Solitudine

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"Coraggio Helena, più forte, più forte" le urlò contro il viso sudato.
"Colpisci, colpisci" le disse tenendo fermo il sacco appeso, nella camera adibita a palestra.
Il respiro affannato e pesante di Helena rimbombava nella stanza, insieme al rumore dei guantoni rossi contro il sacco nero.
I suoi occhi verdi erano incollati al suo obiettivo, il corpo doleva per lo sforzo fisico.
Ogni cellula, ogni nervo era teso e surriscaldato.
Ogni volta che colpiva il suo cuore si alleggeriva del suo infinito peso, ma solo per una frazione di secondo.
Passato l'attimo in cui la sua mente si concentrava a scagliare con forza e violenza l'ira incanalata nel suo braccio, per passare dal polso, dalla mano e giungere infine sul sacco, il dolore ritornava.

Ritornava più forte e più vivo.

Quello forzo fisico non serviva a distrarla dalla sua pena, non serviva a migliorare il suo stato d'animo e non serviva a vedere la vita da un altro punto di vista.

No.

Tutto quello sforzo fisico aveva come unico obiettivo quello di annientare il suo corpo, schiacciarlo, spogliarlo di volontà e forza. Forse in questo modo sarebbe riuscita a chiudere gli occhi ed entrare in tempi rapidi in uno stato di oblio, oscura e silenziosa solitudine.
Si, Helena, non voleva più vedere niente, sentite o toccare qualcosa.

Desiderava solo l'oblio, il vuoto, il nulla.

Forse, solo in quel preciso momento, il suo cuore avrebbe smesso di sanguinare.
Ed eccolo il momento in cui il braccio ha scagliato l'ira e l'urlo uscire dalle sue labbra. Gli occhi si chiudono, il braccio ritorna in posizione, i pensieri ricominciano a premere sulle sue tempie doloranti. Il cuore si comprime all'interno di quella gabbia di ghiaccio ed il petto duole ad ogni singolo respiro.

James, James. Sei lontano da me.

Solo un nome riempiva i suoi pensieri ed arrivava dritto al cuore, con un dolore immenso.
Il pensiero successivo era sempre per Clarissa ed allora il dolore aumentava, si trasformava in odio profondo. Quell'odio profondo riempiva il suo corpo e veniva incanalato di nuovo nel braccio.
Un altro colpo, un altro pugno, un altro calcio venivano scagliati contro il suo momentaneo obiettivo, con le urla di disperazione.

Il rumore dei colpi è un rumore sordo, neanche lontanamente soddisfacente.
Si richiudono gli occhi ed ecco un altro pensiero.

James. James é partito.

La lunga e-mail di George con il riepilogo della situazione era stata sentita da Helena come una precisa pugnalata ricevuta con una velocità supersonica. George le aveva illustrato, con tanto di dettagli, il nuovo incarico affidato al suo collaboratore, con tappe, nomi di città, alberghi e contatti dei clienti.
Per più di un mese il suo amato James avrebbe intrapreso un tour di lavoro.

Quella semplice comunicazione le aveva trafitto il cuore e strappato l'anima.
Con un luccicante stiletto argentato, come quelli utilizzati per uccidere i lupi mannari o magari di legno, intagliato, per uccidere i vampiri.
Non importa il materiale, aveva svolto il suo lavoro con diligenza.
Quella pugnalata era entrata nel cuore e da lì non era più uscita.
Ormai era diventata uno zombie, vagava, si nutriva, dormiva e piangeva con una ferita aperta nel petto.
Una volta diventata uno zombie, non si poteva tornare indietro, non si poteva guarire.

Non c'era una cura, non esisteva un antidoto.

Niente, di niente.

"Basta per oggi Helena" disse Josh staccandosi dal sacco.
Un altro colpo però raggiunse quell'ammasso di plastica nera.
"Helena, basta" le disse di nuovo, ma anche questa volta le sue parole si persero nell'aria.
Josh vedeva sua sorella colpire e ricolpire quel povero sacco. Era stremata, sudata e senza respiro.
"Non puoi continuare oltre. Non sei abituata"
le afferrò il braccio ma lei non smise. Anzi.
Si fiondò sul sacco e lo colpì ripetutamente con calci e pugni e quando cercò di fermarla, agguantandola dalle spalle, la sua rabbia aumentò.
"Lasciami Josh, lasciami, non ho finito" gli gridava ma lui non cedette.
Continuò a stringerla contro il suo petto mentre lei lottava con forza e con rabbia.

Lui, però, era più forte di lei.

Chiuse gli occhi ed anche se le gentili parole di suo fratello, appena sussurrate all'orecchio, erano come un balsamo sui suoi nervi, l'effetto tanto desiderato non era giunto a destinazione.
Si immobilizzò ed iniziò a recuperare il respiro fino a quando non senti suo fratello lasciarla.
Si tolse i guantoni ed alzandosi da terra, raggiunse il soggiorno. Si infilò la felpa grigia della tuta. Infilò gli auricolari posizionando il cellulare nel porta ipod, intorno al braccio. Alzando il cappuccio si avvicinò alla porta.

"Starai male Helena. Il tuo corpo non reggerà lo sforzo fisico. Ascoltami, riposiamoci e domani pomeriggio, dopo il lavoro ricominceremo".

Infilò le chiavi nella serratura ed aprì la porta.
"Starai male Helena. Stai annientando il tuo corpo".

"È quello che voglio" rispose semplicemente prima di uscire di casa.
Il sole stava tramontando su Los Angeles. L'arancione del sole si univa al blu scuro della notte. L'aria era calda, ma ad Helena non importava niente.

Non sentiva più, non vedeva più.

Avviò la musica, una canzone dei Linkin park risuonò nelle cuffiette e come i bassi della melodia risuonavano nelle sue orecchie, i suoi passi svelti risuonavano sull'asfalto.
Iniziò a correre fino a quando tutti i lampioni non si accesero e le uniche luci erano quelle dei fanali che costeggiavano il parco che aveva raggiunto.
Lacrime salate le rigavano il viso quando decise di fermarsi e camminare per riprendere fiato.
Ci aveva provato, ma non riusciva a smettere di respirare.

Si addentrò nel parco scuro, cercando la sua anima calpestata e strappata dal suo corpo, nel leggera brezza estiva.
Si appoggiò ad un albero e chiudendo gli occhi ricominciò a respirare.
Aveva abbandonato il divano dopo due giorni di pianto. Aveva fatto una doccia, aveva di nuovo bevuto il suo amato caffè e con tutta la forza che aveva in corpo ritornò a lavoro.
Era riuscita ad uscire dallo stadio dello sconforto.
Suo padre stava bene, viveva con suo fratello e poteva ancora lavorare, nella sua azienda da lei tanto amata.
La sua vita si poteva dire perfetta rispetto a quelle di tante altre persone.

Ma non era così.

Ti odio ma ti voglio - (Completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora