Il Re

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La prima volta che ti vidi scoppiai a piangere. Le tue grandi mani e la tua voce simile al tuono di Thor mi spaventavano. Ti sei chinato su di me, sussurrando qualcosa e poi ebbi il coraggio di guardarti.

I tuoi occhi erano verdi, come gli alberi che circondavano la nostra casa. Mi piacevano, ma continuavo ad avere paura.

Avevo pochi anni quando Lei se ne andò e rimanemmo solo noi due. La mia paura aumentò, perché tu eri così grande ed io così piccolo. Quella sera mi presi tra le tue braccia, per la prima volta. Hai sussurrato con calma la ninnananna che Lei cantava.

Mi addormentai tra le tue braccia e così accade per le notti successive. Tornavi a casa, mi prendevi tra le braccia e cantavi. Adoravo sentirti cantare.

Avevo sette anni quando capì che non avresti più cantato. Eri diventato serio, continuavi a ripetermi quanto fosse importante che seguissi i tuoi insegnamenti ed io ci provai. Peccato che io non fossi te.

Vedevo la delusione nei tuoi occhi foresta e faceva male. Faceva male perché sapevo che tu volevi solo il mio bene. Volevo che diventassi forte ed impavido, la persona che tu eri, per prendere il tuo posto, in un futuro lontano.

Mi dispiace se ti ho deluso.

Avevo quindici anni ed ormai mi ero arreso. Sapevo che non ti avrei mai potuto renderti veramente felice. Mi chiedevo di chi fosse la colpa, se la mia o la tua, o di entrambi. Ora mi rendo conto di non aver mai provato a capirti.

Ed avevo sempre quindici anni quando decisi di voltarti le spalle. Ho tradito la mia gente, per una creatura che sarebbe dovuta essere mia nemica. Un drago. Ricordo la tua felicità nel vedermi il migliore nell'allenamento anti-drago. Quante bugie ci siamo detti.

Ho visto la rabbia e la delusione nei tuoi occhi. Mi hai rifiutato come figlio, ed io nel mio cuore ti ho negato come padre. Se solo non fossi stato così immaturo, da non capire la tua situazione.

Essere padre e capo, allo stesso tempo.

È quando ho rischiato di perdere Sdentato, tra le acque fredde, che ho compreso le tue paure. È nel momento in cui sono precipitato, verso la mia morte, che la mia mente è corsa a te.

Perdonami.

Avevo diciotto anni quando mi dicesti che ero diventato il tuo orgoglio, quando posi fino ad una delle più grandi minacce dell'Arcipelago. Nulla mi rese più felice.

Nei miei dubbi, mi dicesti che avevo dimostrato le mie capacità di leader e di tuo successore, mi bastava solo guardare come avessi portato avanti l'Avamposto.

Ti parlai della donna che rubò il mio cuore e te la presentai. Ricorderò per sempre la tua felicità, e quell'abbraccio rivolto ad entrambi. E sorvoliamo sui tuoi discorsi a dir poco imbarazzanti.

Avevo vent'anni, quando scoprì che per te era il momento di cambiare rotta, e lasciarmi il trono. Io non accettai, scappai forse per paura o vigliaccheria. Ed ecco che accade altro, un'altra minaccia ma questa volta sbagliai.

Sbagliai a non ascoltarti. Commisi l'errore di credere che i tuoi metodi di guerriglia fossero solo una mera soluzione. Non sapevo a cosa stessi andando incontro, ed ora desidero di averti ascoltato.

Avevo vent'anni quando ti vidi morire.

Ora ho trent'anni, ho un figlio. Ha il tuo nome. Ti chiederai perché ... È il minimo che io potessi fare. Ho capito chi fossi veramente.

Un uomo che vide i più grandi orrori della stirpe umana ma visse anche le sue gioie, sebbene per poco. Sei stato un eroe invisibile, che mi hai salvato, più di un volta- ho perso il conto di quante volte. Sei stato un padre che ha fatto ciò che poteva fare, sebbene solo. Sei stato un capo che vide le priorità del suo popolo, sempre e comunque.

Mi manchi ... padre.


Hiccup accarezzò la statua, sfiorando i contorni. Erano passati dieci anni dalla morte di uno dei più grandi guerrieri di sempre, e il miglior uomo che lui avesse mai conosciuto.

Suo padre.

Il ragazzo si appoggiò con la fronte alla pietra bianca e lasciò andare un sospiro, i pugni stretti. Era colpa sua, e lo sapeva. Chiunque gli diceva che non fosse così, che solo Drago fosse responsabile -o il beffardo destino.

Hiccup sapeva che non fosse così. Se lui non si fosse concentrato nella sua idea che avrebbe potuto far cambiare idea a qualsiasi persona sul suo cammino, allora suo padre avrebbe vissuto.

Avrebbe potuto vedere suo nipote. Avrebbe potuto passare il resto dei suoi giorni con la sposa, perduta e poi ritrovata, per poco. Cantare con lei sulla melodia di un'antica poesia. Sarebbe stato la sua guida.

Hiccup sapeva, che la colpa era solo sua. Ed questo pensiero l'avrebbe portato con sé, fino alla fine dei suoi giorni.

« Hiccup ».

Lui si riscosse dai suoi pensieri e si girò, trovandosi davanti alla sua sposa, Astrid. Lei gli si avvicinò, appoggiando una mano sulla sua spalla. Non gli chiese nulla, sarebbe stato inutile, e l'ultima cosa che voleva era sfociare in una discussione.

Hiccup le prese la mano sulla spalla e ne baciò le nocche. Osservò a lungo la statua del padre, il cui sguardo fiero era impresso nella pietra e sarebbe stato così per l'eternità. Sorrise tristemente. « Ci vedremo presto » sussurrò.

Nel cuore della notte i due si allontanarono, lasciandosi dietro, la figura immensa e regale di un uomo. Non un uomo qualsiasi.

Un marito fedele alla sua sposa. Un padre pronto a tutto. Un capo dedito al suo popolo. Un amico. Un eroe invisibile. Un'anima della schiera di Odino, lassù nel Valhalla.

Stoick Haddock, l'Immenso.















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