Bring me back to you

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*ASHTON'S POV*

Sospiro.
Guardo fuori dal finestrino, il buio ci avvolge, è notte fonda.
Sono passate già dieci ore di volo, manca ancora molto per arrivare a Sidney.
È successo tutto così in fretta, i bagagli preparati in velocità, tutti i miei vestiti stropicciati, neanche il tempo di controllare di aver preso tutto; la corsa verso la macchina, appena finito il concerto, la corsa in aeroporto, la corsa per trovare un volo adatto, i controlli fatti velocemente: Michael, talmente stanco, si è fatto fermare perché non ha tolto la cintura... gli occhi di Luke che hanno puntato al cielo, il suo sospiro rumoroso, la sua impazienza che ha travolto tutti noi.
Non ha voluto aspettare un secondo di più, non ha voluto esitare neanche un momento: il tour europeo non lo dobbiamo fare, perché aspettare due settimane per tornare a casa? Non serve aspettare, bisogna correre a casa, bisogna sbrigarsi, bisogna tornare da June.
Non ho neanche avuto il tempo di avvisarla e se devo essere sincero, meglio che io non mi intrometta: lo sguardo di Luke mi basta a farmi sentire uno schifo, a farmi sentire un pessimo amico.
Ma perché non lo capisce? Perché non capisce che l'ho fatto per June?
Cosa dovevo fare? Non ascoltarla? Darle contro? La decisione spettava solo a lei, non a me; ma alla fine, quello falso, ipocrita e stronzo sono io.
Sospiro.
Non riesco a dormire, sono troppo agitato.
Fisso Luke, davanti a me, che avvolto dalla sua coperta bianca, dorme: la bocca un po' aperta, i muscoli rilassati, quel respiro profondo.
Sospiro.
Voglio che mi perdoni sta volta, non merito di essere trattato così, io voglio bene ad entrambi, io cerco solo di aiutarli.

Quando atterriamo a Sidney, sono le quattro e un quarto di pomeriggio: il sole splende come non mai, l'aria di casa ci avvolge, nessuno però, ad aspettarci in aeroporto, neanche una fan, neanche un viso familiare, nessuno sa del nostro ritorno, nessuno sa della nostra improvvisata, faremo una sorpresa a tutti.
Michael si regge in piedi per miracolo, lui e Calum prendono un taxi per andare verso casa; io, Luke e Liz, restiamo insieme, a guardarci, o meglio, i due biondi mi fissano, come se dovessi dare io ordini o informazioni, ma io non so nulla, non so se mia sorella è a casa, non so se è a lavoro, sono appena arrivato anche io e l'ultima volta che l'ho sentita, risale a una settimana fa.
-Andiamo a casa allora, Luke- dice Liz, rivolgendosi al figlio, appoggiando una mano sulla sua spalla, ma lui si sposta.
-Vai tu a casa, io vado da Ashton- dice secco e lei non osa neanche rispondere: hanno litigato fino all'esaurimento, hanno urlato anche troppo, sono stanchi di ripetere le stesse cose, sono stanchi di voler difendere le proprie idee.
La mamma di Luke annuisce, gli dice che lo aspetta per cena.
-O almeno, se non torni avvisami per favore- il tono di voce di Liz mi fa pena, è fragile, è stanca, è triste, quasi implora il figlio di avvisarla, quasi si sente in colpa per ogni cosa che ha detto; ma se a me fa pena, a Luke non importa nulla, troppo preso dal suo pensiero fisso, troppo preso a cercare le parole adatte da dire, troppo preso a preoccuparsi.
Liz ci saluta, e si allontana verso un taxi diverso dal nostro, rimaniamo soli e il mio amico, mi porta una mano sulla schiena, per incitarmi ad avanzare.
-Scusa Luke- dico senza pensarci, sospirando, e in risposta, ricevo un sorriso.
Luke sta sorridendo.
-Dai Ash veloce- mi incita, senza togliere quel sorriso enorme che ha in volto: fino a due secondi fa, era la persona più musona del mondo, ora è quasi raggiante, capire Luke Hemmings è un'impresa, è peggio di una donna, capirlo è sempre una grande vittoria.

Camminare per le vie vicine a casa mia è strano.
È una sensazione davvero strana, diversa, sento che c'è qualcosa di nuovo.
L'ultima volta che ho camminato per questo quartiere, era prima della partenza per il tour, troppi mesi fa, troppi giorni passati lontano dalla mia terra, da questi posti che mi hanno visto crescere, da questi posti che nascondono qualche mio ricordo.
L'ultima volta che ho passeggiato in queste vie, ero Ashton, Ash, quello che è stato bocciato, quello che girava con Sue e che poi è stato lasciato, quello che suona la batteria e fa parte di una band dal nome strano, Ash il ragazzo dai capelli strani, Ash che passeggia sempre con il sorriso sulla faccia: ero solo Ashton, non ero Ashton Irwin dei 5 Seconds Of Summer.
Non ero famoso, non venivo fermato per un autografo, non venivo travolto da decine di ragazze per una foto, nessuno mi assillava per un "follow" in Twitter, nessuno mi spediva così tanti regali come adesso.
Quante cose sono cambiate, quante ne cambieranno ancora, ma dentro di me, ci sarà sempre posto per il ragazzo che ero, il ragazzo che ha sempre passeggiato per queste vie.
-Pensieroso Ash?- mi distoglie dai miei pensieri il mio amico, che si guarda in giro, anche lui sorpreso di essere qui, a casa: abbiamo girato così tanto, non siamo mai tornati a casa da quando è cominciato il tour, sembra quasi impossibile essere stati assenti per così tanti mesi.
-Fa strano anche a me- bisbiglia, continuando a camminare, chiudendosi di nuovo nel suo silenzio: casa mia è vicina, la tensione sale.

Suono io il campanello e l'abbaiare di Indie rimbomba da dentro casa: una voce le dice di fare silenzio, una voce che non riconosco.
La porta di casa mia si apre e ad accoglierci, c'è l'ultima persona che avrei voluto vedere: pantaloni della tuta grigi, una maglia bianca a maniche corte, le mie ciabatte, i capelli biondi raccolti in una coda, il viso sempre così dannatamente perfetto anche senza un filo di trucco.
-C-ciao... ragazzi- balbetta, la sua voce non è più così tanto nuova al mio orecchio.
-Ciao a te... Sue- saluto io, abbassando lo sguardo, capendo molte cose: June non ha mai osato dirmi il nome della baby sitter di sua figlia, grazie mille sorellona, è sempre bello avere la sorpresa, trovare la propria ex come baby sitter, il colmo.
-Che ci fai qui?- chiede Luke, inarcando il sopracciglio: lui di sicuro non sa che è la baby sitter di sua figlia.
-È la baby sitter di...- sto per spiegargli, ma lei, solito vizio che non ha perso a quanto pare, mi parla sopra e conclude la frase al posto mio.
-Di Harry! Lo sto aiutando con i compiti sai- e io la guardo male, ma cosa sta dicendo? È stupida?
Il mio amico non ci fa caso, si prepara l'altra domanda –Dov'è June?-
-A scuola, oggi lavora fino alle sei- risponde pronta e sicura Sue.
-Quale scuola?- interviene ancora il biondo.
-La nostra, l'altra la stanno ristrutturando, quindi usano le classi del nostro liceo...- si perde in chiacchiere, ma Luke non ha tempo per ascoltare, ci saluta e comincia a camminare lontano: bell'amico che sei, abbandonami pure con Sue! Sottospecie di idiota.
Il silenzio che cala tra noi è imbarazzante da morire.
Mi faccio avanti, senza chiedere permesso, dato che è casa mia e preso da una stanchezza assurda, mi butto sul divano, inspirando il profumo di casa.
-Bentornato Ash- annuncia lei, chiudendo la porta, piano, parlando a voce bassa.
-Grazie- mi limito a rispondere, mentre Indie si appoggia con il muso sulla mia pancia, in attesa delle mie carezze.
-Vuoi... qualcosa da bere?- chiede titubante e scuoto il capo: l'unica cosa che vorrei è che lei sparisse e se ne andasse, ma June mi ucciderebbe se lo facessi, quindi cerchiamo di respirare, o la faccio volare fuori dalla finestra.
Si siede anche lei sul divano, distante da me.
-Cavoli, sei stato via più di un anno da casa! Come mai questo tour è così lungo?- cara Sue, il tuo tentativo di fare conversazione rasenta il ridicolo.
-Non abbiamo avuto solo il tour... siamo partiti prima anche per cominciare l'album: il tour è iniziato a settembre, poi a dicembre abbiamo avuto quasi tutto il mese libero, anche maggio e giugno sono stati così- spiego a grandi linee.
-Ma perché non siete tornati?- insiste, vorrei tanto risponderle di farsi gli affari suoi.
-Perché ti ho detto, avevamo l'album, poi tutto un casino... tornare non era la scelta migliore, sono venuti i nostri genitori da noi, penso tu lo sappia- la guardo.
-Sì, quei giorni eravamo io, June, Harry e la piccola... tuo fratello voleva la mamma, povero piccolo- racconta con voce quasi triste.
-Poi con il casino "June e Luke", tornare era l'ultimo dei nostri pensieri- ammetto: Luke non l'ha mai ammesso, ma tornare significava stare male, ed era lui il primo a dire di restare, di non andare a casa, nonostante il mese vuoto e libero.
-Ora lui sa... della bambina?- chiede incerta, io annuisco.
-Sì, infatti non capisco perché hai detto quella balla. È tornato per questo, non serviva mentire- quasi la rimprovero.
-Meglio che la veda insieme a June, credo che lei voglia così- si spiega e un pianto interrompe la nostra imbarazzante discussione.
Sue si alza di scatto, corre al piano di sopra.
Curioso come non mai, mi alzo anche io: non ho mai visto mia nipote, se non in Skype, voglio vederla davvero, vorrei prenderla in braccio.
Arrivo al piano di sopra, seguo la voce di Sue che intona una canzone, come per calmare la bambina: sono in camera di June.
La canzone che sta cantando la riconosco, è una nostra canzone, che suoniamo ad ogni concerto, è "Beside You" e sembra calmare l'animo inquieto della piccola; mi avvicino ancora, e finalmente, davanti ai miei occhi, scorgo quel visino, quel nasino piccolo, quei capelli biondi, quegli occhi blu che ancora lacrimano un po', il ciuccio in bocca, avvolta da una coperta: la mia nipotina, la mia Lune.
Sue si volta verso di me, gli occhi blu della piccola mi fissano interrogativi: non posso far altro che sorriderle, accarezzarle la mano che stringe a pugno e notare un sorriso dolce sul viso di Sue, che la tiene stretta tra le sue braccia.
-Saluta lo Zio Ash, Lune. Non piangere dai- la incita e la bambina non emette un suono.
-Vuoi prenderla tu?- mi chiede e io irrigidisco, arrossendo violentemente, annuendo appena.
-Meglio che mi sieda- balbetto, prendendo posto sul letto di June, sul quale mi fiondo velocemente e con poca grazia: sono emozionato da morire.
Sue sorride appena, forse sono veramente da deridere, chissà che faccia mi ritrovo, chissà cosa sembro ai suoi occhi.
La ragazza bionda, mi porge la bambina, mi suggerisce di tenerle la testa, in modo da non farla penzolare, mi sussurra che non mi mangia, di rilassarmi, che Lune è buona e non mi metterà in difficoltà.
Averla tra le mie braccia è una sensazione unica e speciale: mi guarda, mi fissa, mi mette a disagio con quelle iridi blu, sembra una piccola June, in grado di far arrossire chiunque con il suo sguardo sicuro e deciso, ma poi le guardo il naso, le guardo le guance e riconosco quei lineamenti, i lineamenti uguali a quel bambino, il bambino della foto che Liz tiene nel portafoglio: Lune assomiglia anche al suo papà, in maniera impressionante.
Lune alza la mano, come se volesse toccarmi, le porgo l'indice, che lei afferra decisa, lo stringe forte, con la sua manina così morbida, così fragile.
La alzo appena, per darle un bacio sulla fronte, inspiro quel profumo così buono, profumo di bambino piccolo, un profumo così dolce: lei mi sorride, facendo cadere il ciuccio e facendomi notare i suoi dentini.
-Credo tu le piaccia- dice Sue, raccogliendo l'oggetto.
-Dice qualcosa?- le chiedo, senza togliere lo sguardo da mia nipote.
-Qualche parolina sì e gattona un po', ma è pigra e non lo fa troppo spesso- mi spiega ridacchiando.
-Sei pigra come lo Zio? Brava piccolina mia, sono fiero di te- le dico, lei sorride ancora, battendo le mani e cominciando a farmi sentire la sua voce.
Emette suoni tutti suoi, mi fa sorridere e più rido, più lei parla, senza fermarsi.
-Sei una macchinetta come la mamma: il papà sarà felicissimo!- le dico, mentre lei continua con il suo monologo, facendomi ridere troppo.
-Tata- mi dice infine, voltando lo sguardo verso Sue, io alzo lo sguardo verso di lei, che con il cellulare in mano, mi dice di sorridere.
Scatta una foto e me la mostra, la prima foto mia e di Lune.
-Siete bellissimi- dice arrossendo, dandomi le spalle, come se fosse in imbarazzo.
-Che dite di andare in giardino? Con il bau?- continua, e la piccola, al sentire quella parola "bau", scalcia e si agita: Sue sa bene cosa vuole.
-Credo che... sì, andiamo- annuncio, in attesa che prenda la bambina in braccio.
-Non è difficile Ash, puoi portarla tu- mi sorride, vedendomi preso dal panico.
Deglutisco e guardo Lune negli occhi: mi sorride anche lei.
Goffamente, mi alzo in piedi, tengo la testa della piccola con delicatezza, ho paura di farle male, ma a quanto pare, ho una dote nascosta, che si mostra in questo momento e mi aiuta a non fare danni: sono in piedi, con la piccola in braccio, mi sento lo Zio perfetto.
-Lune? Ti senti alta ora? Aspetta di andare in braccio a papà!- le dice Sue, toccandole il naso, ricevendo in risposta un urletto niente male.
-Ha la voce degna di una cantante insomma- dico io, facendo ridere Sue, che rivolgendomi ancora lo sguardo, mi incita ad andare giù: mi aspetta un bel pomeriggio in giardino con la bambina più bella del mondo.

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