Capitolo 13

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Uno sgomento Joachim e una terrorizzata Sofia sedevano in cucina. Loro madre li aveva svegliati in fretta e furia dicendo di preparare dei vestiti per stare via una o due settimane e di andare a sedersi in soggiorno dopo. A nessuno dei due era sfuggito lo sguardo distrutto della donna e, nonostante entrambi avessero provato ad accertarsi delle sue condizioni, lei non aveva detto nulla.

Maledetto Franz Schwartz.

Questo era il pensiero fisso che le tormentava la mente.

Entrò nel soggiorno seguendo Franz, questo avrebbe fatto male, lo sapeva bene. Osservò l'uomo muoversi con esitazione, una caratteristica che decisamente non era sua tipica, finché non prese posto sul divano di fronte a quello dei ragazzi. Elisabetta senza dire una parola si accomodò accanto a lui. Lo sguardo fermo sul tavolino del soggiorno davanti a loro, non riusciva a guardare ne il marito ma neanche i figli. Avrebbe voluto supportare Franz in quello che sarebbe stato un momento difficilissimo per lui, ma dopo la loro litigata in camera da letto non riusciva a trovare un modo con cui aiutarlo.

"Mi dispiace ragazzi, avrei voluto dirvelo in una maniera diversa, ma le circostanze sono state contro di me." Elisabetta lo sentì sospirare. Provò una pena enorme per lui e, nonostante tutto, era suo marito. Istintivamente gli prese la mano cominciano ad accarezzarla con movimenti dolci.

"Io non sono mai stato del tutto sincero con voi. Quando ero molto più giovane e nessuno di vuoi due era nato sono entrato nelle SS. Quando la guerra è iniziata avevo il grado di ufficiale." Le facce di Joachim e Sofia si facevano sempre più perplessi. Entrambi volevano già fargli troppe domande ma Elisabetta fece cenno di aspettare.

"Ho dato degli ordini, ho fatto fare delle cose..." Franz non sapeva come dirlo, non voleva rendere evidente anche a loro che lui non era minimamente pentito di ciò che aveva fatto. "Ho ucciso persone e altrettante sono state uccise per un mio ordine." Disse infine. Sofia aveva le lacrime agli occhi, Joachim si era alzato in piedi e continuava a scuotere il capo.

"Ti prego dimmi che è uno scherzo..." Mormorò il ragazzo rivolgendosi verso il padre. Franz scosse il capo.

"Sei un mostro... Come puoi vivere dopo quello che hai fatto? Un ufficiale delle SS..." Inevitabilmente incredulo. Anche Sofia si era alzata e si era messa in un angolo.

"Ragazzi questo non cambia chi vostro padre è, è stato il passato ma..." Non fece neanche in tempo a continuare che Joachim uscì dalla casa sbattendo la porta. Sofia guardò suo padre ancora incredula, dopodiché scosse il capo uscendo a sua volta.

"E' un disastro..." Mormorò Franz. Elisabetta si sporse verso di lui andando a circondare il suo busto con un braccio.

"Dagli tempo..." Cercò di rassicurarlo lei. Il tedesco annuì.

"Mi dispiace per prima... Questo è qualcosa che non potevo immaginare..." Disse lui sincero, Elisabetta accennò un sorriso.

"Franz io starò una settimana da mio fratello, non di più, non di meno, perciò vedi di risolvere tutto in questo frangente di tempo perché non sono disposta ad aspettare di più. Sappi comunque che mi fa molto male questa tua scelta e che non ti ho perdonato, ma non infierisco solo perché in questo momento quello che stai affrontando è molto molto peggio che una moglie arrabbiata." Franz sorrise appena con fare riconoscente. Elisabetta si alzò e l'uomo la imitò affiancandola mentre questa si dirigeva verso la porta.

"Ich liebe dich Elisabetta..." Mormorò lui andando ad accarezzarle la guancia.

"Ti amo anche io Franz." Sorrise amara lei, si alzò sulle punte e le loro labbra andarono a congiungersi finché non dovettero ricordarsi che c'era una macchina che la aspettava fuori.

"Una sola cosa Elisabetta, prova a sistemare le cose con i ragazzi per favore..." Lei annuì e dopodiché uscì dalla casa.

Franz era ora solo e completamente nei casini.


Quando due ore dopo Schwartz camminava per i corridoi che conducevano al suo ufficio poteva facilmente accorgersi degli sguardi dei suoi sottoposti. Li vedeva scambiarsi occhiate al suo passaggio e, i più coraggiosi provavano anche a scambiarsi qualche parola.
Poco dopo la sua entrata nell'ufficio entrò Thomas. Era tranquillo, Franz si aspettava degli sguardi stupiti anche da lui, ma ciò non accadde.

"Come procediamo per oggi signore?" Chiese lui, Franz porse un biglietto a questo.

"Rintracciali, li voglio tutti qui tra un'ora, prepara la sala riunioni numero due su questo piano." Fece poi un gesto con la mano e l'altro, capendolo, uscì dall'ufficio.

Prese così in mano la cornetta del telefono posizionato sulla sua scrivania.

"Schreiber." La voce dall'altra parte.

"Mi servi nel mio ufficio, subito."

E quando Franz Schwartz diceva subito significava subito, non tra due minuti, proprio subito, per questo meno di trenta secondi dopo la porta del suo ufficio si aprì rivelando la figura di Schreiber, lo stesso che in mattinata lo aveva messo al corrente della bufera. Non disse nulla muovendo qualche passo avanti verso Schwartz.

"Mi serve che tu investighi il mio attendente." Schreiber lo guardò sorpreso. "Non è nulla di sicuro. Però stamattina è stato l'unico che si è atteggiato in maniera normale." Il sottoposto annuì serio.

"Posso farlo." Disse solamente, non era compito suo discutere gli ordini dopotutto.

"Una cosa è molto importante a riguardo." L'uomo guardò Schwartz serio facendogli capire che aveva tutta la sua attenzione. "Nessuno deve sapere nulla a riguardo." Dopodiché l'altro abbandonò la stanza.

Marzo 1957 - Verona, Italia.

Era stato un viaggio lungo, quasi dodici ore, ma erano arrivati.
Suo fratello non abitava più a Rubiano da ormai diversi anni, dopo essersi sposato e aver avuto Marco aveva deciso di spostare la famiglia a Verona, forse in cerca di qualche lavoro più redditizio di quello nella fattoria o nei campi.
Joachim e Sofia avevano spicciato qualche parola a mala pena, giusto per chiedere quanto il viaggio sarebbe durato ma soprattutto quando sarebbero tornati.
Lei invece aveva cercato di instaurare un dialogo con loro, di capire in qualche maniera cosa loro davvero pensassero, ma era stata una causa persa.
Aveva anche avuto ad un certo punto, tra Stoccarda e Monaco, l'impulso di scoppiare a piangere ma era fortunatamente riuscita a trattenersi.

La casa di Luciano non era proprio in centro città, locata in periferia aveva concesso alla felice famiglia di avere uno spazio verde davanti a questa e soprattutto tranquillità.
Elisabetta scese dall'auto esortando i due ragazzi con lei a fare lo stesso.
La porta della casa si aprì rivelando la figura di Luciano che si mosse verso di loro. Un sorriso comprensivo sul volto e immediatamente Elisabetta si tuffò tra le sue braccia come se fosse tornata anni e anni indietro.

Weg zum Himmel -  #2 gli Uomini del ReichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora