Capitolo 16

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"Come ti senti?"
Mi chiese il biondo, una volta che mi ebbe raggiunto in cucina, intento a stropicciarsi gli occhi.
"Meglio."
Risposi semplicemente. L'imbarazzo era palpabile nell'aria, come tutte le volte che succedeva qualcosa di quel tipo tra di noi. La notte prima, dopo quel bacio, Federico riuscì a portarmi a letto e, appena toccato il materasso, mi addormentai di sasso. Era rimasto con me fino alla mattina seguente.
"Grazie."
Dissi senza incontrare il suo sguardo.
"E di che?"
Lo vidi in piedi, poco distante da me, che guardava in tutte le direzioni, tranne verso di me.
"Scusa."
Dissi.
"Per cosa?"
Mi chiese con tono nervoso, anche se cercava di nasconderlo.
"Per averti fatto correre alle due di notte da me e per... Insomma, so quanto quello ti destabilizzi."
Dissi.
"Ma va, lo sai che puoi chiamarmi tutte le volte in cui hai bisogno e a qualsiasi ora."
Mi rassicurò, senza però tener conto della seconda cosa di cui mi ero scusato. Ogni volta sempre la stessa storia, cercava sempre di evitare l'argomento, a parte quella volta in cui era ubriaco in hotel. Sospirai.
"So che non vuoi parlarne, ma secondo me dovremmo."
Constatai.
"Non c'è nulla da dire."
Minimizzò.
"Fede."
Lo richiamai.
"Ti ho baciato... Ancora."
Gli ricordai.
"Smettila, non dirlo."
Ribatté tappandosi le orecchie con le mani.
"Tu smettila di fare il bambino."
Dissi infastidito.
"Io non ti capisco."
Dissi ancora una volta, probabilmente la milionesima da quando lo conoscevo.
"La cosa ti dà fastidio, ti confonde, ma quando succede, non fai niente per impedirla o per allontanarti, anzi, ricambi pure!"
Esclamai.
"Sembra quasi che ti piaccia."
Constatai.
"Mi stai chiedendo se mi piace essere baciato da te?"
Chiese esterrefatto. Annuii.
"Ma sei serio?!"
Si innervosì maggiormente.
"Come puoi pensare una cosa del genere?! Sei il mio migliore amico e io sono etero."
Ribadì. Non parlò al plurale, non perché stesse insinuando qualcosa, ma semplicemente perché più volte gli ribadii che non sapevo neanch'io quale fossero le mie preferenze, per me era uguale, mi era indifferente se fosse uomo o donna.
"Allora perché fai in quel modo?"
Gli chiesi ancora.
"Perché penso che darti corda sia la cosa migliore da fare in quei momenti, tutto qui!"
Esclamò in risposta.
"Non è solo quello."
Lui alzò gli occhi al cielo.
"Ben, non so che dirti, o meglio, cosa vuoi sentirti dire."
Si agitò.
"La verità è che, sì, mi confonde, mi destabilizza, alle volte mi infastidisce, ma sei il mio migliore amico, non posso certo rifiutarti così, alla leggera, in momenti come quelli."
Si giustificò ancora.
"Okay, se ti dà così fastidio, non preoccuparti, non succederà più."
Sbottai.
"Perfetto."
Acconsentì. Silenzio, ecco cosa si formò tra noi. Sospirai allungando un braccio verso di lui.
"Vieni qui."
Dissi porgendogli la mano. Titubante, venne verso di me, dandomi la possibilità di afferrarlo, per poi farlo sedere sulle mie gambe e avvolgerlo fra le mie braccia, poggiando la guancia sulla sua schiena.
"Grazie."
Dissi ancora.
"Per cosa?"
Mi chiese in un sussurro.
"Per essere rimasto."
Il silenzio prese ad avvolgerci nuovamente, ma non fu uno di quei silenzi imbarazzanti, uno di quei silenzi privi di parole, fu uno di quei silenzi confortanti, uno di quei silenzi pieni di parole difficili da dire, sentimenti difficili da esprimere.

"Ragazzi, dobbiamo iniziare a preparci per i concerti."
Ci ricordarono Enrico e gli altri. Sospirai, mettevano un'ansia assurda.
"Siete pronti?"
Ci chiesero.
"A sopportarci nuovamente ventiquattro ore su ventiquattro?"
Chiesi per sdrammatizzare.
"Mai stati così pronti!"
Esclamai sorridente, guadagnandomi occhiatacce da parte di tutti i presenti, tranne il biondo che mantenne lo sguardo basso. Era tutta la mattina che non mi rivolgeva la parola, sembrava assente, come su un altro pianeta, come se ci fosse, ma non ci fosse. Lui era lì, ma non del tutto. Gli diedi un colpetto sul braccio, quando gli altri erano intenti a parlottare tra loro.
"Tutto okay?"
Sussurrai così che mi sentisse solo lui. Sapevo che odiava attirare l'attenzione su di sé quando magari stava pensieroso o un po' giù. Si sentiva come accerchiato, soffocato e sapevo quanto questo lo facesse sentire male. I suoi occhi si incontrarono con i miei e, cazzo, posso dire di non averli mai visti così. Erano totalmente vuoti, il loro azzurro era spento, non sembrava lui. In un nano secondo, però, ripresero il loro colore, come se fosse tornato, ma c'era qualcosa che non andava, lo vedevo perfettamente. Non mi rispondeva, si limitava a fissarmi, come se si aspettasse che da quegli sguardi riuscissi a capire tutto, ma non ci riuscii... Non quella volta.
"Fede?"
Lo richiamai. Nulla.
"Allora, ragazzi, che ne dite di provare un po'?"
Così Enrico richiamò la nostra attenzione.
"Potremmo iniziare con 'Tutta d'un fiato'?"
Chiese il biondo. 'Finalmente! Ha parlato!' esultai tra me e me.
"Sì, perché no."
Acconsentì Enrico.

Oramai dipendo da te || FenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora