperto.
Osservo gli alberi che mi circondano di sfuggita, e un piccolo ricordo mi balza in mente.
Io da ragazzina, che correvo negli immensi campi di grano, vicino alla vecchia casa dei miei genitori addottivi.
Correvo con mamma e papà cercando di far volare un mio aquilone, fatto quello stesso giorno.

Il cielo era così immenso e completamente pulito, neanche una minima traccia di nuvola, da togliere il fiato.
Gli steli del frumento che mi toccavano le gambe nude, i fili secchi che mi sfioravano le caviglie.
La terra era così morbida, secca e rigata da piccole crepature per l'aria arida di quell'estate.
Il vestitino azzurro che mi aveva cucito mamma qualche giorno prima, soffice e leggero.
Ricordo ancora le loro grida, che mi pregavano di rallentare la mia corsa. Non riuscivano proprio a starmi dietro.
L'aquilone rosso accesso che svolazzava alto nel cielo chiaro.

Quell'immagine mi è rimasta impressa nella mente.
Un ricordo dolce, pieno di gioia e spensieratezza.
Ma ora, riguardando quel quadro del passato, mi fa sentire malinconica.
A ricordare quei loro volti felici, mi mancano in fondo.
Mi chiedo perché non mi abbiano più cercata, perché mamma non mi ha richiamata dopo quella sera.
Lei, loro ci tenevano così tanto a me, e soprattutto, ci tenevano a sapere se fossi riuscita a ricordare il mio oscuro passato.
A loro interessava molto sapere, avevano fatto così tante ricerche sulla mia infanzia: sul luogo da cui provenivo, sulla mia famiglia "naturale" e sul resto.
Per molto tempo. Si erano impegnati così tanto e così affondo.

Con uno strano alone grigio nel mio umore, mi ritrovo nel mezzo di quel campo d'erba secca.
Il vecchio silos rosso e il capanno in ferro arrugginito, mi circondano e mi osservano immobili nel passato.
Passo in rassegna con lo sguardo la superficie del campo, nella probabilità di vederci un fogliettino rosso, che spicca tra il colore smorto dell'erba.
Come previsto, nulla.

Don't forget my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora