Capitolo 15

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Federico era dovuto andare via, perciò ero rimasto solo... Di nuovo... Ancora. In quei giorni non mi era pesato poi così tanto, ma quel giorno, in quel momento, mi sentii come se quella solitudine mi stesse soffocando. Era l'01:48, Morfeo si era dimenticato di me, al ché decisi di distrarmi, cosicché pensieri indesiderati non venissero a farmi visita. Presi un foglietto che avevo trovato qualche giorno prima... Si trattava di una cosa che scrissi anni prima, dopo un litigio con il biondo, quando ancora stavo... male.
"Ben, smettila di pensarci."
Mi dissi colpendomi una tempia. Afferrai anche la chitarra e mi diressi nel soggiorno, con l'intenzione di trasformare quelle brevi frasi in una canzone per il nuovo disco. Iniziai a strimpellare qualche accordo, a riflettere sul mio stato d'animo passato... Passato che, in quel momento, stava ritornando. Scossi la testa. Dovevo soffermarmi solo sullo stato d'animo, nient'altro, dovevo ricordare che era passato, che quello non era più il mio presente. Rilessi le parole già scritte.

'Quando si rimane da soli

Si sentono rumori lontani

Vibrano la mente e la pelle

Ti accompagneranno per sempre

Io non ho bisogno di niente

E non ho bisogno di te'

E pensare che quelle ultime parole gliele avevo dette davvero, solo per non ammettere a lui e a me stesso che, in realtà, avevo un disperato bisogno di lui. Iniziai a buttare giù qualche altra frase.

'Quello che ci coglie indifesi

Spesso poi ci rende migliori

Vago tra il mio cuore e le stelle

Io ti porto dentro da sempre

Ma non ho bisogno di te'

Ecco cos'altro gli avrei detto, che lui mi aveva colto indifeso, non ero pronto ad essere stravolto dalla sua presenza, ma ciò mi aveva reso migliore. Alle volte mi sentivo perso, quello che provavo accomunato al cielo stellato sotto il quale avevo dormito, cullato dal suo canto. Lui sarebbe rimasto per sempre parte di me, ma, per questioni d'orgoglio, sarei stato capace di dire ancora che non avevo bisogno di lui.

'Se ti scrivo ancora è solo per parlarti di me

Della neve che c'è fuori e che

Non ho paura

Se ti scrivo ancora, è solo per sapere se c'è

Qualcos'altro di me che non sai

Che non hai apprezzato mai

Che non hai apprezzato'

Ancora il mio stupido orgoglio. Sarei stato capace di trovare anche la più stupida scusa pur di parlargli ancora, ma non avrei mai ammesso che l'avrei fatto a causa della sua mancanza che mi divorava. Sarei stato capace di dirgli che non avevo più paura, di niente, e che la sua presenza non era più fondamentale per me. Sarei stato capace di scrivergli solo per chiedergli, con indifferenza, se c'era qualche lato di me che lui ancora non aveva conosciuto, se c'era qualcosa di me che non aveva mai apprezzato, nonostante mi avesse ripetuto spesso che gli andavo bene così com'ero e che non avrebbe cambiato nulla di me.

'Se ti cerco ancora è per liberarmi di te

Dell'amore che c'è dentro me

E che non so spiegare

Che non so spiegare'

Sarei stato capace di scrivergli solo per cercare, in un qualche strano modo contorto, di liberarmi del bisogno costante di lui, dell'amore, del bene, presente dentro di me per lui, che non riuscivo a spiegarmi e a spiegargli come, quando, dove e perché fosse nato. Mi lasciai andare su quel divano che ne aveva viste davvero tante, quel divano che aveva visto ogni sfaccettatura del mio essere, che mi aveva visto crollare, per poi riprendermi. Rilessi quelle parole almeno dieci volte o più... Sorrisi amaramente. Sarei stato davvero capace di fare tutto quello? La risposta era 'Sì'. Alle volte invidiavo Federico per il suo modo di riuscire a dire apertamente e senza alcuna difficoltà tutto ciò che provava. Era come se quel ragazzo fosse privo d'orgoglio o, semplicemente, non si rendeva nemmeno conto di quello che diceva. Lui era bravo a parole e a gesti, io né a parole e né a gesti... Soprattutto a parole. I miei pensieri furono distratti da una strana sensazione che iniziò a pervadermi, a lacerarmi. Sentivo come un bruciore interno, giramenti di testa, voglia di urlare, piangere. Mi stavo innervosendo e le mie mani presero a sfregare le mie braccia, come intenzionate a passare dallo sfregamento al conficcare le unghie nella mia carne, per poi iniziare a graffiare, come un tempo, così da provocarmi ferite che si sarebbero poi unite al resto delle cicatrici presenti sul mio corpo. Mi sembrava di impazzire, di tornare indietro nel tempo. Cercavo di fare respiri profondi, di chiudere gli occhi, per calmarmi, ma niente, non funzionava. Stavo avendo una crisi e, essendo che non ne avevo da tempo, non riuscivo più a ricordare cosa mi facesse calmare... O chi? Presi velocemente il cellulare e digitai velocemente il suo numero. Fanculo l'orgoglio, stavo troppo male per preoccuparmene. Uno squillo, due, tre, quattro.
"Ben, ma hai visto che ore sono?!"
Si lamentò con la voce impastata dal sonno.
"Vieni..."
Riuscii a malapena a dire. Sentivo la gola stringersi e le parole morirmi in essa.
"Che succede?"
Mi chiese allarmato.
"Corri."
Dissi con tono leggermente più alto e chiaro.
"Sto arrivando."
Mi avvertì, per poi chiudere la chiamata.

Faceva male, ma cosa dico? Faceva malissimo. Non riuscivo quasi a muovermi, avevo la gola secca, il respiro affannato e il battito accelerato. Sentii una chiave girare frettolosamente nella serratura... Era arrivato, finalmente.
"Ben!"
Esclamò correndomi incontro, dopo aver sbattuto la porta alle sue spalle.
"Che succede? Cosa..."
Non sapeva cosa dire, cosa chiedermi, si limitò a squadrarmi velocemente, per poi prendermi il viso fra le mani.
"Ben, guardami, va tutto bene."
Mi rassicurò, o almeno tentò. Non andava bene per niente, non mi ero mai sentito così male. Calde lacrime iniziarono a scorrere lungo il mio viso.
"Ehi, no, ci sono qui io, andrà tutto bene."
Tentò ancora. Era chiaro che non aveva la minima idea di cosa potesse fare. Ero nel pieno di una crisi, totalmente differente dalle precedenti.
"Ti porto un bicchiere d'acqua, hai bisogno di liquidi."
Disse frettolosamente, dirigendosi a passo svelto in cucina.

"Bevi."
Provai ad ingoiare qualche sorso, ma fu più quella che mi cadde addosso che quella che finì dentro di me. Abbandonò il bicchiere sul tavolino ed andò ad accendere la luce, per poi tornare da me.
"Ehi, guardami."
Disse ancora.
"Concentrati sui miei occhi."
Mi istruì. Già, i suoi occhi, una delle meraviglie del mondo. Il problema fu che più li guardavo, più mi sentivo morire dentro. Sensi di colpa, di inadeguatezza, di inferiorità, iniziarono a prendere il pieno controllo di me.
"Non ce la faccio..."
Biascicai.
"Io so che ce la puoi fare."
Ribatté.
"Fa malissimo..."
Mi lamentai.
"Ben, puoi resistere, io lo so. È una questione più psicologica che fisica."
Mi informò.
"La tua mente vuole convincerti che tu hai bisogno di lei, ma non è così. Tu non dipendi da lei, non è niente per te, ti fa solo del male..."
Fece una piccola pausa, giusto per lasciare che una lacrima rigasse il suo viso.
"Ti porta via da me."
Pronunciò.
"Avevi detto che non volevi perdermi, che potevo fidarmi, che non ci saresti più ricaduto e ora vuoi mandare a puttane tutto?"
Disse fra le lacrime.
"Mi dispiace..."
Dissi quasi in un sussurro. Mi dispiaceva davvero, perché da una droga, ero passato a un'altra, una di cui ero certo di aver bisogno, una da cui ero diventato totalmente dipendente, anche se non volevo ammetterlo, una che per me era tutto, una che mi faceva solo del bene, una che era capace di zittire con poco la mia mente, una che mi "costringeva" a rimanere al suo fianco.
"Ne ho bisogno..."
Non seppi come, ma riuscii a trovare la forza per avvicinarmi a lui e poggiare le mie labbra sulle sue, provocando un'espressione di sorpresa sul suo volto. Aumentai la pressione sulle sue labbra... Volevo di più. Gli punzecchiai un fianco, cosicché schiudesse le labbra, dandomi la possibilità di insinuare la mia lingua nella sua bocca, così da poterlo assaporare. Non si ritirò, anzi, ricambiò, cosa che mi spinse a volerlo ancora di più, ma dovevo limitarmi a quello, non potevo andare oltre. Il dolore che mi stava divorando totalmente qualche attimo prima sembrò liberarmi. Penso l'abbiate capito... La mia droga era diventata lui e la cosa mi spaventava in un certo senso. Quando inizi a drogarti, finisci col volerne sempre di più, perché la dose precedente non ti basta più la volta seguente e così stava funzionando con lui. Lo volevo sempre di più, volevo sentirlo sempre più vicino, sempre più mio. L'egoismo diveniva parte integrante di me quando si trattava di lui, ma non si trattava più di una polverina bianca di cui potevo abusare ogni volta che ne sentivo il bisogno, ma di un essere umano, dotato di una mente pensante e di un cuore pulsante.

Oramai dipendo da te || FenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora