1. La fine, l'inizio

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Let's dance / put on you red shoes / and dance the blues
Let's dance (David Bowie)

«Emma sei pronta? Mi raccomando lanciali entrambi!» esclamo quasi urlando, mentre tento di farmi sentire dalla mia migliore amica al di sopra del frastuono che regna oggi nella piazza.

Guardo per un secondo Emma, il viso teso in un sorriso radioso, gli occhi grigio perla che spiccano tra le minuscole lentiggini che costellano la pelle diafana, e sorrido, felice di essere lì con lei in un momento così importante per entrambe.

Mi volto verso la grande basilica di San Marco, che assieme al campanile si staglia imponente dietro di noi, occupando lo spazio visivo in modo quasi esagerato. Come tutto e tutti, qui a Venezia, vuole essere al centro dell'attenzione.
Rimuovo con cautela il tappo dall'obbiettivo della mia amata Nikon e la sistemo davanti al volto, pronta a cogliere il minimo movimento sopra le nostre teste.

«Tre, due, uno... via!» urla il professore al microfono.

Migliaia di tòcchi di laurea si alzano simultaneamente in aria, con la codina rossa che svolazza al vento, mentre nell'immensità di Piazza San Marco esplode un boato spropositato e confuso di urrà e di grida di gioia. Scatto qualche foto, ammaliata da quei movimenti e dai colori che riverberano attorno a noi.

«Yeee! Serena, è fatta, è finita!» urla Emma, scuotendomi il braccio con forza.

«Ehi, non fare casini!» sbotto in risposta, attenta alla sicurezza della mia preziosissima macchinetta fotografica. Poi tappo l'obiettivo, e mi lascio andare a un gioioso sorriso, esclamando: «Sì lo so, è incredibile. Non... Non pensavo ci saremmo arrivate. Non così presto.»

«E invece lo abbiamo fatto, dolcezza. Comunque non posso credere che tu abbia realmente rinunciato a lanciare il tuo tòcco. Soprattutto dato che lo hai fatto per scattare le stesse foto che altre migliaia di persone avranno fatto perfettamente identiche!» riprende Emma.

«E smettila! Saranno pure affari miei, no?» la rimbrotto, ridendo del suo commento.

Incredibile. Soltanto cinque anni fa eravamo entrambe appena entrate, titubanti e timorose, nella vita universitaria, due timide matricole iscritte a Economia e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali - familiarmente rinominato EGArt. Al tempo eravamo colme di dubbi, incertezze, paure, ma anche di tante aspettative.

Il proseguire dei nostri studi alla fine non ci ha affatto deluse: già da tre mesi Emma è impiegata al Museo Fortuny, mentre io sto lavorando come stagista part-time nell'ufficio marketing del Muve, la rete dei musei civici veneziani. E adesso che ho in mano il mio diploma di laurea magistrale mi confermeranno finalmente il posto - almeno per un anno, poi si vedrà. Assurdamente, ogni nostro sogno è finalmente realizzato: in barba alle statistiche e alle maldicenze di chi ha criticato o snobbato la facoltà che abbiamo scelto, ora siamo entrambe nel mondo del lavoro, e prima di tanti nostri compagni del liceo che hanno intrapreso percorsi "più prestigiosi".

«Allora, adesso che si fa? Andiamo da Lele a sbronzarci?»

L'esultanza di Emma mi riporta velocemente alla realtà. La mia amica sorride verso di me, lo sguardo luminoso e i capelli biondo ramato che si muovono al vento.

«Ma dai, davvero? Ancora con Lele come i sangiobbisti? Basta! E poi stasera non arrivano i nostri genitori per festeggiare?» chiedo, sbuffando.

Il famoso bacareto da Lele è il ritrovo abituale per tutti gli studenti di economia - il cui dipartimento ha sede nella parrocchia di San Giobbe, appunto -, che passano lì i pomeriggi, intrattenendosi tra spritz e battute di dubbio spirito.

«Che ci vuoi fare, gli economisti hanno fascino!» mi risponde Emma, tutta presa dal turbinio delle persone attorno a noi, mentre cerca di guidarmi per mano verso la Torre dell'Orologio.

«Eh, lo so, ora che stai con Edoardo tutto ciò che ha a che fare con lui ti sembra stupendo, ma una volta anche tu eri fedele come me al partito no-sangiobbisti!» la rimprovero, prima di scoppiare a ridere davanti alla sua faccia corrucciata.

«Amen. Lo amo, amerò anche i suoi sporchi soldi» dice Emma sogghignando.

Ci lasciamo andare entrambe a un nuovo attacco di risate.

«Dai allora, Lele sia. Muoviamoci però, che sennò la calca ci seppellisce.»

«Ma quando mai abbiamo avuto paura della gente noi?»

«Hai ragione» rispondo allora, prima di urlare a squarciagola, con un perfetto e calcatissimo accento veneziano D.O.C.: «Oh, scusène, gavèmo da pasàre! Sorrrry, pardon, spàssio!»

Le mie r strisciate e arrotolate fanno come sempre impazzire Emma dalle risate; con le lacrime agli occhi e il sorriso stampato in faccia ci avviamo veloci verso Lele, in trepida attesa di un rigenerante spritz e del futuro che ci attende da qui in avanti.

Ed è quando arriviamo al bar che questo dannato futuro mi sorride già, per la prima volta da quando ci siamo incontrati poco fa: Emma ha organizzato una micro festicciola con tutti i nostri amici, i parenti, i colleghi di lavoro, senza dirmi niente. Come sia riuscita a mantenere il segreto non lo so, ma ora, di fronte ai volti sorridenti delle persone che amo e che mi sono sempre state vicine, un po' di commozione mi avvolge.

Sono pronta. Eccomi, mondo. Arrivo.

*Autrice*

Ciao a tutti.. Questa storia era già stata pubblicata qui su Wattpad (da mesi ormai), ma purtroppo ho avuto dei problemi con il pc, che ha deciso di cancellare il mio lavoro:'(! Però non preoccupatevi, non voglio lasciarla senza fine, nè abbandonare i miei cari Emir e Serena.

Quindi, per chi l'avesse già letta: mi dispiace, prometto di caricare nuovamente i capitoli il prima possibile (approfittandone per revisionarli un attimo) e di continuare poi con quelli nuovi.

Per chi invece ancora non conoscesse Emir e Serena, benvenuti nel loro mondo! Spero che la storia vi piacerà!

Un bacio :*

Elly

Se solo mi lasciassi entrareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora