3. In caffetteria

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Johnny, il mio datore di lavoro, dovrebbe portare maglie più larghe.
Fu la prima cosa che pensai il giorno in cui mi chiamò al colloquio, in caffetteria.
Portava sempre queste t-shirt bianco sporco, che lasciavano intravedere parte della peluria sul suo ombelico. Un vero abominio.
"Sei una bella ragazza, ma evita di portare quelle scollature quando ti trovi qui... non voglio fare allarmare quei bigotti dei miei clienti."
Sentenziò, porgendomi tra le mani un grembiule piegato, mentre i suoi occhi mi squadravano dalle caviglie in sù.
Rimasi perplessa per quel giudizio: era paradossale e a tratti grottesco come un uomo, superata la soglia dei sessant'anni (oltre quella del buongusto) e con un evidente riporto, dispensasse a me consigli su cosa indossare per presentarmi al meglio alla clientela.

Ma Johnny era fatto così, imparai pian piano a conoscerlo durante i primi mesi in caffetteria. Sapeva della mia complicata situazione familiare e credo che, fin da subito, mi avesse presa a cuore.
Certe volte, ammetto che facesse discorsi abbastanza strambi, ma era un tipo okay, tutto sommato. Un giorno, durante la pausa, mi aveva raccontato brevemente, sotto al portico del locale, dei suoi poco felici trascorsi sentimentali.
Era stato sposato per 16 anni con Martha, una vivace rappresentate di cosmetici e profumi, che trascorreva le giornate bussando di porta in porta e intrattenendosi sui divani di qualsiasi casa di quartiere, tra pasticcini e cataloghi da mostrare. Fu durante una di quelle visite che conobbe Alfredo, un aitante ragazzotto italiano, insegnante di pilates.
"Non sapevo nemmeno cosa fosse il pilates... la prima volta che mi disse che stava andando a farlo, pensai che dovesse farsi una ceretta." mi diceva Johnny, continuando a raccontare, con la sigaretta in mano.
Cercavo di soffocare le risate, concentrandomi sul fatto che una separazione è un evento drammatico per una coppia e che non potevo permettermi di ridergli in faccia.
In fondo, mi faceva quasi tenerezza osservarlo mentre narrava, con sguardo perso, il suo passato. Doveva averla amata molto, pensai.
Quella sensazione di vicinanza, che stavo provando nei suoi confronti, si interruppe bruscamente quando Johnny appellò l'ex moglie come una vacca in calore che si scopava il ragazzetto napoletano.
Non si poteva di certo negare che servasse, ancora, molto livore per quella donna.

Certe volte, mi sembrava quasi un fantasma dietro al bancone. Si trascinava a fatica tra un tavolo e l'altro, asciugandosi ogni tanto il mento, con un lembo del grembiule sgualcito. Poi, nelle sue giornate sì, lo vedevi intento a fomentare accese discussioni insieme ai vecchi clienti.
Ricordo che, un giorno, intrattenne un dibattito col signor Collins, un burbero ottantenne, fin troppo nostalgico del periodo nazista.
Argomento della discussione erano i festini che le confraternite universitarie organizzavano durante i weekend.

"Lei non può minimamente capire il frastuono che quei bambocci hanno fatto ieri notte! Mia moglie è sobbalzata dal letto, credendo che ci fosse un terremoto!" diceva, accigliato e con un dito alzato in segno di rimprovero.
"E lei non ha idea di quello che succede dentro quelle mura... la droga e l'alcool scorrono a fiumi!" aizzava Johnny.
"Bah... che gioventù bruciata!!! Scorazzano per le strade, mezzi ubriachi, senza nemmeno guardare i pedoni e poi, magari, quando finisci sotto, vogliono pure ragione!" il signor Collins si grattò la testa e riprese fiato "...Ma li avrei voluti vedere insieme a me, questi poppanti che vanno in giro coi pantaloni strappati... e come se li avrei voluti vedere! In trincea, sotto la neve, mentre i tedeschi conquistano un nuovo fronte! Avrei goduto nell'osservarli, con i denti che battono dal freddo e senza la minima idea di come si tenga un'arma!"
Piantò il bastone sulla mattonella in ceramica e concluse, fiero "Solo in guerra io portavo i pantaloni strappati... e non di certo per mia scelta!"

Era assurdo il livello di ipocrisia che spesso si raggiungeva all'interno di quella caffetteria. Il problema era proprio il target della clientela. Ex manovali, ex inseganti, ex sarte, ex ufficiali di marina... ex di qua ed ex di là. Tutti così tremendamente bigotti, tutti legati a un passato che era irrimediabilmente svanito da decenni, tutti pronti a criticare le nuove generazioni alla prima occasione. Terribile.
Non avevo intenzione di abbandonare quel lavoro. Norwich, purtroppo, non offriva di meglio per quelle che erano le mie ben poche competenze, ma non volevo di certo fare la fine di Johnny: cupo, spento, triste.
Ero sempre stata, fin da bambina, molto creativa. La creatività è stata, per me, una via di fuga dai problemi e dai traumi che la vita mi ha riservato: penso sia un modo stupendo per ritagliarsi un angolo felice, anche in mezzo alla desolazione più totale.
È per questo che, da poche settimane, avevo iniziato a servire dei cappuccini decorati. Niente di complicato, solo dei semplici disegni sulla bianca schiumetta: fiori, smile, brevi frasi.
Può sembrare stupido, lo ammetto. Ma personalizzare anche solo una semplice tazza di latte e caffè, mi permetteva di fare mio un piccolo gesto quotidiano. Del resto, è un po' come quando l'artista pone la firma sulla tela, no?
La verità è che se non avessi trovato questi piccoli escamotage, lì dentro sarei impazzita nel giro di qualche mese.
Avevo bisogno di nuovi stimoli, sapevo che non potevo continuare così. Ma la vita, in quella cittadina assonnata, girava sempre con la testa cadenza. Le facce erano sempre le stesse, i discorsi pure. Speravo, con tutta me stessa, che un fulmine a ciel sereno percorresse i cavi del telefono e mi colpisse dritta in fronte, per farmi risvegliare da quel torpore. Ma l'autunno non sembrava prospettarsi poi così differente dagli ultimi tre che avevo trascorso. E, in parte, non c'era nulla che potessi aspettarmi. Accontentarmi era l'unica cosa da fare.
Ah, e per la cronaca, nessuno apprezzava i miei cappuccini.

Avviso ai lettori:Vi faccio ridere: non so come, ma il terzo capitolo si era cancellato

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Avviso ai lettori:
Vi faccio ridere: non so come, ma il terzo capitolo si era cancellato. Non avete idea di quanto ho imprecato e, ripensandoci, me ne vergogno pure. Ma vabbè.
Ho dovuto riscrivere, quindi, tutto, perdendo i vostri preziosi voti e commenti. Non sapete quanto mi dispiaccia. Ho, inoltre, provato a ripercorre con la memoria i vari passaggi, sperando di aver riscritto più o meno fedelmente il capitolo. Mi scuso ancora per il disagio, ma vi assicuro che è stato a dir poco drammatico!
Un bacio

Lost in your shady face - L'ombra del tuo viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora