LA VERA ME

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È notte e fa freddo. Il cielo è costellato, puntini bianchi e blu brillano la su, io guardo loro e loro guardano noi. Mi alzo a sedere, mi ha messo una coperta perché non prendessi freddo. Guardo accanto a me e c'è un'orma sull'erba, il corpo che l'ha formata sarà in giro in cerca di prede. Mi alzo prendendo la coperta, voglio trovarlo per dargliela di persona e ringraziarlo. Una cosa folle infondo.

Mi addentro nella foresta, mimetizzandomi fra gli alberi ora del tutto cupi e neri.
Da lontano vedo una luce proiettata sulla foresta, mi avvicino lentamente incuriosita.
Senza accorgermene ho trovato l'uscita e quella non era una luce, erano due macchine della polizia con i fanali accesi.
Gli avranno chiamati i miei?
Davanti vi è il mio adorato parchetto con la mia altalena.
Dal veicolo escono due poliziotto,  io mi tengo a distanza fra gli alberi.

Uno di loro si accorge della mia figura e un'espressione di paura si accende sul suo volto.
Mi fissa con occhi sgranati, l'altro segue il suo sguardo e anche lui si unisce all inquietudine del primo.
Tirano fuori le pistole puntandomele addosso.
-FERMA! NON MUOVERTI!- fa il primo.
-MANI IN ALTO! SUBITO!- l'altro.
Che diamine hanno da urlare?!
Mica hanno davanti lo Slenderman in persona?!
Aspetta...magari è dietro di me?!
Mi volto per dare un'occhiata, non c'è nessuno, solo alberi che mi scrutano.

Sparo.
Rimbomba nelle mie orecchie prolungandosi, dal suono attutito. Mi volto più lentamente del previsto. Il proiettile mi fluttua davanti alla fronte, l'aria che lo circonda è bianca e una scia densa mi dice che ha sparato il poliziotto più giovane, troppa paura.
Ma perché l'ha fatto? Non ho fatto nulla, mi sono soltanto girata.
Solo ora mi accorgo che il tempo si è fermato, forse sono stata io? Mi focalizzo sul proiettile, lui lentamente torna indietro da dove è venuto, sempre più veloce ripercorre la sua strada. Arriva alla pistola e, quando entra nel grilletto, questa si frantuma in pezzi cadendo a terra.
Loro sono stupiti, impauriti. Arriva un'altra volante.
Corro dalla parte opposta, sono stupita da me stessa ma non capisco.

Perché mi hanno sparato, perché avevano paura, ma paura per cosa? Attraverso velocemente lo spiazzo d' erba e vado avanti. Un passo e mi sembra di farne venti, due  e sono quaranta. Le mie gambe corrono senza mai stancarsi e stranamente non ho il fiato corto.
Che mi succede?!

Arrivo ad un laghetto ed è la prima volta che lo vedo. Mi fermo e mi avvicino allo specchi d'acqua affacciandomi.

Dove sono?!
Quella non sono io!!!
Una donna alta, snella e senza volto, dai capelli neri che gli ricadono sulle spalle, con indosso una giacca nera e camicia bianca aperta nella parte superiore.
Mi porto una mano al volto, lo sento liscio senza tratti facciali, anche la figura riflessa fa lo stesso movimento. Unghie nere come pece e pelle candida come la neve.
PANICO.
Ansimo, ho paura. Mi sento troppo alta, non è il mio corpo! Non sono io quella! Non è possibile!
Tutte scuse. Non lo accetto.

-tu sei sempre stata così- una voce alle mie spalle, profonda e seria, con un tono dolce e un accenno metallico di sottofondo.
Mi volto ed è qui. È LUI.
Mi sento piangere, singhiozzi escono dalla bocca che non ho. Sento qualcosa di caldo rigarmi il viso, lo stesso liquido nero. Guardo a terra nervosa, porto dei tacchi a spillo neri. Sono alta come lui con qualche centimetro in meno.
-perché...perché?! Io... io non sono così!- dico fra le lacrime, lui mi si avvicina.
Lo guardo dove dovrebbero esserci gli occhi, lui mi guarda dove dovrebbero esserci i miei.
-si che sei così, lo sei sempre stata. Il corpo d' umana è stata solo una forma di prigionia-
-cosa?! Io... io sono sempre stata una...?- dico ma non riesco a finire la frase, non ci riesco, non ce la faccio a dirlo, ad ammetterlo.
-si, una slenders- ecco, ha concluso la mia frase.
-grazie...- mi sembra di sussurrare.

