5. Imbarazzanti differenze

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But we shared a moment that will last till the end
You're beautiful (James Blunt)

[Serena]

È giovedì mattina, e il sole brilla ancora leggero sopra i tetti di Venezia che si stendono fuori dalla mia finestra. Vestita di tutto punto, truccata e preparata, saluto Em e Sofi. Le due stanno facendo colazione in silenzio, assonnate e nervose. Emma mi saluta con la mano, senza staccare gli occhi dalla sua tazza piena di cereali; Sofi invece mugola un ciao striminzito, mentre mescola svogliatamente lo zucchero nel tè.

«Ragazze, scusatemi ancora!» esclamo, aprendo la porta e apprestandomi a uscire.

Mentre varco la soglia sento distintamente l'urlo di Emma, che mi maledice in almeno tre lingue. Ridacchio divertita, ben consapevole che le poverine si sono docilmente svegliate alle cinque per aiutarmi nei preparativi, e scendo veloce dalle scale.

Quando arrivo al Ponte di Calatrava, il respiro si ferma di colpo. Emir è già lì, nuovamente in anticipo e nuovamente splendido. La sua figura alta, con le gambe chilometriche appoggiate alla balaustra, le braccia nude sotto la camicia arrotolata e incrociate davanti al petto, si staglia tra le decine di lavoratori e studenti che si affrettano in entrambe le direzioni. Lui volta la testa ora da una parte ora dall'altra, come in cerca di qualcosa. O di qualcuno.

Sta aspettando me - penso con un moto di egocentrismo, prima di alzare il braccio e sventolare la mano per farmi vedere. Lui mi rivolge subito un cenno di assenso e tende la bocca in un sorriso. È la prima volta che lo vedo sorridere, e ho un tuffo al cuore nell'osservare i denti bianchissimi che contrastano con la pelle scura. È così dannatamente bello, stretto nei suoi abiti su misura, faccia impassibile e sguardo severo, che sento le gambe cedermi di botto.

Nonostante tutto continuo a salire i gradini, avvicinandomi. Non appena gli sono davanti lui mi cinge la vita con un braccio e deposita un lieve bacio sulla mia guancia sinistra.

«Buongiorno Serena, sei davvero splendida stamattina.»

Mi ritraggo con calma, cercando di deglutire e di non far trasparire il tumulto che mi agita dentro: il profumo di quest'uomo è inebriante, sa di sandalo e di tabacco, perfettamente in linea con i suoi tratti turchi e il suo fascino orientale. Ommiodio, forse sto sbavando?

«Grazie mille Emir, sei gentilissimo» bofonchio, sentendo che le guance stanno iniziando a scaldarsi per il rossore.

«Figurati, sto solo dicendo la verità» mi dice, osservandomi con i suoi grandi occhi verdi, in cui scorgo un lampo che non riesco a definire. «Bene, vogliamo andare? Il garage è quello» continua, indicando con la mano uno degli edifici più alti del piazzale.

«Certo» rispondo, scuotendomi di dosso l'imbarazzo e seguendolo giù dal ponte.

Emir mi precede frettolosamente, e io non posso evitare di dare una breve occhiata al suo fondoschiena. Non appena lo incrocio mi insulto a bassa voce: è perfetto, sodo, teso dietro i pantaloni grigio scuri, dentro i quali è infilata la camicia bianca candida che ora si muove sopra le possenti spalle. È la prima occhiata che riesco a dargli da dietro, e vorrei quasi non averlo mai potuto fare: quest'uomo potrebbe senza sforzo far lasciare i voti ad una suora! Mi sforzo di alzare lo sguardo e aumento il passo per stare dietro alle lunghe gambe dell'editore, ponendo un freno ai miei pensieri eccessivi.

Presto arriviamo alla macchina: mi ero immaginata che fosse una classica berlina, quindi rimango piacevolmente stupita quando lui si avvicina a un Range Rover Sport grigio antracite, la mia automobile dei sogni.
«Beh, se posso permettermi, buona scelta, davvero una macchina stupenda.»

Se solo mi lasciassi entrareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora