Prologo

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Midtown Center, Manhattan - 10 Aprile 2005, 3:00 AM

"Merdoso sacco di pulci, hai avvertito gli sbirri eh? Figlio di una lurida cagna americana!" fu con queste parole che mio padre, o almeno così pareva essere, piombò in quel buco che era la mia stanza, portando con sé un tanfo insopportabile di sudore misto ad alcol, che ormai conoscevo bene e che non mancava comunque di farmi venire da rimettere ogni volta.

Spalancò la porta dello sgabuzzino delle scope, dove anni prima ci avevo sistemato un vecchio materasso scomodo e maleodorante che avevo trovato accanto ad un cassonetto, e cominciò a prendermi a calci sulle costole mentre io rimanevo inerme, senza riuscire a reagire, preso alla sprovvista e troppo confuso per capire cosa cazzo stesse succedendo, e anche se ne avessi avuto la possibilità, ero cosciente del fatto che ribellarsi, sarebbe stato solo peggio.
Non seppi il motivo di quell'ennesimo sopruso da parte di quell'essere dalla quale avevo ereditato solo parte della genetica, e per mia grandissima sfortuna, anche il cognome; capì la sua furia solo quando sentì un frastuono poco lontano, e una voce decisa che proclamava "Jörg Trümper, sei in arresto, allontanati dal ragazzo senza fare stronzate!".

Ricordo gli agenti che lo ammanettarono mentre lui si dimenava come una fiera, cercando ancora di colpirmi, mentre altri agenti tenevano delle torce e delle pistole puntate contro la sua figura, portandolo via.

Solo allora una donna di colore, abbastanza in carne, mi venne vicino con un sorriso che sapeva di materno, nonostante, di materno, nella mia vita, non ci fosse mai stato nulla, e si chinò al mio fianco "Thomas, il mio nome è Lucy, sono un'assistente sociale.. è tutto finito adesso, quell'uomo non potrà mai più farti del male" disse con un tono che sapeva di promessa, e anche se fidarmi non mi riusciva con nessuno, mi alzai con una mano premuta su un punto dolorante del mio costato e la guardai negli occhi, senza timore, infondo avevo imparato presto che la paura è per i deboli.

"Avanti, prendi le tue cose, ti porto in un posto più bello" mormorò lanciando uno sguardo attorno a sé e allo schifo in cui fino ad allora ero sopravvissuto e mi ritrovai a sorridere amaramente "Non ho niente di mio, signora" le dissi con voce che uscì più fievole di quanto mi aspettassi, a causa del dolore al fianco che mi permetteva solo respiri a metà.

Quella donna mi sorrise, facendo trasparire a pieno tutta la pena che provava per me e mi porse il suo cappotto, nella quale ci sarei entrato per quattro volte come minimo, ma non protestai, fuori faceva freddo ed ero consapevole che la mia maglietta a mezze maniche, ricoperta di buchi, non poteva niente contro il gelo della notte.

Lasciai che mi scortasse sull'ambulanza che ci aspettava fuori, dove venni medicato per varie bruciature di sigaretta, vecchie e nuove, sparse per tutto il corpo e per le varie altre escoriazioni che mi deturpavano la pelle, e fui portato in ospedale dove mi dissero che avrebbero dovuto fare degli esami più specifici e mai avrei creduto intendessero che mi avrebbero controllato da capo a piedi, dentro e fuori.

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