Cade il silenzio. Io guardo a terra ma lui continua a guardarmi, sento il suo sguardo come due aghi.
-non sai quanto mi sei mancata- mi dice in un sussurro dolce.
Alzo lo sguardo.
-non capisco...- implorante di qualche spiegazione. Lui fa per prendermi il volto fra le sue mani, lunghe e esili.
Indietreggio intimorita.
-non aver paura- mi dice tranquillo. Mi fido ma mi inquieta allo stesso tempo. Mi sento strana. Lo lascio avvicinarsi e mi posa i pollici sulle tempie, una luce bianca si sprigiona e la vista si offusca.
Sono tranquilla.

Mi vedo correre da bambina, per quella foresta sempre oscura.
Arrivo ai due massi, il crepitio dei rami caduti e secchi sotto i miei piedi, il fruscio del vento sui rami che mi sposta le ciocche di capelli. Mi appoggio sulla roccia fredda e umida, alzo il volto e incontro il suo. Un sorriso spicca sulle mie labbra e mi guardo ridere. Lui inclina la testa a destra come per scrutarmi, da dietro le rocce. Faccio lo stesso, sono felice. Vado verso di lui e li tendo la mano sorridendo. Lui la afferra sicuro, dopotutto rapisce i bambini ma stavolta le cose sono invertite.
Una bambina lo rapisce. Lo porto fino allo spiazzo, ridendo allegramente.
Perché ero così felice? Dopo quel inferno di infanzia che avevo vissuto?
Mi distendo sull'erba e lui si siede accanto a me osservandomi, io guardo il cielo e sorrido, felice come se non ci fosse un domani alle mie risate.
Lo guardo e lui fa lo stesso.
-come ti chiami?- la mia fragile voce dolce, lontana e attutita alle mie orecchie. Lui rimane in silenzio, non vuole rispondere, o sa che so?

Si distende e continua a scrutarmi, anche io. Stiamo lì per minuti a guardarci, i nostri sguardi legati, quasi non si sciolgano più.
Sembra non voglia lasciarmi andare, come io. Non vogliamo che questo finisca.
Sposto i miei occhi al cielo azzurro e sfumato da nuvole bianche che corrono al vento. Sento che lui rivuole i miei occhi, vuole di nuovo quel nostro contatto seppur lontano. Ma abbandona anche lui e mi accompagna, rivolge il volto su nel cielo.
-ti piace stare qui?- gli chiedo curiosa come sono i bambini. Non risponde, preferisce dirmelo in silenzio. Ho capito.
-anche a me, molto- avevo capito senza che mi desse una risposta.
Quindi è vero, i bambini capiscono più degli adulti. Siamo liberi di comprendere ciò e come vogliamo, gli adulti sono legati da regole.
Lui mi guarda, stupito.
Sorrido e rido.
Ignara di quello che mi sarebbe successo di li a poco, per tutta la mia infanzia. Ignorando la distruzione che ci sarebbe stata poi nella mia vita.
Lo guardai negli occhi e gli sorrisi.
Quello sarebbe stato l'ultimo sorriso e l'avevo regalato a lui che aveva assistito ai miei ultimi attimi di felicità e di allegria.

-non ti dimenticare dei miei occhi- sentii sussurrare prima di tornarmene indietro.

Ci eravamo già incontrati, molti anni fa. Mi sentivo strana, come se tutto si ricollegasse come tessere di un enorme pasol. Le lacrime scorrevano sulle mie guance, senza limiti. Gli saltai addosso, mettendoli le braccia attorno al collo, lo sentivo rigido. Aveva perso la sensazione di questo tipo di affetto, da secoli ormai.
Dopo un po' anche lui ricambiò l'abbraccio, le sue braccia lunghe e esili mi circondavano reggendo il mio corpo.
Sentii un calore strano avvolgermi, una scintilla si propagava per tutto il mio corpo e una forma di elettricità si sprigionava a contatto con il suo.
Quello era stato e rimarrà l'abbraccio più affettuoso, caldo e pieno di gioia in tutta la mia buia vita.

Don't forget my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora