Capitolo 37: Epic Battle e Piccolo Alloro scioccato.

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Non la potevo perdere. Quante volte ho già detto questa frase?
Non per essere ripetitivo, per carità. Ma è una cosa semplicemente così vera che non ci sono altre parole o altre frasi per esprimerla.
Solo, non la potevo perdere di nuovo.
Soprattutto, non potevo perderla per un mio errore, per una mia arroganza. Ero stato stupido. Eppure la conoscevo, sapevo com'era fatta: la sfidavi, e lei coglieva la palla al balzo.

-Capo, cosa pensi di fare adesso?- chiese Sunnydale, ancora nel mio palmo, mentre riapparivo in una strada di New York abbastanza lontana dal caos, per permettermi di materializzarmi in tutta tranquillità.
Uscii dal vicolo rimanendo in silenzio, troppo preoccupato e concentrato per curarmi delle parole del mio portachiavi.

Cercai di ricordarmi la direzione da prendere, e le indicazioni che Ecate mi aveva frettolosamente dato mi tornarono in mente.

Svoltai a sinistra e poi a destra, ritrovandomi in una strada abbastanza grande e deserta.
I lampioni gettavano aloni di luce giallastra sull'asfalto, e io affrettai il passo.

Dafne doveva essere lì vicino.

-Capo, però rispondimi.-
-Uh?-

Un bivio. Sicuro, presi la strada di sinistra.

-Cosa mi avevi chiesto, Sunny?-
-Cosa intendi fare adesso.-
-Non è scontato?- aprii il palmo, guardando il mio portachiavi luminoso. -Vado a salvare l'amore della mia vita, e a prendere a calci in culo chiunque osi farle del male.-

Iniziai a correre, come trascinato da una specie di angoscia che mi attanagliava lo stomaco.
Stava ancora bene?
Non erano passati che pochi minuti da quando mi ero congedato da Ecate, eppure, in quei pochi minuti sarebbe potuto succedere di tutto.

D'un tratto, sentii un urlo e riconobbi la voce di Dafne.
-È lei, Sunny!-
Corsi ancora più veloce, e ancora di più, finchè la voce non divenne più acuta e più chiara alle mie orecchie.
Ero vicino.
Molto vicino.
Eccolo, un vicolo male illuminato alla mia sinistra.
In fondo, spalle al muro, c'era lei.

Fu come ricevere un pugno in pancia.
Ella era schiacciata contro il muro di mattoni secchi che chiudeva il vicoletto, e un uomo era vicino a lei, troppo vicino, e le accarezzava lentamente il corpo, mentre lei di tanto in tanto lanciava strilli acuti.
L'uomo le tappò la bocca brutalmente con una mano, mentre portava l'altra dentro al suo giubbotto di pelle, tirando fuori qualcosa.
Vidi un luccichio.
Riconobbi subito la lama di un coltello.

-Ehy, tu! Lasciala andare!- urlai, avvicinandomi.
L'uomo si girò nella mia direzione, puntandomi l'arma contro.
-Oh, chi abbiamo qui? Il principe azzurro che viene a salvare la sua principessa? Ah ah ah... come sei romantico. Chi cazzo saresti, tu? Vedi di andartene fuori dai coglioni e lasciarmi in pace con la mia bambolina.-

Sentir chiamare la mia Dafne in quel modo da quel delinquente, mi fece arrabbiare anche più di quanto lo fossi prima.
Mi avvicinai ancora, minaccioso, e feci il gesto di afferrare la ragazza e trascinarla via.
Il coltello saettò verso di me, fulmineo, e io, altrettanto fulmineo, bloccai il polso dell'uomo prima che la lama mi finisse in un occhio, stringendolo in una morsa d'acciaio.
-Che c'è, nessuno ti ha insegnato come si gioca con i coltelli?- dissi, a denti stretti, e poi spinsi con forza l'uomo da me, che rimase a guardarmi.

In tutto quello, Dafne, sudata, era rimasta ad occhi chiusi, stretta in un angolino.
-Dafne- chiamai.
Lei aprì uno dei suoi meravigliosi occhi verdi, pieni di paura.
-A... A... Apollo?- sussurrò, incredula.
La guardai con infinita dolcezza, e mi avvicinai a lei, circondandole le spalle con un braccio e stringendola a me.
-Sono io. Torniamo a casa.-

Ci allontanammo dal vicolo, piano piano, uscendo dal buio.

Ma qualcuno non si era ancora arreso.
Il tipo, che evidentemente doveva essere stupido, aveva ripreso in mano il coltello dalla lama lunga.
Ora correva verso di noi, blaterando cose come "Coglione, ora ti ammazzo!" e varie.

Oh, merda. Non avevo proprio né voglia né tempo di stare dietro a quel delinquentello di periferia. Puah, che feccia.
La mia priorità era portare a casa Dafne, vedere se stesse bene e consolarla. E poi, sgridarla per bene, perché io dalla preoccupazione c'ero quasi morto.
E anche lei.

I miei occhi si riempiono d'oro, e la mia pelle si ricoprì di un velo dorato splendente e caldo. I miei capelli presero ad agitarsi come animati di vita propria, e io volsi lo sguardo al mortale che ora mi stava osservando stupito.
Mi scostai dalla ragazza, che intanto mi guardava forse ancora più spaventata.
Mi alzai in aria, a qualche centimetro dal marciapiede, facendomi comparire l'arco d'oro in una mano e le frecce sulla schiena.
-Senti tu, mi hai proprio stancato.- proclamai, sfilando una freccia dalla faretra e incoccandola.
-Non solo tenti di stuprare la mia ragazza, minacci pure di uccidere me, un Dio, e ora pensi di passarla liscia?-
Tesi la corda e puntai la freccia verso di lui.
-Beh, vediamo se ci penserai due volte, prima di rifare un atto del genere la prossima volta, neh?-
Tirai.
La freccia affondò nel petto dell'uomo, e Dafne cacciò un urlo, soffocato subito dalle sue mani.
La freccia, intanto, si dissolse nell'aria.
E io tornai normale, facendo scomparire arco, faretra e la modalità da "divina statua d'oro incazzata".
Gettai un ultimo sguardo all'uomo dolorante e svenuto per terra.
-Dormirà per qualche giorno. E poi, non si ricorderà nulla. Se non che quella ferita, ah!, fa davvero male.-

Presi di nuovo la mano di Dafne nella mia, e la portai alle labbra.
Lei evitò il mio sguardo.
Scomparimmo nella notte.

Fummo di nuovo nella mia casa, sull'Olimpo.
Dafne era spossata. E credo anche abbastanza traumatizzata dall'esperienza appena vissuta.
Non proferiva parola, e si limitava a fissare per terra con gli occhi lucidi.
Mi si stringeva il cuore a vederla così.
Le feci togliere la giacca e il vestito, lentamente, notando alcuni segni rossi sul collo e sulle spalle, segni che mi mandarono in bestia.
"Ma guarda tu se quel rifiuto umano deve lasciare succhiotti sulla mia ragazza." pensai, anche se, tecnicamente, Dafne non era la mia ragazza.
Le porsi una mia maglietta pulita che, giustamente, le stava larga.
Lei la indossò, lentamente, e poi volse lo sguardo finalmente verso di me.
Mi guardò, con gli occhi colmi di tristezza.
-Mi dispiace...- sussurrò. Azzardò due passi tremolanti, e mi circondò la vita con le braccia.
-Mi dispiace...- ripeté, con un singhiozzo.
Le accarezzai la testa piena di capelli scuri come l'ebano.
-Non scusarti. Parliamone domani mattina.-
La accompagnai a letto, e lei si stese su un fianco, dandomi la schiena. Poco dopo, sentii i suoi singhiozzi sommessi.
Allora, mi cambiai anche io, mi infilai a letto con lei e accostai il mio corpo al suo. La abbracciai da dietro, stringendola, e lei piano piano si calmò, e si addormentò.
E poi, anche io.
L'indomani, sarebbe stato un lungo giorno.



||Nota autrice:
Ehilà! scusate per il ritardo, ovviamente.
Buona Pasqua e felice Pasquetta!
Ekko il capitolo, e beh, perdonatemi se fa schifo.
Nel prossimo, scintille 👉🌚👉
Bye!
-Elly-chan🌸

One More Life ||Apollo&DafneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora