Prologo

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Gennaio 1957, Stasi (Ministero per la sicurezza nazionale), Berlino Est.

"Papà mi puoi spiegare cosa ci faccio qui? Giornata al lavoro con tuo padre?" Domandò Thomas con fare svogliato, Herr Brunner lo guardò storto, continuando a trascinarlo per i corridoi eleganti. Nonostante all'esterno la rinascita dopo la guerra, a differenza nella parte ovest del paese, andava ancora a rilento, all'interno dei palazzi governativi non sembravano esserci stati limiti alle spese nell'arredamento.

"Ti ho detto di non far domande." Si voltò verso di lui per poi girarsi e riprendere a camminare. Herr Brunner, anche conosciuto come Johannes Brunner, dopo la fine della guerra aveva dedicato la sua vita al partito comunista e alla sua crescita nella Germania dell'Est, aveva ricoperto varie cariche fino ad arrivare a quella di responsabile per la diffusione della cultura nelle scuole.

A guardarlo non era proprio lo stereotipo del proletario: completo grigio, il volto perfettamente rasato e ben curato, inoltre era alquanto sovrappeso, in poche parole il cibo a loro non mancava.

"Beh sarebbe carino sapere perché io questa mattina invece che andare all'università sono stato portato qui." Cercò ancora una volta di avere domande mentre seguiva il genitore. Questa volta però il padre non si degnò nemmeno di rispondere limitandosi ad un borbottio nervoso che Thomas non fu in grado di comprendere.

Si trovavano a uno degli ultimi piani dell'edificio, giunti davanti ad una porta si fermarono, sentì il padre bussare, dire qualcosa e poi tornare indietro, ma non indagò, per quanto gli era parso fino a poco prima non aveva diritto ad avere risposte perciò tanto valeva non tentare ulteriormente.

Thomas aveva solo diciannove anni ma non era stupido, sapeva bene cosa era lo Stasi, ovvero il Ministero per la Sicurezza Nazionale, tutti avevano paura di quella figura, perfino gli esponenti più importanti del partito.

La realtà è che tutti lo sapevano, ma nessuno ne parlava, era una sorta di tabù, girava la voce che reclutasse normali cittadini per spiare gli altri e riferire chi dissentiva dalle idee del partito, ovviamente non era nulla di confermato, ma questo contribuiva a spingere le persone a non esporre le proprie idee. Nella Germania dell'Est non potevi fidarti nemmeno dei tuoi genitori.

Proprio per quel motivo lui non si fidava di suo padre visto che lo aveva condotto fino a quella porta senza dirgli nulla. Sedeva su una delle sedie predisposte nella saletta d'attesa, i gomiti appoggiati alle ginocchia reggevano il mento.

"Thomas diamine siediti in maniera decente." Gli sibilò suo padre venendo verso di lui, il ragazzo sospirò ma alla fine fece quanto gli venne detto tirandosi su e appoggiandosi allo schienale della sedia, le braccia incrociate al petto.

"Thomas Brunner?" Domandò la segretaria, una giovane donna dai capelli biondo platino. "Herr Linzt è pronto a riceverla." Thomas annuì, fece appena in tempo a sentire il padre borbottare qualche raccomandazione e poi si alzò andando verso la porta, sospirò, almeno ora sapeva il nome dell'uomo con cui avrebbe parlato.


Gennaio 1957, Bonn, Germania dell'Ovest.

Elisabetta guardò fuori dalla finestra della cucina quando udì il rumore del cancello che permetteva l'ingresso nel cortile di Casa Schwartz, non aveva ancora nevicato tanto quell'inverno e la città non era imbiancata, però era pur sempre gennaio e nonostante fossero passate da poco le cinque era già buio all'esterno. Sbucò poi una vettura nera, la tipica macchina governativa e Elisabetta accennò un sorriso.

Non ci volle tanto perché la porta di casa si aprisse, era sempre piacevole quando Franz tornava a casa, le teneva compagnia e la faceva sentire meno sola in quella casa a suo parere enorme che aveva comprato qualche anno prima. Ora poi che sia Sofia che Joachim preferivano la quiete della loro camera, si trovava spesso sola in una delle tante stanze.

"Hallo, mein Schatz." La salutò lui arrivandole da dietro e cingendole i fianchi, Elisabetta si voltò così da andare a posare un casto bacio sulle labbra dell'uomo.

