11. Assenza e ritorno

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Erano passati 21 giorni da quel primo appuntamento. Subito dopo quella sera, Christopher venne a trovarmi un paio di volte in caffetteria. Ormai sapeva tutti i miei turni, glieli avevo scritti io sul cellulare il giorno dopo quella cena. Sì, ci sentivamo in continuazione praticamente. Ormai ero completamente immersa in lui. Il buongiorno del mattino non mancava mai, durante la giornata poi ci scambiavano messaggi su qualsiasi cosa: il tempo, i sogni, i gatti, la gente. Era tutto così naturale.
Mi aveva detto che pernottava in un motel vicino alla stazione ferroviaria di Norwich, insieme a qualche suo collega. Mi aveva accennato anche che si stavano occupando di una questione di grosse proporzioni, che riguardava il rimettere in funzione una delle ex fabbriche più importanti della città. E lui doveva occuparsi della gestione di tutti i rapporti interaziendali, ovviamente. Una mattina, però, trovai un suo messaggio che diceva:

'Hey Suzanne, buongiorno. So che è ancora tremendamente presto, ma volevo dirti che sto per ritornare a Londra. Il mio capo mi ha chiamato un' ora fa, dicendomi di occuparmi immediatamente di un cliente londinese abbastanza esigente... Tornerò presto a trovarti, ormai sono diventato dipendente dai tuoi cappuccini :) Teniamoci in contatto'

Non era un addio, certo, ma mi sentii comunque improvvisamente triste. Londra distava solo 3 ore di macchina da Norwich, ma né il mio, né tanto meno il suo lavoro avrebbero potuto permetterci di partire ogni volta che lo volevamo. Quanti giorni sarebbe rimasto a Londra? Avremmo avuto del tempo per sentirci? O sarebbe stato troppo impegnato col lavoro?
Era assurdo come, nel giro di qualche settimana, mi fossi legata a lui tanto da sentirne adesso la mancanza.

E così passarono due settimane. Due settimane in cui ci sentimmo sporadicamente. Lui mi mandava 1 o 2 messaggi, la sera, quando rincasava dall'ufficio, dicendomi che questo cliente era uno di quegli imprenditori che pensano di avere tutto sotto controllo, ma che in realtà non hanno la minima idea di come si mantenga un'azienda. Magari mi mandava qualche registrazione vocale, e allora mi rendevo subito conto di quanto il suo tono di voce apparisse stanco e svogliato.

"No, tranquilla... È solo un po' di spossatezza... Non ho avuto un attimo di tregua oggi..." mi diceva, per rassicurarmi.

Avrei voluto essere con lui in quei momenti. Sì... Era l'unica cosa a cui riuscivo a pensare durante i pochi minuti di telefonata.

"Ci sentiamo domani?" mi chiedeva alla fine di ogni conversazione, come se ci fosse davvero il rischio che io non lo volessi più sentire. Assurdo.
"Certo che sì, adesso riposati però... a domani, notte" rispondevo io.

Non mi avvertì che quella sera avrebbe fatto ritorno a Norwich. Erano stati 15 giorni devastanti psicologicamente per me. Mi mancava come se fosse già parte di me. Ma non potevo permettermi di fare pensieri del genere. Noi eravamo solo conoscenti o amici. In realtà, non capivo cosa fossimo. Ogni giorno conoscevamo nuove cose riguardo le nostre vite, i nostri gusti, le nostre ambizioni... Ma era pur sempre un uomo che conoscevo da appena un mese! Non dovevo lasciarmi coinvolgere così profondamente, sarebbe stato un grosso errore.
Avevo appena finito il turno e Johnny si era offerto di darmi uno strappo a casa, perché erano ormai le 20 e fuori c'era un freddo cane. Dicembre era alle porte e l'aria era secca, secca e fredda.
Ma quella sera avevo voglia di camminare un po', quindi lo ringraziai e uscì dalla caffetteria. Lui mi aspettava qualche metro più in là, appoggiato con la schiena a un palo della luce. Appena lo vidi quasi non ci credetti.
"Christopher!" urlai da lontano "... Ma che diavolo?" continuai, incamminandomi velocemente verso di lui.
Christopher non rispose. Forse non gli diedi nemmeno il tempo di farlo, perché appena mi ritrovai di fronte a lui ci abbracciammo. Fu bellissimo. Non so perché, ma era come se non avessimo aspettato altro in quelle due settimane. Era la prima volta che ci abbracciavamo. Le sue braccia mi cinsero tutta la schiena e dovetti mettermi sulle punte per stringerlo, a mia volta, perché era parecchio più alto di me. Non so quanto durò, ma restammo in silenzio, poi mi guardò e disse "Ti va una cioccolata calda con panna?". Rimasi a guardarlo per qualche secondo, ripensai a mio padre e a tutte quelle tazze di cioccolata ingurgitate ogni volta che tornavamo dal fiume. "Con molto piacere..." sorrisi. Non posso spiegare quanto fossi felice.

Lo portai alla locanda di 'zio Joe', proprio quella dove andavo sempre da bambina. Il signor Joe Wilcoln era ormai troppo vecchio per continuare a badare al negozio, quindi da qualche anno la gestione era passata in mano ai figli.
Ordinammo, su mio consiglio, due cioccolate con doppia panna. Iniziai a chiedergli come fosse andato il lavoro, a che ora fosse arrivato a Norwich e cose così. Lui sembrava distratto mentre rispondeva. Ebbi come l'impressione che non riuscisse a distogliere lo sguardo da me, dal mio corpo. Era come se non volesse farlo notare, ma senza riuscirci. Inutile dire che questa cosa mi piaceva. Iniziai a pensare che provasse molta attrazione per me.
Ci lasciammo con l'impegno che la sera dopo saremmo andati a fare una passeggiata in città. Qualcosa tra noi due stava per cambiare.

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Lost in your shady face - L'ombra del tuo viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora