La voce dell'oceano

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13 anni dopo.
Sydney, 2017.

Anita Owens era una di poche parole. Non perché non si sentisse all'altezza di una conversazione, ma perché nessuna conversazione sembrava essere alla sua altezza. Non era superbia la sua, era solo la consapevolezza di vivere in un mondo sciocco, superficiale, che non aveva nulla da dire a una giovane donna così incredibilmente superiore a tutte le sue banalitá.

Ai suoi occhi, banali erano le occupazioni della gente, banali le sue passioni, le sue idee.
Banali erano anche le domande che la dottoressa Fassbender le rivolgeva e a cui lei faceva caso di tanto in tanto, mentre, distesa sul lettino del suo studio, teneva il conto delle volte in cui la psicologa balbettava un sommesso "ehm ehm".

"Ehm ehm, Anita, continui a parlarmi di lei. C'é un preciso momento della giornata in cui si verificano i suoi improvvisi attacchi di panico?"

Non distolse lo sguardo dal soffitto, che trovava di gran lunga più interessante dei vacui occhietti azzurri della Fassbender.

"Non li definirei in questo modo dottoressa. I miei non sono né attacchi di panico né tantomeno sono improvvisi. Io li chiamerei esternazioni della consapevolezza di non essere adatta per questo mondo"

Con la coda dell'occhio vide la psicologa prendere un piccolo respiro e sbuffare silenziosamente, e ne fu segretamente compiaciuta: si divertiva a far impazzire quella donna sempre tutta impettita e saccente, qualcuno doveva pur cercare di rimetterla con i piedi per terra.

"Bene, chiamiamoli come vuoi tu. Queste ehm ehm esternazioni di disagio interiore quanto sono frequenti e quando si verificano?"

"Non ci faccio caso. Il mio disagio é costante, come un sasso sullo stomaco. Quando mi sveglio é giá lì e nemmeno di notte mi dá tregua"

La Fassbender osservava la sua paziente al di sopra delle lenti di un paio di occhiali sottilissimi che portava sulla punta più estrema del suo piccolo naso. Più volte Anita si chiese come riuscisse a tenerli in quella posizione senza farli cadere.

"Da oggi dovrá imparare a farci caso allora. Dunque, ehm ehm le sue amiche sono al corrente di questa situazione?"

Il silenzio che seguì come risposta alla domanda era interrotto dal ronzio di alcune lampade al nilon, che sprigionavano una luce così artificiale e fredda da costringere Anita a socchiudere leggermente gli occhi.
Distesa su quel lettino piuttosto scomodo la ragazza si perse nei suoi pensieri.
Come era arrivata a una situazione tale da chiedere aiuto a una psicologa sottuttoio come la Fassbender?
Quel piccolo mostro che le attanagliava la gola durante quegli odiosi attacchi di panico era cresciuto col tempo.
Chi dice che il tempo cura le ferite non ha mai sofferto davvero.

"Ehm ehm, Anita? Mi ascolta?"

"Oh si, certo. A dire il vero loro non potrebbero nemmeno immaginarlo. É un lato di me che non mostro volentieri: ai loro occhi sono la dolce e cara Anita, l'amica più amabile ed educata di tutte, la migliore del corso di medicina, allegra e con una vita piena di successi. E a me sta bene così"

Ed era vero. Solo Charlotte, la sua migliore amica, aveva intuito l'agitazione nascosta nell'animo di Anita, senza peró affrontare mai l'argomento esplicitamente.

La psicologa sollevò le sopracciglia e profonde rughe le solcarono la fronte bianca come il suo camice.
"Mia cara, il primo consiglio che posso darle é quello di aprire il proprio cuore alle persone che le sono care. In caso contrario rischia di andare incontro a...."

Ma Anita non la ascoltava più. Che poteva saperne quella donnina di lei? Nessuno avrebbe potuto aiutarla davvero a sradicare quel piccolo mostro che si era annidato nel suo cuore e che sembrava nutrirsi della sua linfa vitale, privandola a volte di ogni speranza felice.
Era consapevole di avere un carattere complesso e dotato di mille sfaccettature: nemmeno lei era in grado di comprenderlo pienamente e a volte arrivava persino a odiarsi per i suoi cambi di umore, le sue reazioni inaspettate e i suoi pensieri intricati.

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