"Com'è andata a lavoro?" Chiese lei, era invecchiato dalla prima volta che lo aveva visto, dodici anni erano un po', ma per lei rimaneva ancora l'uomo più bello del mondo, ma soprattutto il suo uomo.

"Tutto nella norma." Questa era una cosa che aveva imparato da quando lo aveva sposato, Franz Schwartz non parlava quasi mai del suo lavoro, a patto che non fosse tremendamente frustrato e avesse bisogno di sfogarsi, ma infondo a lei andava bene così e non lo aveva mai sforzato a parlarne. Ricordò con un sorriso che quella era stata la prima condizione che aveva messo alla loro relazione: non si parla del suo lavoro, certo poi le cose erano decisamente cambiate da dodici anni prima, ma la cosa era ancora divertente.

Lo osservò slacciarsi i bottoni della giacca della divisa, già della divisa, perché da quando due anni prima, nel 1955, la Germania dell'Ovest era tornata ad avere un esercito suo marito era tornato a vestire una divisa. Sapeva bene che Franz era contento di tornare a vestire l'uniforme anche se a lei non piaceva proprio tanto vederlo in divisa, anche se questa non era come quella delle SS, le ricordava troppo il suo passato.

"I ragazzi dove sono?" Domandò poi l'uomo. Elisabetta scrollò le spalle appoggiandosi al bancone della grande cucina. "Credo che Joachim stia studiando, Sofia invece è rimasta a cena da Marlene.

"Marlene?" Domandò l'uomo sollevando il sopracciglio, era il gesto tipico che faceva quando qualcosa non gli era chiara, anche questo lo aveva capito col tempo.

"Marlene, quella del corso di danza..." Spiegò Elisabetta sorridendo, Franz ci si metteva d'impegno per cercare di entrare appieno nella vita dei figli ma era un po' un suo limite, comunque apprezzava lo sforzo.

"Ah." Sembrò collegare solo dopo. "Ma non avevano litigato?" Chiese poi, ricordando qualcosa.

"Sì, ma ha dodici anni ed è una femmina." Rispose lei con un fare naturale, il tedesco scrollò le spalle.

"Dopodomani devo partire per qualche giorno." Le comunicò poi il marito. Elisabetta annuì, se c'era un'altra cosa a cui si era abituata erano la moltitudine di viaggi che lui faceva.

"Dove vai?" Gli chiese allora. "A Bruxelles, per la NATO..." La NATO era l'alleanza militare tra gli stati occidentali che si erano contrapposti all'Unione Sovietica, era nata nel 1949 ma la Germania dell'Ovest vi aveva fatto il suo ingresso solo due anni prima divenendo all'improvviso importantissima nel caso di un attacco da parte delle forze del Patto di Varsavia, ovvero quegli stati che supportavano la Russia. Elisabetta si scostò dal bancone andando a posare la mano sul braccio dell'uomo coperto ancora dalla camicia bianca.

"Franz perché tutti questi impegni con la NATO? Non ci sarà mica un'altra guerra in programma?" Domandò seriamente preoccupata, non voleva rivivere tutto quello che aveva vissuto pochi anni prima e soprattutto non voleva che lui dovesse andare via da lei rischiando la sua vita.

"Sicuramente non la stiamo pianificando noi, ma se dovessero attaccarci è bene essere pronti a difendersi." Disse serio, quando parlava di lavoro cambiava atteggiamento. Elisabetta annuì e l'uomo prontamente la strinse tra le sue braccia.

"Non preoccuparti Schatz, andrà tutto bene, non ci sarà nessuna guerra e noi staremo bene." Riusciva a rassicurarla in ogni occasione e amava questo di Franz, la capacità di farla stare bene, era tutto così perfetto in quei momenti e Elisabetta non riusciva proprio ad immaginare cosa potesse mai andare storto.

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Eh già, sono tornata, e non ci ho neanche impiegato così tanto!
Due paroline su questa storia, probabilmente rispetto al primo racconto avrà più riferimenti storici ma allo stesso tempo non sarà un romanzo storico così definito come l'altra.
Per chi sta leggendo questa storia senza aver letto Weg zur Hölle non temete, non è impossibile capire, però è fortemente consigliato leggere l'altra prima.
Per il resto, vi auguro una buona lettura.

Weg zum Himmel -  #2 gli Uomini del ReichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora