Capitolo 7

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Okay, mi ero sbagliato di grosso, era stata davvero dura. Mi mancava da morire. Mi alzai presto e mi preparai in fretta e furia per arrivare il prima possibile al luogo dove si sarebbe tenuto il primo instore.
"Buongiorno Ben."
Mi salutò Miranda, la nostra hairstyle.
"Fede?"
Chiesi.
"In ritardo... Come al solito."
Disse arresa la donna. Sbuffai.
"Che palle!"
Esclamai andandomi a buttare su una delle poltroncine presenti nella stanza.
"Ben, dove diavolo è Federico?"
Mi chiese nervoso Enrico facendo il suo ingresso.
"Starà per arrivare."
Dissi per tranquillizzarlo.
"Possibile che quel ragazzo non è in grado di essere puntuale quando non è con te?!"
Si lamentò. Sorrisi di nascosto. Non so, ma le parole di Enrico le interpretai in 'Possibile che quel ragazzo non è in grado di fare nulla senza di te?!', come se anche Federico dovesse dipendere da me come io da lui.

"Eccomi!"
'Eccolo, finalmente!' pensai voltandomi verso l'entrata. Aveva l'affanno e si vedeva benissimo che aveva indossato le prima cose che gli erano capitate fra le mani.
"I vigili mi hanno fermato mentre venivo qui e..."
Tentò di giustificarsi con la sua solita scusa. Scossi la testa divertito.
"Risparmiamela e raggiungi Benjamin, si sta già preparando come puoi vedere."
Disse indicandomi distrattamente, era preso ad analizzare dei fogli che aveva fra le mani. Il biondo annuì e venne verso di me.
"Miranda, non ti sembra di star esagerando con quella roba?"
Le chiesi. Era da mezz'ora che mi stava spruzzando lacca sui capelli.
"Vuoi seriamente dirmi come fare il mio lavoro?"
Mi chiese come a dire 'Sei serio, ragazzo?!'. Alzai le mani in segno di difesa e la lasciai fare.
"Fede, scegli cosa metterti e vai a cambiarti che poi tocca a te."
Lo istruì.
"Agli ordini."
Disse dirigendosi allo stand dove erano appesi i nostri vestiti.

"Ma quella non è mia?"
Gli chiesi una volta che si fu cambiato e si fu seduto alla sedia posta accanto alla mia.
"Forse sì, forse no."
Disse ingenuamente.
"Sei sempre il solito!"
Esclamai alzando gli occhi al cielo.
"Un giorno rimarrò senza vestiti."
Mi lamentai.
"Non penso che dispiacerà a tante persone."
Osservò ridendo. Lo trucidai con lo sguardo.
"Beh, non ha tutti i torti."
Lo incalzò la donna.
"Uno a zero per Rossi."
Disse vantandosi. Ero indeciso se farlo fuori in quel momento o una volta finito l'instore. I miei piani omicidi furono interrotti dall'ennesimo starnuto. Sì, era dalla sera prima che non facevo altro.
"Io ti avevo detto di metterti la giacca ieri."
Mi rimproverò, mentre Miranda dai miei capelli passò ai suoi.
"Dev'essere allergia."
Ipotizzai.
"Sì, e a cosa?!"
Chiese ironico.
"A te, magari."
Ipotizzai nuovamente.
"Se, come no."
Risi.
"Com'è andata ieri sera?"
Mi chiese concentrando il suo sguardo sulla sua immagine riflessa nello specchio posto di fronte a lui.
"Bene."
Risposi.
"Zambo ha fatto di tutto per farmi divertire, si è addirittura messo a fare il coglione sul tavolo, dovevi vederlo."
Risi ancora, ricordando la scena del mio amico che si dimenava ubriaco sul tavolino, sotto gli occhi divertiti di tutti i presenti.
"A te invece?"
Gli chiesi.
"Bene."
Rispose schietto.
"Fede, tutto okay?"
Gli chiesi con un velo di preoccupazione.
"Sì, perché?"
Mi chiese a sua volta.
"Ti vedo strano."
Ammisi.
"Ben..."
Mi richiamò, per poi voltarsi verso di me.
"Mi sono appena svegliato, cosa pretendi?!"
Mi disse indispettito. Non riuscii a non scoppiare a ridere.

Tra un numero imprecisato di visi, abbracci, autografi, foto e scambi di parole, l'instore andò piuttosto bene. Era durato tipo quindici ore, mi sentivo uno straccio, mentre Federico sembrava davvero carico.
"Come fai ad essere così attivo?"
Gli chiesi.
"Non so, queste cose mi elettrizzano, ma..."
Si voltò a guardarmi.
"Dammi un letto e vedi come cado in un sonno profondo."
Disse sorridendomi stanco. Risi appena.
"A domani ragazzi."
Ci salutò Enrico.
"E tu vedi di essere puntuale."
Disse autoritario verso il biondo che annuì ritmicamente.
"Fede."
Lo richiamai. Si voltò verso di me.
"Dimmi."
Abbassai lo sguardo.
"Dormi da me?"
Gli chiesi timidamente.
"Perché?"
Mi chiese confuso. Alzai gli occhi al cielo.
"Per una volta nella tua vita, puoi non rispondere con un'altra domanda, ma con un semplice 'sì' o 'no'?"
Sbottai.
"Sì."
Si corresse. Sospirai.
"Andiamo?"
Chiesi infilando le mani nelle tasche della giacca.
"Andiamo."
Acconsentì.

"Ancora non ho capito perché non hai venduto questa casa... Dopo tutto quello che hai passato qui, i ricordi brutti che hai costruito in questo posto..."
Esordì mentre eravamo stesi nel mio letto, uno accanto all'altro, io raggomitolato sotto le coperte e lui a pancia in su, con le mani sotto la nuca.
"Qui ho tutti i ricordi con te."
Gli ricordai. Lui si voltò a guardarmi confuso.
"Non voglio dare via con la casa anche quei ricordi belli che ho costruito qui con te..."
Sussurrai quasi.
"Ma ne abbiamo costruiti altri."
Mi fece notare.
"Sì, ma qui ci sono stati i nostri primi momenti insieme ed è qui che ho capito di tenere davvero a te, perché è qui che ho provato per la prima volta la paura di perdere qualcuno..."
Gli spiegai.
"E quel qualcuno sei sempre tu."
Conclusi. Lui non parlò, si limitò a mantenere il contatto visivo creatosi fra di noi. In quel momento mi resi conto che più il tempo passava, più amavo i suoi occhi.
"Posso farti una domanda?"
Annuii.
"Perché non denunci tuo padre e tuo fratello per quello che ti hanno fatto?"
Rimasi sorpreso. Non credevo se ne potesse uscire con quell'argomento in quel momento.
"Perché non voglio."
Dissi semplicemente.
"E non ti preoccupi che possa farlo qualcuno che ha letto il nostro libro?"
Mi chiese ancora.
"No, perché sono molto ricchi e potrebbero pagarsi la cauzione senza problemi, o assumere i migliori avvocati, così da non scontare neanche un giorno di carcere... Oppure corrompere il giudice, non so, ma vincerebbero."
Esposi diverse ipotesi.
"Come fai a non odiarli?"
Mi chiese girandosi con il corpo verso di me. Sospirai.
"A causa mia hanno perso una figlia, una moglie amatissima, una madre, una nuora, un'amica... Quello che mi hanno fatto è niente."
Federico sembrò continuare a non capire.
"Quando tieni ad una persona e qualcuno te la porta via, è normale che il tuo unico obbiettivo sia far soffrire quel qualcuno, così da fargli capire il tuo dolore."
Spiegai meglio.
"Io continuo a non condividere la cosa."
Decisi quindi di fargli un esempio più concreto.
"Se qualcuno dovesse farti del male o portarti via da me in un qualche modo, beh, quel qualcuno potrebbe anche considerarsi morto."
Lui rimase sorpreso. Ero serio, forse non ero mai stato così serio in tutta la mia vita. Lui era importante per me, non avrei mai potuto sopportare l'idea di non averlo più così vicino, di non poter più ammirare i suoi occhi, il suo sorriso, di non poter più sentire la sua risata, la sua voce, di non poter più abbracciarlo o perdermi nei suoi abbracci. Lui era tutto per me e niente e nessuno avrebbe potuto portarmelo via... Non più, almeno.

Oramai dipendo da te || FenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora