34. Istanbul: magia e atroci delusioni

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And you wanted to dance so I asked you to dance / but fear is in your soul
Some people call it a one night stand but we can call it paradise
(Save a Prayer, Duran Duran)

[Serena]

Istanbul è la città più bella del mondo. Ok, forse è prematuro dirlo dopo un'ora scarsa di visita, soprattutto dato che sono stata accompagnata da uno stambuliota incazzato nero con me, che mi ha lasciata ad ammirare la sua città mentre lui non faceva che guardare l'ora senza proferire parola.
Ok, Emir è un cafone, però Istanbul è davvero stupenda: le cupole e le guglie delle moschee si notano da ogni angolo, il rosso, il giallo, l'arancio e il blu spiccano in ogni via, il profumo di spezie riempie l'aria mescolandosi con il salso che viene dal mare...
Poi, mentre stavo con il naso all'insù ad ammirare lo splendore e l'immensità di Ayasofya ho sentito levarsi da qualche parte il canto di un muezzin (con quella sua voce che era quasi un lamento, con quell'intensità struggente e densa di significato), e in pochi istanti intorno a me sono accorse decine di persone che si sono stese a terra e hanno iniziato a pregare con una cantilena altrettanto sentita e incredibile: è stata forse una delle esperienze più belle della mia intera esistenza.
Vorrei aver avuto più tempo per visitare Istanbul, avrei voluto provare a parlare con quelle persone, ma Emir mi ha portata a casa sua e se n'è andato per una cosa importante che doveva fare, lasciandomi la possibilità di muovermi come desideravo.

Non me lo sono fatta ripetere due volte: esploratrice provetta, ho indagato ogni angolo della costruzione. Che, santissimo cielo, è un'assoluta meraviglia: una villetta a schiera, dipinta di bianco e blu come quelle delle isole greche, che si affaccia sul Bosforo e odora di mare e di sole caldo. Grandi stanze luminosissime, una cucina enorme tutta d'acciaio, un immenso tavolo in mogano in sala da pranzo, una palestra (eh già, palestra!)... La parte che però mi ha lasciata a bocca aperta è il giardino: solo ora capisco la cura che Emir aveva per quello di Venezia. Qui è tutto un tripudio di mandorli e palme, di aiuole fiorite e di veli colorati spiegati al vento sotto una meravigliosa tenda bianca.
E poi oltre la siepe c'è il Bosforo, questo meraviglioso canale che ha segnato da sempre la vita e la cultura di questa città, questa striscia di acqua blu che separa la Istanbul europea da quella vecchia, antica, delle concubine e del Sultano, dei complotti di corte e dei caicchi che trasportavano gli abitanti di qua e di là al posto del ponte. Da qui la vedo la vecchia Stambul, e mi sembra quasi di poter sentire i sussurri delle donne velate, il chiacchiericcio degli uomini in moschea, le urla dei bimbi per le strade, mi sembra quasi di scorgere gli alti copricapi dei Gianizzeri (la vecchia guardia del sultano), lo svolazzare delle vesti colorate delle donne, la confusione dei mercati all'aperto...
Qui sembra di stare in un'oasi felice, in un mondo straordinario, e io mi sto lasciando incantare da tutta questa bellezza.

«Tu sei Serena» sussurra una voce all'improvviso.

Io mi volto di scatto, impaurita e sorpresa, facendo un mezzo saltello sul posto per lo spavento che ho preso.

Davanti a me si è materializzata quasi per magia una bellissima donna, alta e scura, con i capelli neri che le scendono sulle spalle e un meraviglioso vestito blu scuro a delineare il corpo perfetto. Può essere una sola persona.

«Alyna?» mormoro, incerta.

Lei annuisce, alzando il capo fieramente per mostrarmi due occhi color indaco che mi fulminano in un istante. Ecco la donna di Emir. La sua futura moglie.
A

Se solo mi lasciassi entrareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora